La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

martedì 20 ottobre 2020

Storie di piatti, da Lucca all'Ohio



Autunno, senescenza, ripiegamenti riflessivi ... or che la terra non dà che funghi acidi, si rifrigge e si rifrulla, per invito o per vagabondaggio ...

Lucca tanti anni fa, luccicare di colori del Settecento e un po' dell'Ottocento, accanto alle antiche mura, archeologhe nel fiore della passione a raccogliere cocci come le ninfe fiori nei prati. E con tanta pazienza a farne amorose corone, vasi interi. E l'archeologo a farne un libro, con ghiribizzi rococò fra Onde e Fiori. 

Ma facendo di pagine antiche nuovi riassunti, la rete fa navigare aggratis, dal Serchio si scende fino a Livorno, per fiumi e canali, fino al magico emporio di Giacinto Micali, Paese dei Balocchi degli ultimi del Settecento, luogo di sogni per aristocrazie girovaghe giunte nel porto somma d'ogni fasto.

Non sono le magie di Wedgwood, quelle che la terra di Lucca gli ha mostrato, è la versione fine ma accessibile, la prima grande globalizzazione Made in England. Bianco, e poi le cineserie in blu, transferware sempre detestato. Chissà perché.

E seguendola sulla rete, ora che i libri sono oltre i muri, si attraversa l'Atlantico, e via, e si risale per il Mississippi e per l'Ohio, e si arriva a Fort Massac, versione americana dei castra augustei (banalmente medita l'archeologo che cercava Haltern) per datare le glorie industriali d'Inghilterra come con quelli le finezze di Arezzo. Ottagoni piatti in terraglia d'Inghilterra, creamware, decorazione plastica, fine ed economica, sulla tesa, e Queen's shape e no. Fort Mossac, abbandonato nel 1814, per Lucca dei cupi anni napoleonici, o un po' prima, o un po' dopo, con gli ottagoni piatti d'Inghilterra.

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