La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

giovedì 30 settembre 2010

Segni del suolo, segni dal cielo. Ricordando Marcello Cosci, un anno dopo

Sarebbe piaciuto, a Marcello, vedere le radici dei segni visti dal cielo, ombre sull'erba o fra le zolle.
Ed è accaduto, in una frastornata periferia di Lucca, che l'eco dei suoni della storia attutita dall'erba divenisse arida scacchiera di terra e di mura, con le ombre che s'incarnano in pietra e calce, in schegge di un edificio miracolosamente scampato a secoli di vita di una campagna ormai morta, ritrovato per l'impegno di un povero archeologo di confine, e di amici che nell'ardore dell'estate sono stati capaci di non soccombere al riverberante biancore della terra riflesso da elmi rossi o gialli..
E mentre ci si accinge a celebrarlo nelle sedi che da vivo mai lo celebrarono, se non per il sorriso aspro di un amico di Siena che ci ha lasciato anche lui, troppo presto, l'amico che con lui condivise la passione per i Segni dell'Auser lo ricorda con immagini che Marcello vedrà con noi, perché la sua lezione e le sue battute sono ancora con noi.

sabato 18 settembre 2010

Munere mortis: la mostra aperta a Villa Guinigi in Lucca, in una sera di settembre fra amici


E in un pomeriggio che ha ancora il sapore dell'estate, e anticipa sul tardi il sentore dell'autunno, dolce come il suono del diaulo (dice Kizzy) che dovrebbe accompagnarlo, il blu su azzurro della mostra tanto faticata si apre ad amici che festeggiano passioni comuni, sogni comuni, l'impegno a fare dei segni della terra testimonianze vitali della storia dell'uomo, e degli uomini del nostro tempo. Una lira stralunata asseconda il fluire dei versi di Catullo, di Virgilio, degli epigrammi restituiti dalla pietra, immagini che in pochi minuti sintetizzano anni di fatiche, e le pagine policrome e asciutte di note con cui si testimonia un impegno di venti e più anni. Gli amici che s'affacciano sulle teche in blu partecipano, testimoni del loro impegno, all'impegno altrui, e questo basta a raggiungere il colore del tramonto ... e domani si attendono nuovi amici, che nelle pagine in blu riescano a percepire l'emozione e la passione di chi le ha composte.

giovedì 16 settembre 2010

Lo sciroppo di Sara, ovvero delle inusitate meraviglie del suolo di Lucca

Fra sepolti paesaggi medievali, bramosi del pennello di Pisanello, più che delle icone del Puccinelli, spunta improvvisa, sotto la mestola di Sara, una buca che narra storie di dolore e morte. Munere mortis non solo nel mondo romano, ma anche in quello dei nonni, storie (si direbbe e dice Sara, erudita dal coniuge erudito) di tubercolosi, di lustrationes post mortem, direbbe l'archeologo del mondo antico, o di semplice eliminazione dei mortiferi cimeli di un familiare di cui tutto viene affidato alla terra, integro o quasi. Catinelle e vetri, bacini, bicchieri, il rasoio, e le bottiglie per sciroppo e le fiale e le siringhe che narrano nel crudo e atemporale linguaggio dell'archeologo una storia di sofferenza malattia e morte invano da cercare nei referti medici, nascosta alla letteratura che non sia quella trombonesca (quasi di certe gazzette locali coeve) del trombonesco romanticismo-positivismo di un'età che sognava Tripoli, e ora Tripoli paventa. E Sara e gli altri amici, protetti dal giallo elmetto, catafratti e luminosi come i cavalieri di Pisanello, dal paesaggio del Tardo Medioevo e dalle pagine del Sercambi ci trascinano repentinamente nelle sofferenze dimenticate dei nostri (per il vecchio archeologo) nonni.

domenica 12 settembre 2010

La tomba del cane e i sognanti paesaggi di Pisanello, nel clangore dei vecchi tromboni di Lucca


La brava archeozoologa, pur travolta dalla macelleria dell'Ottocento, ha colto nell'accartocciato intreccio di ossa in una fossa ovale, visto in un'immagine giallastra, i segni del cane. E il Medioevo in verde e nero che lo seppellisce si colora repentinamente, con qualche decennio di rilassamento consentito al sogno dell'archeologo, dei mutevoli cani di Pisanello, scene gotiche di dame cervi paesaggi devastati dalle ultime pestilenze ai quali la natura dà la forza dei suoi colori.
Si vorrebbe tinteggiare degli infiniti verdi di Pisanello  la caotica e ribalda periferia di Lucca dove il cane fu onorato di amorosa sepoltura, un po' più in là delle case che vedevano gli aranceti e la Casa dell'Arancio voluta e pagata dal Comune nergli anni della servitù pisana, alla metà del Trecento, e che ancora accolse il Sercambi ... e poco ci manca agli anni di Pisanello, quasi che Sant'Eustachio fosse il Paolo Guinigi sfortunato come la sua sognante sposa, noto per lei e per il palazzo tanto amato dall'archeologo che in queste righe versa le sue estreme illusioni, per sé e per la compagnia di amici (molte amiche, anzi quasi tutte) che lo allieta e lo asseconda nei viaggi nei paesaggi perduti.
Si sente echeggiare il primo fiorir di madrigali, sullo sfondo dei gotici prati fioriti di Pisanello, che dan colore all'arida terra in cui ha riposato per seicento anni un cane che poi l'archeozoologa ci dirà se maschio o femmina o quale artrosi lo devastasse, e se e quanto correva dietro ai cervi di Paolo, fra gli aranci di una periferia di Lucca in cui qualcuno ritorna a suonare, dalle pagine effimere di gazzette, vecchi tromboni dismessi da anni, dal suono arrugginito, stanco, quasi patetico. Suoni piuttosto il concento che allietava Pagolo, di ritorno dalla caccia, fra le braccia di Ilaria, di certo non bella come quella sognata da Iacopo, e che anche i villici, nelle loro dimore di pietra (poca) e di terra, nel Medioevo in verde e nero della maiolica arcaica, immaginavano o tendendo le orecchie potevano sentire, nel palazzo di Pagolo, non molto lontano, appena distinto dalle mura di mattoni ...

lunedì 6 settembre 2010

Virgilio a Lucca: i riti funebri dell'Italia romana tra testi poetici ed evidenza archeologica (Munere mortis, II: la mostra)





Nec minus interea Misenum in litore Teucri
flebant et cineri ingrato suprema ferebant.
principio pinguem taedis et robore secto
ingentem struxere pyram, cui frondibus atris
intexunt latera et feralis ante cupressos
constituunt, decorantque super fulgentibus armis.
pars calidos latices et aëna undantia flammis
expediunt, corpusque lavant frigentis et unguunt.
fit gemitus. tum membra toro defleta reponunt
purpureasque super vestis, velamina nota,
coniciunt. pars ingenti subiere feretro,
triste ministerium, et subiectam more parentum
aversi tenuere facem. congesta cremantur
turea dona, dapes, fuso crateres olivo.
postquam conlapsi cineres et flamma quievit,
reliquias vino et bibulam lavere favillam,
ossaque lecta cado texit Corynaeus aëno.
idem ter socios pura circumtulit unda
spargens rore levi et ramo felicis olivae,
lustravitque viros dixitque novissima verba.
at pius Aeneas ingenti mole sepulcrum
imponit suaque arma viro remumque tubamque
monte sub aërio, qui nunc Misenus ab illo
dicitur aeternumque tenet per saecula nomen.

(AENEIS, VI, vv. 212 ss.)

Nel frattempo sulla riva del mare i Troiani piangevano /
per Miseno e gli rendevano gli estremi onori. /
Per prima cosa eressero una grande pira /
di legno di quercia e di alberi resinosi /
rivestendone i lati con fronde nere e rami di cipresso; /
l’adornarono sulla sommità di armi lucenti. /
Alcuni preparano l’acqua bollente in caldaie di bronzo, /
lavano il rigido corpo e lo cospargono di unguenti. /
Si levano lamenti. Poi depongono il cadavere /
su un letto, su cui stendono vesti di porpora.
Altri, volgendo le spalle, si avvicinano al triste feretro /
– compito doloroso – con le fiaccole accese /
secondo il costume degli antichi. Si accumulano /
e si ardono le offerte di incenso, di cibi e di vasi colmi d’olio. /
Dopo che la pira crollò e la fiamma si spense /
bagnarono di vino le ceneri e la brace stridente /
e Corineo raccolse le ossa in un vaso di bronzo. /
Lo stesso Corineo tre volte asperse con l’acqua /
i compagni, con un ramo d’olivo /
purificò gli amici e pronunciò l’estremo saluto. /
Il pio Enea eresse un tumulo imponente /
con le armi, il ramo e la tromba /
sul monte che da lui si chiama Miseno /
e per sempre ne conserva il nome.

I riti funebri figurati in un sarcofago del II secolo d.C. con scene del mito di Meleagro (come indica il personaggio con cani al guinzaglio sulla destra di chi guarda) sono una precisa ‘illustrazione’ dei momenti cruciali del rituale romano dell’incinerazione, del quale Virgilio dà una descrizione poetica proiettandolo nel mondo mitico dell’Eneide.
Gli onori funebri resi a Miseno dai compagni prevedono:
- la costruzione della pira, fatta di varie essenze lignee e rivestita da rami della pianta ‘funebre’ per eccellenza: il cipresso;
- la purificazione del cadavere, lavato con acque calda e profumato con unguenti;
- la collocazione del cadavere sul ‘letto’ funebre, allestito sulla pira;
- la collocazione sul rogo o intorno ad esso degli oggetti più cari al defunto e di offerte alimentari;
- la cremazione, innescata con fiaccole tenute volgendo al rogo le spalle;
- la deposizione dei resti del rogo entro un cinerario (in questo caso di bronzo);
- la purificazione dei partecipanti alla cerimonia;
- la costruzione della tomba che accoglie le ceneri.
Con il testo di Virgilio come chiave di lettura, la testimonianza archeologica dei rituali funebri del I secolo d.C. documentati nel territorio di Lucca diviene perfettamente comprensibile.
I dati archeologici testimoniano che anche nell’Etruria settentrionale del I e II secolo d.C. venivano praticati i riti funerari dell’Italia romana che sono documentati dalle fonti letterarie e dall’evidenza iconografica.
Il cadavere viene esposto sul rogo preparato nell’area sepolcrale (ustrinum); qui si svolgono le cerimonie di purificazione (lustrazione), con il lavacro in cui si impiegano anche unguenti profumati. Il corpo viene bruciato e i resti del rogo sono infine sepolti nell’area stessa del rituale estremo (la pratica è detta: bustum). Il compianto intorno alla tomba, sulla quale è eretto un segnacolo ornato di ghirlande, conclude il mesto addio dei congiunti.
I monumenti dell’Etruria settentrionale – soprattutto le stele – possono essere arricchiti con figurazioni di carattere simbolico (l’edera, la ghirlanda, gli esseri marini che alludono al viaggio nel mondo dei morti), i ritratti del defunto (o dei defunti) e gli strumenti della professione che questi avevano svolto: il fabbro bronzista, il calzolaio, ecc.
L’iscrizione si limita di regola a ricordare il nome dei defunti e le cariche pubbliche che questi avevano ricoperto. Testi poetici, in taluni casi (assai rari), permettono di comprendere l’ideologia che sottende il rito funerario o celebrano il compianto dei congiunti.

sabato 4 settembre 2010

Mysteria Priapica, o dei dubbi dell'archeologo


Scientifiche certezze di archeologi post-winckelmanniani, nutriti di filologia classica, ermeneutica del Robert, chippiunnehapiunnemetta, s'ammutoliscono davanti ai multipli sferoidi basi del cilindroide generati dalla terra fra i due fiumi degli Etruschi e dei Romani, capanne perdute in anni perduti e riviste per un attimo in anni presenti ma anch'essi remoti, altre ere, in cui appariva il bucchero nero del VI secolo e forse VII e la vernice nera echeggiata nelle narrazioni del Mariti e dell'Inghirami, finalmente rivista carica dell'argilla del Pliocene del Valdarno.
Alle certezze cristofanesche della vernice nera, Morel 83 82 con anse e senza anse, graffiti, i buccheri e le ceramiche nella tradizione del bucchero, le anfore greco-italiche, i cippi ancorati alle tombe di Castiglioncello e sottratti al dubbio con dubbi che dovevano attender vent'anni per essere placati, subentra infine, per la mano mattesca di amici appassionati e sempre pronti all'avventura e all'enigma, un molteplice intreccio di volumi sfuggenti, tempestati di segni in cui il sogno vorrebbe riconoscere lettere degli Etruschi che queste terre videro frequentarono amarono, intreccio di volumi da cui, sepolti Winckelmann filologi tedeschi romantici positivisti dell'Ottocento, si vorrebbe balzare indietro alla pazza scienza degli abati del Settecento, ai loro furori preneoclassici, ardenti come le sonate di Vivaldi, per ritrovare Priapo e i Priapei Misteri, il mitico Mutunus Tutunus, la forza estrema della natura cantata con garbata ironia da Orazio.
Memore delle lezioni dei maestri marxisti (che Priapo vuol dire?) e delle radici empiristico-razionalistiche, l'archeologo che (quasi) tutto ha cercato e visto di queste dure terre d'argilla, respinge il fascino del fascinum (che gioco di parole), ma vorrebbe davvero che quella pietra sbozata da chissacchì chissaqquando, con quei segni che vorrebbe segni di Etruschi e forse sono solo ghirigori perduti nelle nebbie degl'infiniti lautni servi coloni mezzadri che queste terre han visto prima degli agriturismi degli Inglesi, fosse un segno dell'ignoto Priapo degli Etruschi, dei lautni che faticavano su queste terre aspre e generose di uva, e rompevano le coppe a vernice nera Morel 82 82, anse e senz'anse, e mescolavano il vino e gli ortaggi di una tera amica al vino delle calde terre del Tirreno del sud. Anche l'archeologo può (o deve?) sognare. E offre al Priapo che tutti illude i fichi generati da una terra bagnata di sole e di vino.

giovedì 2 settembre 2010

Munere mortis. Complessi tombali d'età romana nel territorio di Lucca



Grazie al fondamentale apporto finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, è possibile presentare al pubblico i risultati di venticinque anni di ricerche su un tema certamente oggi ‘di nicchia’, ma nodale nella struttura di relazioni del mondo antico: i rituali della morte.
Quando, nel 1977, a Lucca vennero recuperati i resti di alcune tombe del I-II secolo d.C. negli Orti del San Ponziano, i dati disponibili sui riti funebri d’età romana nella Toscana settentrionale erano ancora quelli pubblicati dal Gamurrini, sulla scorta dei recuperi condotti nell’area della Fortezza da Basso di Firenze nel 1871. Questi consentirono, tuttavia, di valutare adeguatamente i risultati del primo scavo sistematico su una necropoli d’età romana condotto a Lucca, ancora negli Orti del San Ponziano, nel 1981.
L’avventuroso percorso in questo ramo dell’archeologia era, però, solo agli inizi. Come spesso accade, occorreva pazienza, attendere l’occasione propizia.
Per una fortunata serie di coincidenze, fra 2002 e 2005 i dati disponibili si moltiplicarono. Nel marzo del 2002, con i saggi preliminari nell’area del Nuovo Casello Autosdrale del Frizzone di Capannori, vennero in luce sottili lenti carboniose con ceramiche romane; proprio grazie al precedente del San Ponziano cittadino fu possibile capire che si era davanti ad una necropoli d’età romana. Lo scavo, condotto con il supporto finanziario della Società Autostrade per l’Italia, fu risolutivo per ricostruire i riti funerari, e mettere a fuoco cultura e ideologia del nucleo sociale che nel corso del I secolo d.C. depose i resti dei suoi morti, dopo i riti della cremazione, lungo una delle strade della centuriazione lucchese.
Nel 2005, infine, la ripresa dello scavo della necropoli del San Ponziano, nel quadro del progetto di realizzazione delle infrastrutture per la Biblioteca IMT, voluto e finanziato dalla Fondazione, risolveva gli ultimi dubbi sulle ‘pratiche della morte’ a Lucca e nel suo territorio fra I e II secolo. Il dato archeologico collimava perfettamente con i versi di Virgilio da una parte, le immagini dei riti funerari sui sarcofagi d’età romana: le pratiche per la purificazione del corpo e la preparazione della pira, la combustione, la raccolta dei resti del rogo, la loro deposizione nella terra si riflettono con chiarezza nell’evidenza archeologica.
Questo è l’obiettivo che la mostra persegue: non la presentazione di ricchezze sepolte, ma l’illustrazione di un metodo che permette, attraverso il suono dei versi di Virgilio, di capire i ‘segni della terra’.
Gli oggetti ricomposti delle tombe di San Ponziano e del Frizzone – con un interminabile lavoro di restauro che ha visto sommarsi gli sforzi del Centro di Restauro della Soprintendenza al finanziamento assicurato per la necropoli del Frizzone dalla Provincia di Lucca, dai Comuni di Capannori e Porcari, dalla Fondazione Banca del Monte di Lucca – possono essere valutati, così come i dati di scavo, nel volume Munere mortis. Complessi tombali d’età romana nel territorio di Lucca, curato da Giulio Ciampoltrini, nella collana ‘I Segni dell’Auser’, o, più rapidamente, nelle pagine all’indirizzo http://www.segnidellauser.it/muneremortis, e nella presentazione disponibile su Youtube (http://www.youtube.com/watch?v=JcP4kDI-lgc).

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