Trionfa l'anfora di Empoli, per tre giorni, sotto la Cena degli Agostiniani, in Empoli. Trionfa con bordi e colli, puntali e pance, notomizzati in tipi e gruppi infiniti, in contesti ben datati e in contesti frullanti nei secoli, scanditi in fasi rigorose o fusi.
Se ne esce travolti da una massa di dati, testimoni di una disciplina viva e affollata di giovani, quando il sentore dell'accademia pervade le stanze dei convegni.
Vecchi testimoni degli anni in cui il misterioso contenitore turbava di tipi e di cronologie gli studi assistono un po' compiaciuti e un po' crucciati all'ininterrotto flusso del vino del Valdarno, e, come vuol qualcuno assai amante dell'agro pisano, delle colline tra Cecina e Fine, bianco dell'Empolese e bianco di Montescudaio, rosso del Chianti e rosso delle colline pisane, e chissà quale altro vino che deliziava le ciurme delle barche che portavano Rutilio, e ciondolavano fra Roma e Pisa, Arelate e Tarraco, fermandosi anche sulla spiaggia di Torre Tagliata ad assopirsi nel tramonto sul mare del Giglio e di Giannutri.
E si vorrebbe sceneggiare la puntigliosa sequenza di orli tondi o larghi, appiattiti o dilatati, di anse a orecchio o a orecchione, allargate come quelle di Dumbo o allungate asininamente, con i nipoti e i subnipoti dei vorticosi vendemmiatori e naviganti delle vigne e delle navi che l'ansia di sopravvivere di un mercante di Firenze o di Ostia, o di chissà dove, e gli oscuri sogni di un architetto romanico ci hanno lasciato nel Battistero di Firenze.
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