La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

venerdì 31 dicembre 2010

L'anno dell'acqua e della ghiaia







Son morte le ghiaie del cimitero, ingannevoli come Muse di Esiodo, che l'archeologa sagace, anfibiamente trasformata in Salamandra al nascere dell'inverno, vide dove ci si attendevano cimeli etruschi; ed etrusche sono, come etrusco era l'Auser padre di mille capanne e cento villaggi, sparsi dall'Esarulo all'Arno, dall'aggere che Paolo con Silvio scava, sino al Castellare sognato sette anni fa con Marcello e Consuelo.
Morte ghiaie di un fiume vivo più in là, spostato ad occidente, come dicon faccian tutti i fiumi, e chi qui lascia intrecciati canali (ambiente braided, dice Augusto) di rotte o divagazioni, mentre stavan sicuri un po' più in là, sul dosso di sinistra, gli Etruschi dell'Arancio. Ed Elisabetta e Serena e Silvia e Patrizia, e poi Kizzy con Maila, di qua, le Salamandre, e Domenico e Silvia ed Elena là, e tanti altri che la Rossa Struttura ruota, vecchi compagni sempre sospettosi del mutar di parere del Politburo.
L'anno delle ghiaie, quello che chiude il decennio, misteriose, inquietanti, quasi che un De Chirico perverso avesse proposto per gli archeologi della Terra dell'Auser un ventre pieno di ciottoli e ciottoletti, e sabbie, che escono in differenziata sequenza. Le ghiaie ambigue di San Filippo, le solide ghiaie della via di Sara, che canta parole all'Anno Nuovo, trovate in luoghi inattesi sulle rive dell'Arno vagante, ambigue per gli anni che raccontano, solido manto di una via che andava al grande fiume che l'archeologo giovane abbracciava sotto l'occio del padre che avrebbe ricordato i suoi cent'anni, da domani.
E infine, ambiguità suprema, supremo connubio dell'acqua che le genera le seppellisce le trasforma, le ghiaie che un sagace ed inconsapevole escavatore del Consorzio di Bonifica dell'Auser – segno ultimo del destino – ha giustamente scavato, guidato dalle Ninfe del Frizzone nei sogni alimentati da strade perdute, e ci regala poco prima del solstizio, quando le ombre infinite velano ed accendono il gorgoglio dell'Arpino su ciottoloni misteriosi che paiono quelli della via voluta dai coloni di Augusto per andare da Lucca a Firenze, i capisaldi del regime in una terra inquieta. Son loro, se lo dicono anche Augusto ed Alessandro non c'è dubbio, lì vicine, irraggiungibili, protette dalle Ninfe veloci dell'Arpino, le ghiaie di Quinto. metafora estrema dei sogni di un archeologo, che chiude il decennio, che quasi chiude il trentennio, senza rimpianti, come i parà di Algeri, ma con infinita nostalgia per le acque che per sempre scorreranno sulle ghiaie, e ricordando – con gli amici antichi persi su solide colline fra i fiumi di là dal Grande Fiume – tutti i compagni del viaggio nel Passato.

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