La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

venerdì 25 maggio 2012

Gli occhi inquietanti della Dama con gli Orecchini, il fascino sottile del pettine






Due secoli e più fra la danzatrice del deserto d'Arabia, dove l'acqua rallegrava le cacce del califfo, e l'imperatrice di Bisanzio dea ellenistica, e in mezzo l'ascesi di Castelseprio con i colori che sanno dell'Ellade di Alessandro, e l'imperial pupazza Leonzia, accanto al suo imperatore Foca, non troppo men truce di Agilulfo.
E ora che la giovane antropologa, con finezza di scienza, dopo aver confermato – per l'Antropologo Smemorato e per l'Antropologo Pensionato – che gli orecchini del secolo VII ornavano signore, e non guerrieri, e ci svela pian piano, com'ha da essere dei misteri, anni e dolori della Dama svegliata in Via Elisa, pienezza di beltà sfuggente, in anni duri, l'archeologo antico che conobbe gli anni di Longobardi Bizantini Omayyadi nelle immagini prima che nella terra, cerca un volto per la ridestata Signora di Cipriano.
Gli occhi pieni del secolo VI e dell'VIII, il volto tondo, la spaurita beltà dell'imperatrice e delle danzatrici e della mistiche sorelle di Cividale, l'attonità beltà, non troppo diversa nell'una e nelle altre, figlie tutte dell'ultimo ricordo degli anni di Stilicone e di Galla Placidia.
E i suoni del califfo ellenomane, amante di siriache bellezze e del vino del Mediterraneo, che Princeton ci regala, a celebrare, più di ogni articolo sul Reallexicon der germanischen Altertumskunde, e di ogni tipologia dei denti larghi, stretti, delle decorazioni in punta, a croce, a cerchiello, la seduzione della Dama che si Pettina.

mercoledì 23 maggio 2012

La tristezza dei guerrieri. Ritorno alla laguna


Il ritorno alla laguna è anche un viaggio nel tempo, nei giorni del Porto del Vino di Fonteblanda, dei nuovi amici e degli amici che non ci sono più, quindici anni dopo aver dato addio al porto sepolto sulla laguna che si perde sulle falde dell'Uccellina, e mira il Giglio e l'Argentario nei tramonti d'autunno, o quando il vento di maestrale arriva su spiagge deserte.
Da antiche diapositive, degli anni in cui Piombino era ospitale con la severa rivista amica dell'archeologia di Toscana e non solo, con l'amico disperso non si sa in quale nebbia che il mare porta nei giorni di vento umido, emergono, con i materiali delle necropoli scoperta trent'anni fa nelle pagine del Carchidio e nei faldoni degli Uffizi, ed ora sono quasi duecento anni che fu scoperta dove l'Istmo di Orbetello si carica di palazzoni infiniti, i due giovani dello specchio che si legge assai meglio nei giochi di colore che tanto amava Marcello per far raccontare storie sepolte al biancoenero delle immagini del 1954, o per celebrare i fasti delle vedute da satellite, quando la pioggia le carica di significato.
Dioscuri o guerrieri pronti al combattimento, o che dopo il combattimento varcano le porte dell'Ade, sono tristi ancorché dovessero mirare le gentildonne cariche di oro preparate per il banchetto profumato dai thymiateria, festeggiato dal vino del Tirreno o dell'Albegna, per l'eros sottile o impervio della iniziazione dionisiaca, con i vasi del Gruppo dell'Imbuto ad accompagnare una festa che era anche sofferenza.
E così è, sottilmente, la città sulla laguna, anche se il sole ne indora il poligonale ellenico applicato dalla maestranze mdella Repubblica di Roma, coloni latini giunti a presidiare il mare di Cosa e l'epineion (come dice l'archeologo quando fa il dotto) sulla laguna.

mercoledì 16 maggio 2012

Cavalli e cavalieri da Atene alla Maremma








Si vedono a colori, con qualche riflesso, dopo quasi trent'anni, i giovani i cavalli il paidotribes che il Pittore della Dokimasia o un suo amico dispone in duplice sequenza di stoai e di esausti alberi sulla kylix approdata alla terra di Maremma, negli anni 470 o 460 più o meno, per un banchetto non estremo come quelli per cui era nato nella terra di Atene, misurato perché il signore di terre dell'Albegna, di vigneti e di praterie e di grano, e il mare sullo sfondo, potesse rispecchiarsi nei colori del vino, con i suoi cavalli e i suoi sodali.
Terra di colori, come l'aggere di Doganella, smontato nell'Ottocento, scavato dagli archeologi degli anni nostri, rivisto dagli inglesi e infine nei segni bianchi orlati di nero incisi sullo smeraldo fantastico dalla genialità di Marcello; e i colori che il cielo infinito sparge sul fiume e i suoi blandi meandri carichi di storia e di ricordi, sul porto immerso nella laguna e sul porto al margine della laguna che non c'è più, a Fonteblanda, e sul santuario sul mare di Bengodi, che con il tenue sorriso delle antefisse salutava i naviganti dallo scoglio di Telamon, visto da Argonauti in cerca di vino e di ferro.
Colori che rivivono, forti come il vino che offrivano al signore di terre dell'Albegna, nella kylix studiata nel bianco e nero di anni perduti, con i riccioli dei giovani hippotai, il solido corpo dei cavalli, il panneggio del maestro di palestra.

sabato 12 maggio 2012

L'Uomo con il Pallone (la Giuncaiola con gli occhi di Vincenzo Lunardi, visto che siamo da quelle parti)



Passando dal Sudan, arriva dalla Maremma l'Uomo con il Pallone, che nella graticola della Giuncaiola, nel giorno in cui l'Estate completa con un'inopinata apparizione il ciclo delle stagioni, ci manifesta i muri degli Etruschi, i pozzi, le vasche, i misteri, per chi è curioso, per chi è appassionato, per la SNAM e per chi smuove la terra e per chi registra i Segni della Terra Smossa, con gli occhi del Pallone, nella terra che vide nascere (un po' più in là, un confine più in là) Vincenzo Lunardi.
Le lucide ombre di un giorno di sole rovente, nell'ora dello zenit, in ocra di pietre su ocra di terra, per risolvere nel silenzioso fascino di un'immagine l'enigma investigato dove un dì scorrevano e affioravano le acque della Giuncaiola.

giovedì 10 maggio 2012

Personaggi e interpreti sulla scena della Giuncaiola


Sole di maggio o sole d'estate, sulla Giuncaiola di Pontedera, al volgere del settimo mese, o ottavo, ché il conto è incerto.
E tutti si ritrovano davanti alla fronte della scena, misteriosa come le altre strutture, con la porta ingannevole affidata alla mandibola del bovino (o bovina), i personaggi e gli interpreti di un'impresa nel cuore dei misteri dell'Etruria, dove acque perdute o sognate di sorgenti sulfuree sono raccolte in intarsi poligonali, e fiumi violenti nutrono canne e pantani risucchiano nelle melme le tegole. Luogo che fu di acque, oggi di aride sabbie.
I tecnici di SNAM, le archeologhe di Siena e di Lucca, e con l'elmo e la corazza che hanno i colori della luce, i colori degli uomini di Sicilsaldo: un saluto e un grazie a chi in mesi nel vento nella neve nel sole (un po' meno nelle acque) ci restituisce immagini perdute, e arricchisce di sogni gli archeologi.

mercoledì 9 maggio 2012

Ritrovarsi sulla Laguna Perduta (Fonteblanda venticinque anni dopo)







Ritrovare le proprie immagini venticinque anni dopo o quasi, memorie di quando non esisteva il digitale, la cartografia scaricabile, il GPS; a occhio, con schizzi da riversare poi sulle prime, mitiche Carte Tecniche della Regione Toscana.
È faticosa la via del .ppt, quando tutto non è nativo digitale, diapositive vetuste come la storia di un archeologo di frontiera, che salutava il mare dalle alture che (vaneggiando ma non troppo) condivideva con i guerrieri di Telamon, naviganti e pirati, perché da qualche parte i pirati tirreni dovevano pur approdare, per poi andare – come sarà dei Cavalieri di Santo Stefano e dei loro sodali di mare e di corsa, i Cavalieri di Malta – all'imboscata di Rodi, dove chi va da Alessandria all'Egeo deve pur passare.
I Tirreni di Talamone come il Cavaliere di Temericourt, chissà, o come l'Inghirami che portava al Granduca prede per scambi e per le fortune di Livorno. Sono vaneggiamenti, direbbe l'etruscologo raffinato, ma forse no. Ma anche sì, ma chissà ...
E poi anni e anni, per trasformare lo schizzo su carta intestata (che non si riproduce perché con la burocrazia non si sa mai), in ordito di plateia, stenopoi, ambitus, edifici rigorosamente fondati sull'isomoiria, insediamenti di fondazione per gli Etruschi (ma anche i Fenici del Mare di Qua e gli Elleni) che andirivenivano nel Tirreno, prima di venire a battaglia ad Alalia, nel Mare Sardo, negli anni dei buccheri e delle coppe ioniche. E le anfore e il vino, e le vie delle spugne di ferro di Diodoro, e il mare che guarda il Giglio e poi si perde, e poi – ci mostra la dotta archeozoologa – le gioie della scottiglia di Maremma, suovetaurilia laica, e dell'insalata di mare, con il cuore spinoso o acanthocardio che sia a rallegrare il pasto asperso del vino dell'Albegna e di qualche altra parte dell'Etruria, e nelle feste dell'Egeo.
E tutto per l'Amico Museo, amico di Nonsisacchì, ma soprattutto perché Fanciulle Archeologhe che sulla Laguna di Mezzo, dove la Polveriera è bagnata dalle Acque che sfiorano le mura poligonali di Orbetello, custodiscono le memorie delle altre Due Lagune, Vestali del Sapere dei Segni della Terra, possano tenere accesa fino al giorno di poi la tenue fiamma della passione.

martedì 8 maggio 2012

I giorni dei Gigli dell'Auser, le acque del Rio Moro









Le acque di primavera e il sole di maggio ci restituiscono il giallo dei Gigli dell'Auser, in acque effimere come i Gigli, splendide come i Gigli (come disse un dì un'Amica dei Segni dell'Auser). E il vento da ovest increspa le une e muove gli altri, ché la fioritura s'affretti, prima che la terra ritorni inospite per i germani che danzano i riti di primavera, in un cielo che si perde fino allo sguardo di Marcello.
L'acqua di primavera e il vento di maggio fan ritrovare i paesaggi del Medioevo, o del Settecento, al Rio Moro di Orentano, dove Augusto in anni lontani e vicini come vicino è il fuoco della passione, con amici estrasse dalla terra frammenti d'ardesia e scaglie di ematite, segni dei traffici del Ducento o forse anche prima, sul Lago dell'Abate, divenuto lago di faide di comune degne dei versi di Carducci, l'inaudita battaglia sul lago cantata da Maragone, anno 1147 o più o meno, catapulte mangani arcieri fanti e cavalieri (chissà), con scafi e piatte, per il castello letto da Marcello, scritto dalle carte degli Abati, sognato con Augusto e Consuelo, giorni del 2003 e poi ancora, con i frammenti reliquie raccolti da Giuliano, in anni impensati.
Tutto s'affolla in queste acque increspate, che vanno a lambire gli strati d'ardesia su cui Augusto profuse la sua passione geopedologica, descrizioni inaudite di sottili sedimenti che celavano pagine raccontate dall'Olla, dall'Olletta, dal Boccale.
E sulle acque rinate per qualche ora, mosse dal vento come quando erano di lago, in un giorno di maggio che saluta la rinascita dei Gigli, i Tre Vasi segni del Medioevo si riflettono, come i Monti Pisani, sulle acque effimere.

sabato 5 maggio 2012

La Terra degli Apuani (e degli Etruschi)






Sono generosi e nobili, i signori della Nasa, che ci regalano immagini della terra che amiamo, dei Quattro Fiumi e Oltre.
E accade che un'immagine colga, quasi per scelta, le vie dei Quattro Fiumi e degli Appennini e della terra del fiume Magra, e oltre, nelle nuvole e nelle nebbie, fino all'Eridano, opposto gemello maggiore dell'Arno, padre e figlio degli altre Tre Fiumi.
I paesaggi visti nella terra, in anni ormai affollati, sulle colline fra Era e Elsa, sull'Arno, e poi sul fiume sepolto che talora rinasce e che Marcello vide e vede dal Cielo, l'Auser che divenne Serchio di San Frediano, le Panie che guardano il mare e quelle che guardano la terra, la conca dove Paolo e Silvio si sfiniscono con passione a trovare il crocevia della Via dei Bronzetti, dalle Melorie di Ponsacco a Ponte Gini agli antri dei monti e poi sin quasi sull'Eridano, dove li videro nell'Ottocento.
Tutto insieme, nei colori un po' cupi che esaltano il verde dei monti degli Apuani e il giallo della terra degli Etruschi, che l'Archeologo Giovane immaginò a commerciare a Ponte Gini di Orentano, sul fiume e sulla strada, un po' maturo vide nello scavo di un'archeologa raffinata sulle Pizzorne, il Sacro Cerchio intorno al Monolite, ormai sul declinare conobbe nei segni della Fanciulla di Vagli, quattro volte donna, nelle sue quattro e più cinture, nelle sue quattro e più collane, quattro e più tutto, estremo riparo ad una vita non vissuta, e che comunque non avrebbe vissuto fra i suoi monti, che qui biancheggiano incoronandosi di nuvole.
E ritorna, come sempre, l'amico che fece condividere passioni aeree, Marcello Cosci, che avrebbe colto in una battuta d'entusiasmo l'obliqua immagine che porta di là dei monti che chiudono lo sguardo sull'Arno, e avrebbe chiuso con un'altra battuta le pagine infinite di chi conosce solo i Segni dell'Odio (eccellente terapia oncologica, diceva un dirigente che era anche e soprattutto archeologo). Non conosceva i Segni dell'Odio Marcello, come non li conoscevano Antonella e Paola e Giuliana, che ci hanno lasciato.
E piangiamo su di loro, troppo presto scomparsi, ma non nell'amicizia, perenne, che rinnoviamo vedendo con gli occhi degli astronauti la terra che ci regala i Segni del Passato, e i Segni dell'Auser.

martedì 1 maggio 2012

Primo Maggio dei Lavoratori Archeologi







L'Archeologo Zio è un po' nostalgico del Calendimaggio, nei suoni perduti del Medioevo perduto e forse mai esistito di Rambaldo di Vaqueiras. Ma giacché forse egli lavora poco, sfarfalleggiando molto in compenso per alcuni, ma i sodali suoi parecchio, evviva il Primo Maggio del Lavoratore Archeologo, che anche oggi, nel fango e nella polvere, nel buio delle cantine nel sole dei campi, con mestole picconi escavatori ruspe e ruspettive trae dalla terra Segni della Storia.
E Silvio con Paolo alla Murella ad estrarre memorie di Etruschi di qua e di là dalle Radici, e di Golasecchiani che erano Liguri e lo sapevano poco, tra fili che guidano nella pasta di terra ciottoli segni dell'uomo; e le amiche e gli amici che amano il sole della Giuncaiola, per non scivolare quando piove e non ledere il Sacro Pozzo o Chissaccheccosaè reso dalla trama di pietre nel poligonale di ultima maniera che l'Archeologo Zio vide da giovane a Cosa e maturo a Lucca. E gli amici coevi che aprono i Segni del Valdarno di Sotto a chi volesse vederli, a Castelfranco, e gli amici che scrivono relazioni per certificare che esistono i Segni della Terra e le amiche che trasformano gli impasti di terra in Segni dell'Uomo.
Nelle musiche fantastiche di Rambaldo, buon Primo Maggio ai Lavoratori Archeologi!
E – siccome l'Archeologo Zio è figlio del liceo classico – rumores senum professorum (con i loro estenuati tormenti sul Sesso delle Fanciulle di Vagli: tema affascinante per la ricerca psicanalitica) omnes unius aestimemus assis.
Per il professore dei minibus esiste il traduttore di Google.

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