La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

venerdì 30 novembre 2012

Il grido dei paladini (Orlando e Oliviero in Garfagnana)


Rollandum dicas Oliveriumque renatos
si comitum spectes hunc hasta hunc ense furentes
Ugo di Vermandois e Roberto conte delle Fiandre a Dorileo, contro i Turchi, anno 1097, sonoro latino di Raoul di Caen, Radulphus Cadomensis, nell'aulica edizione muratoriana delle Gesta Tancredis, verrebbe da sognare immaginare ipotizzare asseverare nell'enigma di Careggine, rilievo generato dalla terra fra poco sono anni novanta, i due enigmatici uomini di guerra congiunti come nel compagnonnage dei loro modelli eroici, Orlando ed Oliviero, con il primo a gridare
Fier de la lance et jo de Durandal.
Castelli che si animano dei domini di Careggine o del Poggio di San Terenzio, delle consorterie di Dalli o dell'arcaico spirito dei nobiles di Cogorozzo o delle altre infinite congreghe annidate sui cocuzzoli della Garfagnana, il palatium dei signori di Bacciano con ponte che suona per qualche attimo dei versi cavallereschi, nella via che va al mare e ai metalli di Versilia dalle piane di Lombardia.
Forse, chissà, probabile, possibile, nella destra del guerriero di destra con l'elsa superstite di Durandal, Oliviero pronto a proteggerne di lancia, l'espiez, il fianco sinistro, compagnons che gridano insieme balzando nell'ultima mischia. A piedi, non si deve chieder troppo al rustico scultore di montagna, che traduce nel rilievo a due piani della pietra di Garfagnana i profili del romanico di Lucca e non aveva visto i duelli di Angoulême.
Gli amici di Garfagnana chiamano, ventun anni dopo la prima volta, onusti d'anni e d'affanni ma anche di curiosità di sapere e far sapere.
L'olifante di Orlando suona, su per i monti ...

sabato 24 novembre 2012

Il ritorno della Dama con gli Orecchini nella città di Romani e Longobardi



Un anno, da Via Elisa a Via della Quarquonia, passando per Firenze e per l'impegno di Alessandro che la svegliò dal sonno di terra e di Valeria che le ha ridato forma e storia, e la Dama ritorna a Lucca, con i suoi orecchini trina d'argento e il pettine fascinoso come la sua storia. E si completa, per le fatiche di molti, l'angolo di luci e colori che ridà vita, per l'attimo che il visitatore vuol sostare, nel Museo, alla città del secolo VII, Longobardi e Romani, dame (honestae feminae, più o meno)  e viri magnifici e viri devoti, i profumi d'Africa negli spatheini e nella anforette di sigillata, le storie di viaggi da Lucca a Niederdollendorf passando per il Duomo di Colonia della fiasca, le zuppe negli alvei rinati nel Pentateuco, le fibbie e le cinture e i fermagli del bronzista di Via Fillungo, il Romano con lo sguardo allucinato, quasi come l'orrore delle Longobarde di Piazza al Sewrchio/New York/Perugia/Nocera Umbra.
Un'occhiata, una finestra di luce, e via ...

mercoledì 21 novembre 2012

Il grido della Longobarda (da Piazza al Serchio a New York)




Terribile è il grido della fibula longobarda, sbalzo orrorifico, orripilante nella pienezza etimologica, della figura imberbe, femminea, magie venute di Pannonia o dalla memoria appena impolverata di Valchirie e Walhalla, o segno apotropaico sulla faccia che guarda il tessuto e la donna; oppure, chissà, il grido della Longobarda dura e fiera nell'esibire le bestie contorte che coprono d'intrecci tutto il copribile, sgomenta nel lato occulto.
E quando, navigando per le onde del web, (ri)appare nel comodo dello schermo la fibula giunta a New York passando per le botteghe antiquarie fiorentine, con il terzo grido, dopo quelli di Perugia e di Nocera Umbra, nell'intreccio di mostri della faccia A che generano l'orrore della faccia B, per un attimo l'archeologo sogna di aver davanti la gloria della Longobarda di Piazza al Serchio, svegliata dal suo addobbato riposo dalla via ferrata della Garfagnana, anno 1920 o '21, orrori appena passati e altri in atto, in attesa di quelli supremi.
Il Migliorini e il Galli, il maestro elementare appassionato e trafficante (dice il Galli) e il funzionario spedito nel furore del '22 a cercar notizie frantumate di tombe espilate, ori argenti bronzi vasi dissolti; uno schizzo ritrovato cinquanta anni dopo, spremuto in ogni sua linea, la grafia inconfondibile del Migliorini, per cercare il perduto.
Da Piazza al Serchio, 1920, a Firenze, 1955, e da lì al Met, forse chissà, forse no, ma da dove se non da lì, il terzo grido o il quarto quello della Longobarda giunta a morir vecchia dalle piane del Danubio dove il Serchio di qua si congiunge al Serchio di là per generare il Serchio.
E il giallo del sepolcreto perduto continua.

domenica 18 novembre 2012

Bientina, la sera di novembre, gli Etruschi del Museo, le generazioni di archeologi



S'affolla o quasi, di nuovo, tredici anni dopo, l'antica chiesa con le reliquie degli Etruschi del Bientina, Storie di Comunità Rurali fra X e V secolo a.C., storie costruite da due generazioni di archeologi ed oggi raccontate dalla terza, pronta a scrivere nuovi capitoli. Ordini antiorari della storia, il Bronzo e il Ferro, l'Arcaico, il Classico, la fine di una civiltà (forse) in una terra (come si direbbe) in perenne equilibrio con l'acqua. E il tardobarocco di campagna di San Girolamo a illuminare le vetrine di amici a cavallo fra la prima e la seconda generazione.

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Presentazione

Il 27 novembre del 1999 la comunità di Bientina coronò il sogno – rimasto tale per più di quaranta anni – di Vittorio Bernardi: raccogliere in un museo i ‘segni’ della storia etrusca del territorio del Comune.
La passione del Bernardi – al quale giustamente è stato dedicato il Museo – aveva sollecitato a scavi di necropoli e insediamenti quando (gli anni Cinquanta del Novecento) questi temi della ricerca erano inusuali in un lembo di Toscana che, per una lettura parziale delle fonti antiche, si voleva assegnare all’ambito culturale ligure, benché il primo e più autorevole fra gli archeologi che avevano presentato ritrovamenti del territorio (il Ghirardini) già sul finire dell’Ottocento avesse riconosciuto i chiari segni della cultura etrusca nella tomba emersa nel settore settentrionale della bonifica del lago di Bientina (o di Sesto, come lo denominava la Repubblica di Lucca, conservando l’antica terminologia me- dievale), al Rio Ralletta.
Sono state le rinnovate indagini degli anni Ottanta e Novanta del XX secolo a chiarire risolutivamente dubbi che non avrebbero mai dovuto affiorare, e a fornire materiale per entrare sin nella vita quotidiana degli Etruschi fioriti per qualche secolo nel territorio che oggi è di Bientina. Infine, l’attenzione per la tutela e l’impegno degli eredi della passione di Vittorio Bernardi hanno portato a scoprire, nell’area di Fossa Cinque, i precedenti del sistema di insediamenti etruschi già dell’VIII, e poi del VI e V secolo a.C.: il villaggio dell’età del Bronzo Finale che occupò, intorno al 1000 a.C., il cuore della piana oggi bonificata, è un’impressionante testimonianza di quanto rimane ancora sepolto, giacché solo con l’apertura di profondi fossati è stato possibile individuarlo ed esplorarne alcuni lembi.
Le razionali vetrine ‘a isola’ del museo ospitato nel San Girolamo, progettate da Mario Pagni, propongono dunque al visitatore un arcipelago che è anche un percorso nella storia del territorio di Bientina, dal 1000 a.C. sino al V secolo a.C., quando una secolare storia si esaurisce in circostanze climatiche avverse, che porteranno a nuovi sistemi di insediamenti.
Non c’è dubbio che per la fruizione di contesti archeologici di non immediata lettura come quelli di Bientina la presenza di una guida ‘in persona’ – interattiva al massimo – sia sempre preferibile, ma la chia- rezza e la misura profuse nell’opera fanno sì che si riesca a sentire presente l’autrice, con l’impegno e la competenza della nuova generazione di archeologi a cui appartiene.

Giulio Ciampoltrini

giovedì 15 novembre 2012

Le vie in rosso e grigio (ma anche blu e un po' di giallo)






Preziose tarsie di pietre e triti laterizi in cui s'incastonano segnali del tempo (vulgo: qualche frammento ceramico), lustrate dall'acqua o impastate d'acqua, s'inseguono sul volar degli anni le immagini delle vie di Lucca degli anni remoti di una città che cambiava volto, per il nuovo culto e le nuove aristocrazie, conosciute da qualche pavimento e due iscrizioni di regime. Anni dei Costantinidi o dei figli di Teodosio, chissà, più o meno ...
Venticinque anni o quasi separano l'alto e il basso, il pavimento cercato lungo il gran kardo della città, trovato in un miracoloso diaframma protetto dalla benevolenza della Pupporona, turgida beltà contadina e neoclassica, e l'apparizione di Via Burlamacchi, ricucitura per coprir cloache e saldare i basoli sopravvissuti del kardo degli anni di Augusto.
La palina e la lavagnetta sono effimera scansione fra emozioni che, nonostante VIA VAI e VAS, ritornano, nelle fatiche di Paolo di anni remoti, nelle fatiche di Enrico e Sara (ordine alfabetico) dei giorni che corrono.

venerdì 9 novembre 2012

Tiziano nel piatto, in tre colori






Tre colori, nel piatto di Lucca, pennellate veloci e graffiti plebei (avrebbe detto Ranuccio Bianchi Bandinelli degli anni che l'archeologo non era azzannato dal GIS e divorato dall'open archaeology e dai suoi layers, figli di trowel, e piuttosto soffriva con Fidia di Schweitzer – anche lui cervellotico, diciamolo pure, quasi come l'insormontabile Exekias di Technau – o con i sarcofagi del più terrestre Rodenwaldt).
Riappare da cassette infinitamente rivisitate il piatto del Cinquecento, figlio di secoli remoti e del giorno che Elena trascinò l'archeologo (non ancora vecchiozio) alla sacra ellisse dell'anfiteatro, sottratta per un attimo al giovanil furore che la esaltava fra cavi dell'ENEL e pavimenti pubblici della Lucca del Cinquecento, veli di terra rossa lucidati dalla sua trowel e più assai dalla sua passione.
Dieci anni, il giovanil furore ha fatto giungere Elena in Irlanda (ultimo domicilio conosciuto), per l'arte di Alessandro l'anfiteatro svelò il mistero del progetto di Nottolini e per devozione all'open archaeology – divinità suprema nel larario dell'archeologo di questi giorni, appena uscito dal Salone delle Feste della Firenze granducale – se ne dovrà pur dar contezza, e infine con le facili virtù della rete, due tocchi su Google, il profilo smunto dal gran mento con la barba giallastra del corazzato figuro sul fondo del piatto si sovrappone, invertito dal gioco delle incisioni, al Carlo V di Tiziano, genitore del d'après di Rubens, e di prodotti innumeri delle stamperie veneziane (forse).
Lezioni antiche, arte di corte e arte di popolo, immagini per la celebrazione e immagini da scoprire sotto l'insalata e il panino nel tratto del graffitista di Toscana.

mercoledì 7 novembre 2012

Le Verrucole vintage


Una cartoccio di immagini appunti stampatidiquandononcerailpdf e carte e disegni, lavori di anni remoti ante quem, e riappare la lucida stampa da diapositiva, segno di passati remoti, e le Verrucole, grigia la pietra, erbosa ruina sulle erbe di Garfagnana, fino allo struggente azzurro del cielo.
Ancora neppure si immaginava, dal Monte Pisone e dai castella dei Liguri, che sarebbero tornate più belle che pria, inauditamente belle come le dame che han conosciuto il botox, la Rocca Tonda la Quadra e la cortina che le inanella, e che la terra che le seppelliva avrebbe svelato le storie dei Gherardinghi e dei loro fideles, dei castellani di Leonello e di Borso, il Pasi, e giù giù, Ferrara e Mantova e poi i Napoleonidi con il bottone ironico. Storie descritte dai magici quadrati di Paolo, e un Quattrocento di montagna in cui il verde e il giallo delle graffite ferraresi e di Padania s'intreccia, come nei suoni di Josquin, con i colori di Pietro da Talada, e si assaporano le fantasie ariostesche nelle scene di Schifanoia, perlustrate all'infinito per illuminare i bottoni delle dame e le corazze dei cavalieri.
Politically correct la consapevolezza della civile convinzione del progresso, con la Rocca che oggi s'aderge penetrabile e fruibile; ma sia spazio, per un attimo, per la stampa da diapositiva finita tra le carte degli anni Ottanta, vintage per rivivere passioni e sogni d'un dì, e il loro tramonto oltre le Panie.

venerdì 2 novembre 2012

Sotto il segno degli Aquilini



E per Lucca, che non riesce ad arrivare ai 2200 anni di caput di qualcosa (colonia Latina, municipium, colonia Romana, sede ducale, sede marchionale o quasi, Comune, Repubblica e purtroppo anche Ducato, e poi provincia), gli aquilini pisani degli anni della cattività babilonese sotto i Pisani, del nidus tyrapnidis, dei tiranni e dei ducetti che cambiavan bandiera di anno in anno sull'Augusta strumento di schiavitù, nelle meravigliose tavole di Andrea Saccocci (A. Saccocci, I materiali. II. Le monete: denari normanni (XI secolo) e ripostiglio di quattrini toscani (II metà XIV secolo), in In silice. Lo scavo della chiesa di San Ponziano in Lucca, Lucca 2006, pp. 133 ss.).
Morire sotto la cattività pisana, prima del buon Carlo (IV) imperatore (acquistabile non con aquilini, ma con fiorini).

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