Appassionato davvero chi giunge a Castelvecchio, nella festa per i bambini del Rwanda inghirlandata anche d'Archeologia & Storia, in una sera di sabato che sa di tarda primavera, a sentir divagar d'iscrizioni di Laronii che divengono Laboini, nella 'tradizione tarda' che fra' Benigno accoglie e preserva, e d'altre storie immaginarie di un'abbazia perduta, fascinosa nella lettura delle sue carte e nelle vignette del Sercambi, sul lago e sulla via per Roma, negli anni dei Longobardi, snodo di vie di potere per giungere all'Arno e poi divagare per la Valdera, scegliendo di qua o di là per le Maremme o Siena e barche per andar sull'Isola vissuta dall'alto con Marcello e Consuelo e Augusto, or sono più di dieci anni, per dare linee di castelli descritti da Bernardo Marangone ai frammenti generati dalla terra.
L'Abbazia di Sesto, centro di potere negli anni della fondazione, centro di potere nel suo farsi villa, si apprende dalle emozionanti pubblicazioni di storia orale, da rivivere per un'ora nel riflesso delle due iscrizioni volute da Kurze a fondamento (della fonte?) di fra' Benigno, con Salviano giovin dabbene figlio di un fantastico imperator Costante andato a morire sulle rive del lago, divenuto Salmiano in qualche trascrizione corsiva, e poi, perché no, negli anni del tardo Cinquecento, un Solimano da far muovere nel teatro del lago e di Lucca con le vesti del Tasso.
Fiction cinquecentesca, fonti tardomedievali, chissà, storia che non sarebbe dispiaciuta ai tempi del peplum.
Il Laronio che divien Laboino, barone dello 'mperatore, Salviano che si fa Solimano, e i Longobardi passati dal sogno di conquista al sogno del pellegrinaggio, a costruire un'abbazia che accolga Wyllibald e i suoi, appena orfani di re Riccardo, viandanti per Roma e Terrasanta, al far della sera del dì che usciron di Lucca.
Illusioni effimere, come quella del lago risorto per pochi giorni, il lago che fu di Sesto e dell'Abbazia, fatemorgane generate da due iscrizioni.
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