La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

lunedì 4 ottobre 2010

Archeologia apollinea e archeologia telchinia, sotto forma di inno a Paolo ed epicedio per gli archeologi B-series

Archeologia apollinea, delfica, intrisa dei colori del cielo, che fan predire quel ch'è sotto terra, appena appena  assaporando i vapori del suolo; ma si sa, un po' di sniffaggio aiuta, in certe circostanze. Questa è la novella archeologia, l'archeologia preventiva, che allieta le festose turbe dell'accademia e i lor maestri, sagaci dispensatori di profezie celebrate dal GIS, illuminate da infiniti corsi di mistica ascesa, che all'estremo grado e dopo tutte le iniziazioni tutte fan predire quel che la terra asconde. È l'archeologia preventiva, bellezza, ci vogliono tutti i bollini blu, i timbri, il bacio di Apollo e il casto (almeno lei, ci pensino pur le Ninfe, semmai) sorriso di Artemide, il favore di Letó.
E poi gli archeologi telchini, deformi per il lungo chinarsi sulla vanga, ridotti al colore degli ocracei terreni ai quali sottraggono i Segni della Storia. Non predicono dal volo degli uccelli o dall'esegesi dei mistici pareri della Pizia, al massimo s'impregnano le mani del Sangue della Terra e riscoprono l'aruspicina degli avi antichi. È finita l'ora dei Telchini, vecchi, deformi; se ne vadano negli antri al cupo servizio di Efesto, se pure il dio conobbe il coatto sorriso di Afrodite. Il vecchio e stanco archeologo, sfinito da trent'anni di fatiche telchinie, lo sa, e quasi benedice la Benefica Dirigenza che gl'impedisce, con i Sacri Cavilli sotto forma di glossa al Decreto, di correre su per i luoghi delle telchinie sofferenze infliggendo torture alla schiena storta, alla caviglia gonfia, agli occhi incerti se veder lontano o vicino.
Ma Paolo non lo sa, e continua, zolla su zolla, vivendo i Giorni dell'Acqua dopo quelli del Sole, a sottrarre righe di storia, sotto forma di cocci immersi negl'impasti della terra che fecero Etruschi di Montagna duemilacinquecento anni fa, alla Madre Terra. I suoi vaticini non sono apollinei, i Sorridenti Numi dell'Accademia, che con lor Ninfe sono pronti a divinare su quello che Paolo vuol narrare sulla sua fatica, volgono altrove lo sguardo, dacché i Sommi Amministratori benignano loro e lor Ninfe.
Paolo non lo sa, e forse non gl'importa nulla di saperlo. Il vecchio archeologo lo sa, ma forse non gl'importa nulla di saperlo, quando la Fatica Telchinia di Paolo, compagno di trent'anni di fatiche sulle aspre e solatie terre che vedono nascere l'Auser, gli regala le immagini di uno scavo straordinario.
Non è apollineo, ma Apollo lo benigna dei suoi colori, e le Ninfe della Terra vanno a trovarlo.

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