La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

mercoledì 29 maggio 2013

Sonni e sogni di papaveri. Rinascimento nel piatto.


Papaveri stillanti lattici sonniferi, nel fine lavoro di graffio dello steccatore padano, anni intorno al 1500, dieci più, dieci meno, giunto chissà come a Lucca, per contenere distillato da versare nella teriaca, spruzzata di sapori sulla crude carne di vipera curatrice di ogni male; il verde della capsula, il giallo quadrettato del lattice, taglio generoso, abbondante di umori. Per non dormire sempre, proclamano i Bartolini Salimbeni nel tripudio di colori e imprese robbiani, anelli e papaveri, omaggio ai Medici e segno della schiatta.
Rinascimento (iniziale) nel piatto della terra, da vivere nel Rinascimento sui muri.

lunedì 27 maggio 2013

I colori del Rinascimento a Castelfranco di Sotto, per San Martino e Santa Barbara (nei Giorni della Vittoria del Barchino!)






Ritrovato per caso il Botticini figlio, andando per mense del Rinascimento a Empoli, si ritrovano altri colori per il cupo Rinascimento di Castelfranco, San Martino e Santa Barbara, i santi del quarterio che fu e che ora non-si-sa-cosa-sia, persa la chiesa perso tutto se non la memoria e gli stovigli delle monache, ritrovati anni trentotto or sono, con il liocorno a rammentar virtù non-si-sa-quanto-amate ...
Grazie agli Zar dell'Ottocento e dei giorni nostri, memorie dell'antico luogo, cedute per far una cappella che è oggi meraviglia del peggior classicheggiante Ottocento, si ritrovano all'Ermitage, in comodo sito,con  la tavola oggi tela di Raffaello Botticini, i santi e il committente, certo volto di Castelfranchese del Cinquecento, che aveva visto le monache del monastero, i Santi Iacopo e Filippo pure illustrati in quegli anni, e il liocorno sul piatto. E le competizioni dei quartieri (non contrade, non contrade ...) erano di Botticini e d'acquasantiere in marmo ...


sabato 25 maggio 2013

La Seconda Enneade: da Fossa Nera di Porcari a Monte Formino di Palaia, negli anni della Grande Crisi (del 1200 a.C.)


Sei anni per concludere la Seconda Enneade, plotiniana visione dei diciotto Segni dell'Auser dal II millennio a.C. ai giorni dell'Ottocento, fatiche infinite ed inani, per sé e per qualche amico.
E agli amici di Garfagnana e di Monte Formino, compagni dei viaggi nella storia e nella passione per i suoi Segni, la dedica del Viaggio nella Terra dei Quattro Fiumi, XII secolo a.C., gli anni del Ritorno dei Dori e dei Popoli del Mare, della fine di Hattusa, vissuti sulle rive dell'Auser e negli oliveti della Valdera.
La premessa.

Tecnologie innovative e finezze informatiche, assieme alla crescente ‘professionalizzazione’ (e forse anche ‘sindacalizzazione’) del ruolo dell’archeologo, parrebbero rendere ormai obsoleta, vintage, la figura dell’appassionato, il ‘volontario’ che con le sue varie manifestazioni accompagnò la rinascita di un’‘archeologia militante’, attiva e centrata ‘sul campo’, negli anni Settanta del secolo scorso.
Forse inconsapevolmente, forse per un clima culturale comunque condiviso, il trinomio che seguiva il titolo della rivista allora punto di riferimento per questo tipo di ricerca (Archeologia Medievale) era infatti – al di là dell’humus ideologico in cui si radicava e alimentava – anche il motivo conduttore dell’impegno del volontariato: Cultura Materiale Insediamenti Territorio.
La ricostruzione della storia dei paesaggi e dell’insediamento, attraverso i ‘segni’ lasciati nella terra (la Cultura Materiale), quasi sempre nella ‘propria’ terra, era lo scopo che, distribuendosi in varie associazioni o gruppi, ragazzi di vent’anni o poco più perseguivano, talora caoticamente, talora coordinati – raramente ‘diretti’, termine improprio per il mondo del volontariato – da figure-guida all’interno del gruppo, o, nei casi più felici, da professionisti o semi-professionisti, come giovani laureati e laureandi o i funzionari della Soprintendenza Archeologica.
Oggi la ricerca sul campo – in quegli anni marginale e considerata talora con perplessità dalle strutture universitarie – è cruciale anche nell’attività accademica, e l’intreccio tecnologico che parte dal
remote sensing per giungere al survey, combinarsi con l’indagine di scavo e presentarsi nella veste informatica di un GIS, disponibile a tutti grazie alla strategia dell’open access, dà veramente toni crepuscolari, seppiati, alle immagini dei volontari degli anni Settanta.
Ancora oggi, quando si celebrano i quarantennali se non i cinquantennali delle fondazioni di quasi tutte le associazioni ancora attive, i volontari sono quasi sempre gli stessi ragazzi di allora, appesantiti ma non troppo dagli anni, e dunque può ancora capitare che donne o uomini appassionati, curiosi di conoscere le proprie radici, di interpretare i segni della storia nascosti nella terra o da leggere nei muri, riescano a offrire contributi di rilievo. È questo il caso di Monte Formino, una collina sul crinale fra Marti e Montopoli in Val d’Arno, che ha conosciuto fra 2010 e 2011, dopo il ritrovamento casuale di qualche frammento ceramico, il concorde impegno di quasi tutti i volontari ancora attivi nel Medio Valdarno Inferiore e nella Valdinievole – la generazione formata negli anni Settanta, integrata da qualche ‘giovane’ – per capire le storie che quei ‘cocci’ potevano raccontare.
Ne è nato un nuovo, piccolo capitolo di storia del Valdarno Inferiore, un filo di luce che illumina, seppure per pochi attimi e per un lembo appena di questo territorio, i ‘secoli bui’ che seguono, anche in queste parti di Toscana, la ‘crisi del 1200 a.C.’, e preparano la rinascita ‘protourbana’ degli anni intorno al 1000 a.C. che ha trovato un’espressione particolarmente significativa a Fossa Cinque di Bientina.
Proprio all’opera di un appassionato, Augusto Andreotti, si doveva la scoperta dei siti cruciali per mettere a fuoco le vicende del Valdarno Inferiore fra questi due estremi cronologici: Fossa Nera di Porcari, un nodo dei rapporti fra Italia peninsulare e culture terramaricole della Pianura Padana, nei decenni cruciali della crisi; l’abitato distribuito al piede delle Cerbaie, in località Ai Cavi di Orentano (Castelfranco di Sotto); l’insediamento di Fossa Cinque di Bientina. Grazie all’edizione offerta con il concorso scientifico di Alessandro Zanini per Fossa Nera, e ai dati degli scavi del 2006-2007 ai Cavi e a Fossa Cinque, andati ad aggiungersi ai materiali dei recuperi di Augusto Andreotti, il Valdarno Inferiore poteva essere un’area-campione significativa per questo momento storico.
Nello stesso tempo Paolo Notini e Silvio Fioravanti – due ‘professionisti’ che operano con lo spirito dei volontari – integrando con la loro generosa disponibilità le esigenze di scavo del cantiere aperto alla Murella di Castelnuovo di Garfagnana dall’Amministrazione Provinciale di Lucca e dal Comune di Castelnuovo di Garfagnana, per la realizzazione della circonvallazione di Castelnuovo, oltre ad esplorare ampi lembi di un insediamento etrusco del VI e V secolo a.C., incontravano stratificazioni dell’Età del Bronzo Medio che integravano il quadro delle conoscenze su questo periodo nell’Alta Valle del Serchio – frutto quasi sempre delle indagini dello stesso Paolo, negli anni Ottanta e Novanta del Novecento.
Da questo intreccio è nato il progetto di questo lavoro: sintesi dei dati disponibili sulla Valle del Serchio e il Valdarno Inferiore dal Bronzo Medio fino alle soglie del Bronzo Finale, la seconda metà del II millennio a.C.; testimonianza di un un impegno appassionato di cui il curatore, al di là del suo ruolo istituzionale, si sente parte.
Nello stesso anno 2013, infine, si celebra il Centenario della istituzione del Comune di Porcari. Porcari è stata, grazie ancora a volontari, più di quaranta anni fa, la culla della ricerca ‘sul campo’ nella bonifica del lago di Bientina (o Sesto) che tanto ha dato perché, a partire dal 1981, indagini metodiche facessero di questo tratto di Toscana un caso esemplare per la ricomposizione del paesaggio e degli insediamenti d’età etrusca e romana. Ma Porcari è anche il Comune che comprende l’area in cui, a Fossa Nera, Augusto Andreotti trovò e salvò le testimonianze di un insediamento forse perduto per sempre, ma ancora capace di raccontare, con la massa dei materiali raccolti in terra di risulta, la storia di una comunità che prefigura, fra XIII e XII secolo a.C., quella della vivace terra di Porcari dei nostri giorni, attenta alla sua storia anche remota e prezioso interlocutore di chiunque voglia trasformare i segni del passato in contributi per il presente.
Anche a loro il curatore dedica queste pagine.


Giulio Ciampoltrini


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