La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

martedì 28 giugno 2011

Brindisi del V secolo a.C. (iniziale) per Paolo e Silvio alla Murella






È bianco del sole del solstizio d'estate il terrazzo della Murella, dopo aver visto il bianco della neve del solstizio d'inverno, le piogge dell'equinozio di primavera, le malinconiche attese dell'equinozio d'autunno.
Tutte le stagioni hanno navigato Paolo e Silvio, quadrato su quadrato, fra sfinimenti vari, non toccati più che tanto da cronoprogrammi e adempimenti di cui al comma x dell'articolo zzz, vista la legge blablabla.
Gli Etruschi della Murella, anni delle guerre persiane e primi della Repubblica, degli Etruschi che navigavano un po' vincendo e un po' perdendo, trasformati da impasto di terra nerastra cocci pietre pietre pietre in ordini che anche all'archeologo-mitologo-ermeneuta di matrice robertiana dicono assai poco, festeggiano infine Paolo e Silvio e l'Archeologo-Zio che segue lo scavo per telefono e sulla posta elettronica, e infine ascende al Sacro Suolo Etrusco su comodi asfalti.
Skyphos etrusco, Gruppo bla bla bla, pennellate in nero sfinite da una terra acida come la fatica di chi infinite volte ne ha estratto farro prima patate poi, e la kylix attica che non regalerà mai le immagini che forse non esistevano, limpida nello sfavillio metallico del tutto-nero, pura forma, avrebbe detto Technau. Ricordi di anni remoti, sul finestrone di Via Santa Maria, a decifrare Exekias e i suoi esegeti.
E il vino, vino etrusco, nell'ollone doliesco rivestito di pece, rotto in un rito che l'Archeologo-Zio immagina, e forse troverà prima o poi il coraggio e l'indifferenza di raccontare.
Brindisi di fondazione, brindisi per Paolo e Silvio, che in quattro stagioni, acqua sole vento neve, hanno fatto rinascere l'insediamento etrusco tardo-arcaico della Murella di Castelnuovo di Garfagnana.

venerdì 24 giugno 2011

Necrocorinthia a Lucca





Di certo non avrà trovato i sontuosi necrocorinthia che trasformarono in tymborychoi i coloni cesariani di Corinto, chi nel corso del III secolo a.C.  trovò la tomba a pozzetto sulle sponde dell'Auser, di uno dei rami infiniti del fiume perduto e sognato. Ma rinnovò il luogo sacro alla morte con un bel servizio da mensa, vernice nera un po' appannata, tutto il completo per bere vino e per le pappe degli Etruschi del III secolo.
Meraviglie e stupori degli archeologi che scoprono di essere stati preceduti duemila e quasi trecento anni fa (proclama l'oinochoe), da rigorosi scavatori del fitto ordito di ciottoli del pozzo destinato alla pace della morte, due volte turbato.
E siano celebrati gli archeologi che corredano la seconda profanazione dei sacri metri e della freccia, maestri della terra, Alessandro ed Elena, che nel luogo geometrico delle loro radici ritrovano radici inimmaginate. E con loro l'Archeologo Zio, che mestamente sorride dell'Archeologia Preventiva, diva femmina a lui negata, follia divinatoria degna delle punizioni che Dante immaginava per i divinatori.

lunedì 20 giugno 2011

Storie viste dalla scala (ovvero: Villanoviani a Lucca)







Stanca archeologi vecchi e nuovi il sole del solstizio, in giorni preludio di tormenta più che del fulgore della pienezza estiva della vita. Sono stanchi, nel loro giovanil furore, forse anche gli archeologi che registrano dall'alto i segni della storia schiacciati nella terra, sepolti con riti eroici tremila anni fa, più o meno, ritrovati da chi faceva la stazione di servizio mille anni dopo, appena appena smossi, e poi di nuovo in queste azzurre giornate che hanno il sapore della primavera, e sono d'inverno plumbeo per l'Archeologo Zio.
Ma il sorriso di Elena, che trova a qualche metro da dove è nata le storie che cercava altrove, fa dimenticare, per un attimo appena, PIC PIT PUC ZIP ZUP CIG CIP CIOP CUP. E poi vai con il POS ...

lunedì 6 giugno 2011

Il Tesoro del Lago, e l'immagine perduta del Riomoro


Ritornano la H e la F in questi giorni in cui l'acqua di quasi estate fa rifiorire i laghi, troppo tardi per i gigli gialli, che solo attendono il trionfo della prossima primavera. I denari neri di tanti documenti del Duecento son ritornati tali quali li vedevano i fratelli dell'Altopascio, quando passavano a chieder l'obolo, o a darne a chili e chili per un po' di terra, che qualche decennio dopo sarebbe ritornata fango e bosco, ma quel poco di luccicante argento che affiorava sulla pelle della mistura è ancora nelle immagini di due anni fa, e nella scienza del professore di Padova.
Ritornan memorie di epoche antiche, sepolte, con le pagine elencose di cocci infiniti quali negli anni Settanta  avrebbero entusiasmato l'archeologo oggi affranto dall'ordine compulsivo del cartellino orario, macchina della Nuova Armonia, con numeri perfetti che velano il Nulla del Presente, il Rifiuto del Futuro. E allora i neri denari di Pisa e di Lucca, sullo sfondo dello scavo del Riomoro di Orentano, oggi rumoroso di nuove vie che lacerano quieti millenarie, scavo di quando Augusto era un po' più allegro, sulla riva perduta del lago, a tracciare quadrato per quadrato non l'ordine perfetto dell'entrata dell'uscita, ma la ribalda armonia di ardesia in schegge ferro in frantumi, e cocci da far risuscitare in un perfetto servizio dei primi del Duecento, da cui versare un po' di vino risalito dall'Arno, pagandolo con i neri dischetti con la F e la H appena sentite da dita stanche di carbone e di voga sul lago.
L'Archeologo non è solo timbratore in entrata e in uscita, quando dal verde spunta uno strato armonioso, nella sua eterologa disposizione fra ghiaia e torba, all'ombra delle piante che Augusto conosce una per una, ama una per una. E il Tesoro del Lago, nero frutto della torba e delle fatiche di qualche barcaiolo del Duecento, sul lago, andando chissà dove, verso Lucca o da Lucca, negli anni dei Gulefi e dei Ghibellini, dei Castelfranchesi che l'Archeologo Timbratore di cartellini conosceva uno per uno, dalle pregamene della loro sofferenza, luccica nel nero del povero argento affiorante sulla pelle della mistura.

mercoledì 1 giugno 2011

La Signora del Lacus (ovvero: le Acque e il Vino)



Sette mesi, due stagioni, e dalle acque riemerge il lacus di Sara, generato dai tubi dell'acqua in paesaggi straniati, lambito dai cavi e non visto (forse), quasi sepolto dalla nuova strada che rende incomprensibili le antiche, centuriazioni che si perdono sotto colmate e fra fossi rigenerati volte infinite, sull'Arno e fra l'Era e il grande fiume, maestro della doppia via da Pisa a Florentia, ultima sosta prima delle Tabernulae che ancora nel secolo VIII spuntavano fra i pantani della pianura.
Dipinta dal sole, nei colori di un quasi tramonto che ha perso il sapore della primavera, non ancora conquistato quello dell'estate, l'archeologa è di nuovo signora della sua scoperta, in un giorno di archeologia figlia di strade, di ospedali, di tubi, fertili o sterili, di rinnovati sogni di Dafni e Cloe con feste rustiche a pigiar l'uva sul fiume e lungo la strada scalcinata, in qualche anno dei Severi o di Decio o di Gallieno, fra erudite reminiscenze del sarcofago di Achilleus e fantasticherie sulle anfore di Empoli e di Forlimpopoli. E l'attesa di saperne qualcosa di più, mentre l'archeologa Signora del Lacus registra in bianco e nero i colori dell'opus testaceum, degno figlio della manualistica di Palladio. E le immagini dei putti festosi di Santa Costanza ad aggiungere altri colori, e i sapori del legno, ai quattro che la terra di Pontedera ha regalato a Sara, facendola aspettare sette mesi, e all'Archeologo Zio perché non stia solo a rimuginare sull'infinita insensatezza del tutto.

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