La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

lunedì 21 dicembre 2020

L'ombra lunga dell'Etrusco




Un bel regalo per il Natale, gli amici antichi e nuovi del Mugello, la tomba quasi principesca di Radicondoli, meraviglie di scavo, rigore di studio, documentazione perfetta ... 

E giacché sono i giorni del solstizio, e le ombre sono lunghe, la decorazione del barilotto con battente per coperchio, plastici trionfi di meandri, si allunga nel tempo e nello spazio fino agli scavi nel fango di Lucca, Via Squaglia, autunno del 1982 ... e poi un bravo restauratore a ricomporre dallo sfacelo di tombe distrutte un cilindro inquietante, e le pagine di Francesco Nicosia, di Giuliano de Marinis, e Fausto Berti e poi di Giovannangelo Camporeale ... memorie, per ricomporre le vie da Volterra verso il settentrione seguendo il filo dei listelli. 

E le geometrie policrome degli spazi di Villa Guinigi per rammentare al viandante distratto le prime storie della Piana che sarebbe poi stata di Lucca.

Un triangolo del VII secolo a.C., un po' prima forse nel Mugello, un po' dopo nel suburbio di Lucca.

Storie sepolte, accantonate, concluse tanti anni fa, che si risvegliano con le ombre lunghe del solstizio, da Volterra a Lucca, da Lucca al Mugello, dal Mugello a Volterra, terre di Etruschi.
 

martedì 15 dicembre 2020

Abitare alla longobarda

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Mesi e stagioni di fatiche, per Elisabetta e Susanna, venti anni fa, la Loggia dei Mercanti, il cuore di Lucca. Fabbri e fucine per metri, e infine, negli abissi, un barlume dell'Alto Medioevo così cercato, in quegli anni remoti.

Si sta chiudendo, i fondi di bottega vengono messi a liquidazione, già si era detto di quel monolocale datato al nascere da una placca per cintura, alla sua metamorfosi in bilocale forse con porticato, chissà, nei tempi di mitiche brocche che nel beccuccio hanno il sapore degli anni longobardi. Forma amata da chi stampigliava i barbari impasti e da chi modellava le pentole memori degli ultimi anni dell'Impero, preparazioni alimentari semiliquide, chissà ... sarà la fine del VII secolo, sospetta l'archeologo, se Roma insegna ... Quanti chissà.

Ma per ricostruire il monolocale riscaldato da un focolare appena decentrato, non occorre andare a Roma. Si è atteso venti anni per raggiungere Pistoia, e gli acquisiti del medico del re, anno 726, il vir magnificus Gaiduald, mulino nel suburbio di Pistoia con corte e sala, «pedeplana, muris circumdata, scandula coperta». Abitare alla longobarda a Lucca negli anni dei ghirigori di marmo, un monolocale pianterreno detto sala, coperto di legno, perché traccia non v'ha di altre coperture, opera Gallica, venticinque scandole per una tegola. Ma con riscaldamento. I lussi degli anni di Cuniperto e Liutprando, anche un bagno caldo ci si poteva fare. Qualche volta letale.

 





 

giovedì 19 novembre 2020

Croci da colorare




Finita è la fatica delle croci, il viaggio a Gropina, dubbi e ri-dubbi. Domande senza risposte, croci su lastre, memorie del Tardo Antico, ossessioni longobarde ... chissà.

Mancavano i colori, per la croce palmata, già vista a Spoleto ma poi nelle ampolle di Terrasanta, e nella cattedra egizia per San Marco, passata da Grado. Girovagando ancora per l'Egitto, si finisce senza soffrire il caldo nel romitorio di Kellia, molto frequentato per le ceramiche. Ma occorre entrare nella cella del monaco, per trovare a colori, fiorita, la crux palmata.

E si completa infine, negli anni delle tante croci, di Guerre, Carestie, Pestilenze & Alluvioni, la Croce di Gropina.

Un bel rosso, con qualche sfumatura di giallo, sul bianco candore della pietra.

 

martedì 20 ottobre 2020

Storie di piatti, da Lucca all'Ohio



Autunno, senescenza, ripiegamenti riflessivi ... or che la terra non dà che funghi acidi, si rifrigge e si rifrulla, per invito o per vagabondaggio ...

Lucca tanti anni fa, luccicare di colori del Settecento e un po' dell'Ottocento, accanto alle antiche mura, archeologhe nel fiore della passione a raccogliere cocci come le ninfe fiori nei prati. E con tanta pazienza a farne amorose corone, vasi interi. E l'archeologo a farne un libro, con ghiribizzi rococò fra Onde e Fiori. 

Ma facendo di pagine antiche nuovi riassunti, la rete fa navigare aggratis, dal Serchio si scende fino a Livorno, per fiumi e canali, fino al magico emporio di Giacinto Micali, Paese dei Balocchi degli ultimi del Settecento, luogo di sogni per aristocrazie girovaghe giunte nel porto somma d'ogni fasto.

Non sono le magie di Wedgwood, quelle che la terra di Lucca gli ha mostrato, è la versione fine ma accessibile, la prima grande globalizzazione Made in England. Bianco, e poi le cineserie in blu, transferware sempre detestato. Chissà perché.

E seguendola sulla rete, ora che i libri sono oltre i muri, si attraversa l'Atlantico, e via, e si risale per il Mississippi e per l'Ohio, e si arriva a Fort Massac, versione americana dei castra augustei (banalmente medita l'archeologo che cercava Haltern) per datare le glorie industriali d'Inghilterra come con quelli le finezze di Arezzo. Ottagoni piatti in terraglia d'Inghilterra, creamware, decorazione plastica, fine ed economica, sulla tesa, e Queen's shape e no. Fort Mossac, abbandonato nel 1814, per Lucca dei cupi anni napoleonici, o un po' prima, o un po' dopo, con gli ottagoni piatti d'Inghilterra.

martedì 15 settembre 2020

Decennalia. Memorie del mondo perduto.


Dieci anni tondi, Munere mortis, sepolcreti della piana di Lucca, mostra sobria a Villa Guinigi, un volume(tto) faticato, un inizio per un'avventura durata tre anni, amici e direttori di museo ospitali, una fondazione ancora interessata alle memorie del passato ...

Dieci anni. Molto può accadere, molto è accaduto. Mostre né sobrie né opulente, un mondo evaporato. Restano le immagini nella rete, l'evento fu conclamato, non c'è dubbio, dovunque si poteva. Allora un po' si poteva, molto ci si interessava. Resta il volume(tto), a piena risoluzione, in rete.

Anche questo Munere mortis.

mercoledì 19 agosto 2020

Crepuscolo in Valdera. Ricordando Giuseppe Mostardi.


 

Lungo è il crepuscolo nella Valdera, infinito il rosseggiare oltre l'ultima quinta di colline, e poi il Tirreno.

Sei anni quasi esatti dacché l'archeologia di quelle terre va per altre rotte; eppure quando si guarda da oriente o da occidente la valle, un raggio illumina qualche memoria, di Etruschi, di Romani, del Medioevo infinito e multiforme ...

E oggi che dall'amico ancora appassionato e vivace, per tutto e nonostante tutto, Lorenzo Bacci, si apprende che il compagno di viaggi e d'avventure degli anni del ritorno in Valdera, i primi del nuovo millennio, dopo le antiche storie di cippi e del Mariti, Giuseppe Mostardi, non c'è più, il raggio del sol morente si fa più vivo, fende la prima notte. Splendono marmi etruschi veri o presunti, grotte che forse furono tombe e tombe che ora son grotte, e quante storie di ordinaria burocrazia vissute con Giuseppe, maestro di quest'arte oltre che dalla storia della sua terra. Tectiana e dintorni, condivisioni e dispute.

Infine Soiana, miseri lacerti di tante vite, terremoti, devozioni, piante recuperate per ricomporre miseri lacerti. La Chiesa Vecchia, con Giuseppe che sapeva entusiasmarsi per questa come per la Tunisia ...

mercoledì 12 agosto 2020

I giorni della salicaria


Frementi tocchi di porpora nascono dai fossi e dalle zolle ancora intrise delle ultime piogge, nella Terra dell'Auser ... la salicaria, o salcerella, erede estiva dei giglio d'acqua. S'intrecciano con il verde, in faticosa attesa di nuova forza dal cielo.

Purpurea signora del Botronchio, vista quante volte con Augusto, negli ardenti pomeriggi in cui si sognava di nuovi scavi, e con Consuelo e gli altri nei giorni in cui il ponte degli Etruschi si svelava pian piano. Ma mai del tutto ... L'unica estate piovosa, anno 2014.

Un velo purpureo, e dietro il ricordo.

martedì 7 luglio 2020

Da Lucca al Capo Tenaro, seguendo le stelle





Ψηφιδωτό "ΑΣΤΕΡΙ ΤΗΣ ΑΡΙΑΣ" , Ακρωτήριο Ταίναρο Λακωνίας. e segue rapida emozione del filmato, all'estremo del Peloponneso, all'estremo della Grecia, Capo Tenaro, triste per l'Italia Capo Matapan, santuario di Poseidone, apertura per gli Inferi. Appena s'attutisce l'emozione, cercando dotti studi donde si acclara che la stella decora una domus forse di un negotiator Italicus, ed italico è lo stile del pavimento, chissà se sosta rinfrescante (!!!) sulla via di Delo, o per gestire cave di Laconia.
Certo la cantina di Lucca, Palazzo Sardi, scavi dell'anno che fu l'inizio della fine, non dà le emozioni dell'arida punta del Peloponneso, il Mani così remoto, persa nell'azzurro del cielo che si confonde con il mare, e le suggestioni che faticano a cedere alla dottrina, travolte da un vento che si immagina permanente.
Ma se le rosette sono stelle, ed è bello così immaginarle, perché non seguire la stella di Lucca, passando da Musarna, e Sulmona, e Caulonia, e arrivare dove l'Eliade si perde nelle sue isole? Negotiatores Italici e fascino ellenistico, in una sera d'estate, di anni trasferiti in carta e in Megabyte.


giovedì 18 giugno 2020

Per non perdersi nel labirinto di Lucca romana



Anni per rimuginare, guardare indietro, girovagare, e anni per chiudere, quando non si può più guardare avanti.
Il viaggio nel labirinto non troverà altri fili, oltre quelli splendidi già trovati, quel che c'è c'è, direbbe il volgo di Toscana.
E dunque non resta che metterlo in qualche ordine, squadernato labirinticamente in quadranti interni ed esterni, con numeri che un po' vanno in un senso e un po' nell'altro.
Fatiche ad avanzatempo, index rerum sotto forma di Carta Archeologica, e di viaggio in trentasette anni di Gioie&Tormenti.

martedì 19 maggio 2020

I sogni dell'Auser



Certo, un po' di fantasia è necessaria per raggiungere l'Auser, dopo aver ritrovato al Metropolitan il Fiume di Puvis de Chavannes, la Somme, costruttori di ponti, pescatori, naviganti ... Ma nemmeno troppo, un volo di Google Earth e si è sull'Auser, su quel ramo che lambisce il Botronchio, il ponte sognato con Augusto e visto con Consuelo, tempi remoti .. Ponte etrusco, legni di travi e di navi che vanno dal V secolo a.C. all'Ottocento, che il tocco rarefatto di Puvis rende senza tempo.
Non occorre archeologia sperimentale, non occorre finezza di ricostruzioni. L'epos senza tempo è senza tempo (appunto).
E nei volumi potenti di colori misurati, senza ombre, si è subito fra gli Etruschi di un tempo sognato.
Dai Segni dell'Auser ai Sogni dell'Auser.

venerdì 17 aprile 2020

Orfeo per i pastori delle Cerbaie (e per gli archeologi delle Cerbaie)



Suona la pandura, l'elegantissimo cantore dell'Imperatore, splendido e malinconico Orfeo che ammansisce le belve e ne è anche il pastore. Dal Palazzo Imperiale, mosso di volumi e di colori (ma non si trova un'immagine a colori!!!), alla chiesa di Cirenaica.
Suona per l'Imperatore, di certo, suona per belve e per mansuete greggi, suona per la Natura tutta, e forse suona anche per i pastori del registro un po' più in là, tanto frequentati, anche se Google non c'era, per immaginare Corte Carletti, capre pecore anfore ...
Lasciamo che suoni anche per Augusto, che la Natura tutta amava e conosceva, e i segni della terra parte della storia dell'ambiente, si direbbe oggi, o forse si diceva un dì.
La pandura, strumento del massimo tra i cantori e della Musa, per l'amico che da un mese non risponde al telefono ...

mercoledì 8 aprile 2020

La bella e i barbari. Chiusi A.D. 500




Si seguono i delfini, in questi giorni di primavera, e si risale su, verso l'Eufrate, ma è d'obbligo una sosta nella terra delle Amazzoni, a Edessa che è oggi Urfa, dove Digenis l'Akrita perse la testa almeno per un po' per la bella Maximó. Aveva buoni motivi, l'eroe dei Romani che non sapevano di essere bizantini, se queste erano le Amazzoni  ...
Bellezze d'Oriente, le Amazzoni e la Dea, sobriamente eleganti, con gli orecchini che fan tornare a Chiusi, scavi del '53, ammasso di crani deformati e rare bellezze. Bronzo di orecchini che potevano sfavillare quasi come l'oro delle aristocratiche di Siria.
Bellezze di Chiusi, anno 500, più o meno venti, ma forse meno, per le bellezze gotiche, con il cranio deformato, alla unna. E ora che ci si pensa, beh, un po' sembra davvero che il re dei Goti d'Oriente, che ne aveva viste parecchie, e certamente aveva la Vittoria in pugno, fosse stato abbellito alla unna, negli anni della sua gioventù, che eran poi quelli.

sabato 4 aprile 2020

I delfini dell'imperatore per i Longobardi di Toscana









Giorni di clausura e di attesa, primavera rarefatta, con l'amico perduto senza saluto ... e si naviga, sulle onde della rete, onde altissime, talora placate, ma sempre capaci di offrire nuove rotte. Ah, il rimpianto dell'archeologo vecchio, averle avute nella remota gioventù, quante sciocchezze in meno. Ma forse anche in più, chissà.
E allora i delfini plasmati nell'oro per la cintura del Longobardo di Santa Giulia a Lucca, il vir magnificus che invocava Dio a dar forza al suo scudo, visti in immagine e poi rimessi a lor posto, arrivano guizzando su mari silenti fino al Bosforo, al segno sublime del risorto Impero di Giustiniano.  Santa Sofia, il sectile più bello d'ogni tempo, curve e colori perfetti. I delfini come logo del potere, accanto alla cornice di verde e di croci, alla remota epifania della Croce, negli ultimi anni dell'Impero, momento effimero di luce quando già i tuoni annunciavano tempeste su tutti i fiumi del confine. Segno dell'Impero per il Longobardo di Lucca, si vorrebbe immaginare, il dono dell'Imperatore accanto a quello del Re di Pavia, tutto in uno, per rammentare nella tomba la storia dell'uomo di guerra.
E certo i delfini piacevano al Longobardo, e a chi lo riforniva dell'ostentato vigore di guerra, se a Chiusi un delfino saluta festoso dietro all'ambiguo ketos, sul lungo coltello che è quasi scramasax. Sulle vie del mare è migrato a New York, il delfino di Chiusi, con il ketos che di certo negli anni di Giustiniano subito rammentava il terribile Porphyrios, incubo del Mar Nero, dice Procopio, finché non finì su una spiaggia e in pezzi. E i delfini tornarono festosi sulle acque di Costantinopoli.
Una storia ambigua, di un'orca (dice che s'intende di ketoi), dell'essere marino che salva Giona e tormenta il bifronte impero di Giustiniano. Chissà, scomparso Porphyrios, ketos un po' balena ma molto orca, i delfini potevano ritornare davanti al palazzo imperiale. La fortuna dell'imperatore che le aveva viste tutte, l'Anno Senza Estate, la peste, guerre senza fine anche in città, e anche l'Orca Assassina. Una Fortuna che si era quasi sempre chiamata Belisario.
E da ultimo aveva visto i Delfini. Fortuna dell'Imperatore e dell'Impero, scritta nell'oro, per assicurarsi la spada dei Longobardi di Toscana.

giovedì 26 marzo 2020

La capanna dei pastori erranti dell'Asia. Per Augusto




Ne avremmo ragionato, Augusto, della capanna dei pastori dell'Asia, erranti, capanna di canne e giunchi, nell'avorio orientale finito per San Ludgero in Germania. Certo, ne vedemmo di capanne tardoantiche, per dare volume ai pali che avevi trovato, con i tuoi amici di trent'anni fa e più, sulle Cerbaie che guardano il lago che di tanto in tanto risorge, e i pastori vi menan le greggi. Corte Carletti, anno dimenticato, non dimenticati gli amici di quell'anno.
Una di più, di canne, di giunchi, smontabile, chissà, trovata per caso navigando senza meta e senza senso, in questi giorni di inaudite epidemie, nell'oceano della rete, da aggiungere alle discussioni senza fine.

martedì 17 marzo 2020

Per Augusto, nel silenzio del vento del Botronchio.



Una telefonata, un mattino di un giorno di epidemia, e Augusto Andreotti non c'è più. La sua ansia di conoscere, la sua capacità di scoprire e di dubitare, se ne sono andate. Una caduta, costole fratturate, i polmoni che cedono, due mesi e più di ospedale, e Augusto non c'è più.
Quasi quarant'anni di curiosità condivise, Orentano e il magico Botronchio, terra di vie etrusche e romane, di Ponte Gini, come si volle chiamare il luogo degli Etruschi, e poi Fossa Nera e Fossa Cinque e Fossa Due e Marti e Lucca ... e quante discussioni, spesso d'accordo, spesso no.
Maestro delle terre di Cerbaie e di padule, di erbe fiori piante etruschi romani gente di preistoria e dell'età del bronzo ... il nostro mondo era finito qualche anno fa, con i pali del ponte etrusco del Botronchio che avevamo immaginato e poi vedemmo e tu solo in immagine. Non le nostre scoperte, la bilancia di Banna, il piombo per il lykion ... ancora ieri.
Non avresti apprezzato un «Ciao, Augusto». Semplicemente, il silenzio, il silenzio del vento del Botronchio.

lunedì 9 marzo 2020

Girellando per Parlasci




Giorni di primavera che è profondo inverno, inverno delle attese, inverno di morbi. E l'inverno, si sa, è fatto per ritornare ai colori dell'autunno, così morbidi, pastosi ...
I parlasci della Tuscia, che furono anfiteatri dell'Etruria, e d'Italia, riappaiono sfogliando le carte dell'archivio che da quarant'anni ossessiona l'archeologo pensionato, amante certamente più degli inchiostri antichi che del pathos degli strati. Visti e rivisti, e per rispetto inane non sviscerati, ma ora si può, ora che è chiaro che il parlascio maggiore di Florentia è fratello quasi gemello di quello di Lucca, colonia ugualmente degna di doppio parlascio. Municipali ambitione, c'era qualche dubbio, allora, sul deambulatorio vagheggiato dal Corinti ma le carte del Fraschetti, che Elena e i suoi hanno delibato in dotto saggio, fanno luce. Più ancora, croccanti dei loro centrotrent'anni e più, gli involti dell'archivio.
Ed è lì, dove il cuneo s'affaccia sulla porticus (che sia quella di Aufidia, dubita l'archeologo epigrafista sbeffeggiato, altro che la dedica dell'Iseo ... quante sciocchezze, e il dubbio c'era), certezza che il Fraschetti aveva capito tutto. Colonnata prospettiva che s'apre sull'accesso, chissà. Ma aspettiamo che Elena signora di anfiteatri mantenga le promesse ... Parlasci gemelli, un po' maggiore quello di Florentia, e in proporzione. Ellissi sorelle, scansioni sorelle di cunei, un po' più fitti, ma appena, quelli della maggiore. L'architetto aveva venduto due volte il progetto, prima a Lucca, si direbbe, e poi ai Fiorentini, che per dispetto lo vollero un po' più grosso ... Municipali ambitione.
Nel frattempo, girelliamo intorno al parlascio, negli anni in cui più non vi si entrava, e tutt'intorno si correva, *perielasion, bel termine ellenico anche se un po' fantastico degli anni del Cristiano Impero.
Vestendosi dunque alla bizantina, con quella cintura dalla bella fibbia che tanto incuriosì il bravo Fraschetti, persa sulla via da qualche affaccendato brav'uomo del secolo VII.

martedì 25 febbraio 2020

Emozioni differite. Ritornando a Val di Vaiana di Barga (quasi) cinquanta anni dopo



Quante volte sfogliati i fascicoli della Soprintendenza che fu, ma ancora può accadere che una busta apra inattese emozioni. Val di Vaiana, Barga, la storia di un gruppo di appassionati, settembre 1970, alla ricerca degli antenati, ed ecco che in immagini in bianco e nero, e nei colori un po' metallici di quegli anni, appare la tomba nel magico momento che si svela.
La storia di un guerriero ligure, anni 250 a.C. un po' più un po' meno, dichiara la coppa venuta dall'Etruria, appesa alla parete con un gancio di ferro, come per la Fanciulla di Vagli, con il suo bicchiere per la birra degli avi, la punta della lancia, un po' di borchie per chissà che cosa. L'olla consunta, la coppa per coprire le ceneri ...
Austere dotazioni, essenziali, rituali, per seguire le vie dei Liguri di qua e di là dell'Appennino, congiunti dai valichi, e non divisi dai crinali, come spesso è per la gente di montagna, direbbe Anselmo.

domenica 9 febbraio 2020

Castelnuovo di Garfagnana. Una storia archeologica




Giulio Ciampoltrini, Silvio Fioravanti, Paolo Notini

Il territorio di Castelnuovo di Garfagnana
dall’Età del Bronzo alla Tarda Antichità. Una storia archeologica

La rupe su cui sorge Castelnuovo di Garfagnana è chiamata dalla sua posizione a svolgere un ruolo cruciale nel sistema stradale e – di conseguenza – degli insediamenti dell’Alta Valle del Serchio (fig. 1). Qui convegono tre assi itinerari: il primo risale verso i passi delle Radici e di San Pellegrino, sulla sponda sinistra del fiume, e porta alla Pianura Padana; il secondo, fiancheggiando la Turrite, conduce alla Versilia e al mare; il terzo percorre la Valle del Serchio, seguendo da vicino il letto del fiume o, piuttosto, attestandosi sui terrazzi che lo orlano.


Già dall’Alto Medioevo furono proprio le rocce di Castelnuovo a dominare questo crocevia. L’evidenza archeologica è affidata solo all’incerta testimonianza di una tomba d’età longobarda di ritrovamento ottocentesco[1]; i saggi stratigrafici condotti nell’area della Rocca Ariostesca non hanno rivelato testimonianze di frequentazione precedente a quella del castello dell’XI secolo, che ha generato l’attuale centro murato e che è noto delle fonti documentarie[2]. Tuttavia non sembra discutibile che il Castellum Novumcitato da documenti d’età longobarda, nel secolo VIII, quasi certamente di fondazione tardoantica (V o inizi del VI secolo), sfruttasse la posizione protetta dell’attuale Castelnuovo. La difesa naturale è tratto essenziale per l’ubicazione dei castellache a partire dal V secolo d.C. vigilavano sulla sicurezza del sistema stradale di ciò che restava dell’Impero Romano. La cura delle vie era ancora attenta, sia perché erano indispensabili al rapido movimento degli eserciti, sia perché potevano trasformarsi in assi di penetrazione degli invasori. I Longobardi, al loro arrivo in Toscana, conservarono almeno per un secolo questa eredità dell’Impero, che garantì il collegamento di Lucca con la capitale del loro regno, a Pavia.
In altri momenti storici diverse condizioni – sociali o politiche – non avevano imposto di cercare luoghi protetti come sede degli insediamenti. Infatti, più che la rupe alla confluenza fra Serchio e Turrite, a lungo furono soprattutto i terrazzi nei quali l’Alta Valle si dilata a sud di Pontecosi a popolarsi di una vera e propria rete di abitati. Questi abbinavano allo sfruttamento di aree dall’elevato potenziale agricolo o possibile pascolo per il bestiame, la collocazione sugli itinerari che si sono appena descritti e le conseguenti relazioni commerciali.

Alla Murella di Castelnuovo, sul terrazzo alla confluenza fra il Serchio e il suo affluente di destra che oggi ha nome di Esarulo (il ‘piccolo Serchio’, Auser/Aeser), gli scavi preliminari alla costruzione della circonvallazione di Castelnuovo misero in luce, fra 2010 e 2012, stratificazioni che documentano la presenza di un insediamento del Bronzo Medio, in una fase antica (circa 1600 a.C.)[3]. Poco a monte, nell’area del Muraccio di Pieve Fosciana, era già stato scavato un abitato che aveva testimoniato la presenza di comunità strettamente legate alla civiltà della Pianura Padana detta ‘delle terramare’, fiorita per gran parte del II millennio a.C. Soprattutto la tipologie delle tazze, con le caratteristiche anse configurate, avevano rivelato che fra 1500 e 1400 a.C. la Garfagnana era parte di questo ambito culturale. I ritrovamenti della Murella corroborarono queste considerazioni. Fra i materiali ceramici appare di grande interesse la scodella provvista di una particolare presa (detta ‘canaliculata’) e di un apparato decorativo reso a incisione, con ‘motivi radiali’ (fig. 2) che ne coprono l’esterno, partendo dal ‘pettine’ inciso sul fondo. L’ornato compare, con varianti, in analoghi capi ceramici ritrovati nell’area padana e può essere datato nel momento iniziale del Bronzo Medio (circa 1600 a.C.).
Incrociando queste informazioni con quanto emerge da altri siti della Garfagnana, si è concluso che la complessa struttura culturale e sociale delle ‘terramare’ padane attivò sin dalla sua formazione una via di comunicazione verso il Tirreno, seguendo la Valle del Serchio, che veniva raggiunta probabilmente dai passi delle Radici e di San Pellegrino. Le comunità insediate fra il Muraccio e la Murella segnavano una tappa di questo percorso, che si concludeva nella Piana dell’Auser nel grande villaggio di Fossa Nera di Porcari[4]. Grazie alla vivacità di questa via e alle risorse del territorio, per più di tre secoli l’Alta Valle del Serchio si popolò di villaggi la cui cultura è sostanzialmente identica a quella delle comunità delle ‘terramare’ dell’Appennino emiliano. Con queste i contatti rimasero strettissimi sino alla grande crisi che, intorno al 1200 a.C., portò alla fine repentina di questa civiltà, probabilmente per una vera e propria catastrofe ecologica (la ‘crisi del 1200 a.C.’)[5].
Nei secoli oscuri intorno al 1000 a.C. sono le rupi scoscese che punteggiano la Garfagnana il punto di riferimento per le piccole comunità che vi si muovono, ancora una volta seguendo le occasioni di traffico che nella documentazione archeologica sono attestate da ripostigli di manufatti in bronzo. Lo straordinario paramento in bronzo ritrovato nel 2014 in un anfratto nella roccia di Cima La Foce (Comune di Villa Collemandina), dove era stato nascosto proprio intorno al 1000 a.C., ha offerto la chiave di lettura per capire la nascita e la fine degli abitati di quei secoli (il Bronzo Finale: 1150-900 a.C. circa) in Garfagnana. La Capriola di Camporgiano e il Castelvecchio di Piazza al Serchio, infatti, sono abitati che sfruttano le difese naturali per assistere le vie commerciali che distribuiscono oggetti in bronzo dalle Alpi alla Pianura Padana e da qui alle coste della Toscana[6].
Nnella prima Età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.) la Garfagnana sembra spopolata. In maniera più corretta si dovrebbe forse dire che fu frequentata solo da piccole comunità che la ricerca archeologica non è riuscita sinora a mettere a fuoco. Certo è che in questo momento le comunità partecipi della cultura detta ‘villanoviana’ – corrispondente al momento di formazione della cultura etrusca – non si avventurano nella Valle del Serchio, fermandosi nella Piana di Lucca, dove sono ormai ben documentate[7].
Le fonti archeologiche tornano ad essere vivaci solo con il consolidamento di un nuovo, solido sistema di insediamenti nella Versilia e nella Piana dell’Auser, nel corso del VI secolo a.C.- Protagonisti di questa impresa furono gli Etruschi, che già dal secolo VIII avevano dato nuova vita a queste terre Proprio il terrazzo della Murella viene scelto, intorno al 530 a.C., per la fondazione di un villaggio, che si avvalse della protezione assicurata su due lati dal Serchio e dall’Esarulo, sul terzo da un terrapieno che è stato possibile indagare a più riprese[8].


Gli scavi condotti fra 2010 e 2012, dopo le prime ricerche del 2004, hanno rivelato che il villaggio era fornito – oltre che di un apparato di difesa – di un impianto urbanistico tracciato da vie con pavimentazione in ciottoli, sulle quali si affacciavano case con fondazioni in pietra ed elevato e coperture in legno, sorretto da pali di cui sono state riconosciute le buche di alloggiamento (fig. 3). La massa dei materiali – ceramici e netallici – prontamente restaurata e presentata in una mostra nel Museo di Villa Guinigi a Lucca, nel 2013, delinea il profilo di una comunità strettamente legata agli Etruschi della Piana di Lucca. Sono intensi anche i rapporti con le aree etrusche dell’Emilia, in particolare della Valle dell’Enza. In particolare, l’iscrizione graffita su una ciotola, in cui Adriano Maggiani è riuscito a leggere la dedica di una donna ad un personaggio maschile (fig. 4), mostra aspetti propri sia dell’Etruria tirrenica che di qualla padana[9]


Traffici e attività manifatturiere – in particolare con la tessitura della lana – assicurarono fino almeno al 450 a.C. la fioritura dell’abitato della Murella, che si presenta come vera e propria ‘cerniera’ fra l’Etruria tirrenica nordoccidentale, egemonizzata dalla città di Pisa, e gli Etruschi della Valle dell’Enza. Grazie agli scavi del 2010-2012, ha cessato di essere solo ipotetico l’itinerario dalla Valle dell’Arno al Po che è punteggiato dalla diffusione del caratteristico tipo di bronzetto di offerente conosciuto dai ritrovamenti della cosiddetta Buca di Castelevenere, nella Media Valle[10].
Ancora una volta sono fattori di carattere ecologico, intrecciandosi con metamorfosi sociali e nei rapporti di politica internazionale, a determinare una grave crisi, che colpisce l’Etruria settentrionale dopo il 450 a.C. e porta alla fine dell’abitato della Murella, come di quelli della Piana di Lucca e della Versilia.
In territori che sembrano pressoché spopolati arrivano intorno al 300 a.C. comunità che nel dato archeologico si presentano con gli aspetti peculiari delle comunità liguri conosciute già dal V e IV secolo a.C. nell’Appennino ligure e in quello emiliano, grazie a tombe e ad insediamenti: sono i Liguri Apuani, che per poco più di un secolo daranno nuva vita alla Garfagnana e a gran parte dell’Appennino tosco-emiliano[11]. I villaggi di Monte Pisone, (San Romano in Garfagnana) e del Colle delle Carbonaie (Castiglione di Garfagnana), assieme alle caratteristiche ‘tombe a cassetta’ hanno consentito di delineare la storia di questo popolo: l’arrivo nell’Appennino tosco-emiliano e sulle montagne che da essi traggono oggi nome (le Alpi Apuane), intorno al 300 a.C.; i contatti e gli scambi con gli Etruschi della Piana di Lucca e del Valdarno, fino allo scoppio della guerra con Roma e con gli Etruschi loro alleati, datato dalle fonti storiche al 238 a.C. ; il momento più crudo e conclusivo della guerra, fra il 200 e il 180 a.C.; la loro sconfitta e deportazione nell’Italia meridionale o nella Piana di Lucca, fra 180 e 179 a.C.
La tomba della ‘Fanciulla di Vagli’, venuta in luce nel 2008, proietta una luce straordinariamente vivida sul momento finale della presenza ligure in Garfagnana[12], quando – dopo il 200 a.C. – il sistema di insediamenti mutò drasticamente, per adattarsi alla difficile situazione. Gli abitati divennero precari, facilmente soggetti ad essere abbandonati e trasferiti, tanto che di regola sono testimoniati solo da discariche delle anfore del tipo detto ‘greco-italico’, che facevano giungere ai Liguri Apuani, attraversando senza apparente difficoltà le ‘linee del fronte’, il vino prodotto sulle coste del Tirreno centro-meridionale. Da qualche decennio gli Apuani, che a lungo avevano avuto come bevanda alcolica una sorta di birra, consumata in caratteristici ‘bicchieri’, ne erano divenuti straordinari consumatori.

Un pozzetto venuto in luce al Colle della Fame, sul valico per Monte Perpoli durante lo scavo del metanodotto, nel 1987, era colmato di frammenti di decine di anfore greco-italiche degli inizi del II secolo a.C. (fig. 5)[13]; è questa ancora oggi la prova più spettacolare del consumo di vino negli anni della guerra. L’elmo ritrovato in circostanze favolose alla Croce di Stazzana – ritenuto dapprima di qualche soldato della Seconda Guerra Mondiale, poi riconosciuto come cimelio degli inizi del III secolo a.C. – è una testimonianza non meno eloquente di questi momenti (fig. 6)[14]. Il tipo di elmo era impiegato sia dai Romani e dai loro alleati Etruschi, che dai Liguri, e quindi non è possibile decidere a quale dei due eserciti apparteneva il soldato che lo perse.

Tracciando una linea ondulata, con cicli di apogeo e crisi degli insediamenti, che sembra peculiare di questo territorio, alla deportazione dei Liguri sembrano succedere quasi due secoli di silenzio. Solo con gli anni di Augusto, e con la rifondazione di Lucca, avvenuta fra 41 e 27 a.C., la Garfagnana torna a rifiorire, anche grazie alla via che la percorre e collega Lucca alla Pianura Padana. Il pilone che sopravvive come suggestivo segno del paesaggio alla Murella – che da questo rudere trae appunto il nome – su un masso lambito dalle acque (fig. 7), era parte del ponte con cui la via romana si spostava dalla destra del fiume – dove è testimoniata nella Media Valle dai toponimi Sesto, (Val d’) Ottavo, Diecimo – alla sinistra.


Da qui superava gli Appennini con un valico per ora non identificato con certezza, e si raccordava infine a Parma con la via Aemilia, come dichiarano le fonti documentarie[15]. Le tracce dell’insediamento scavato sull’opposta sponda, non lontano dal sito degli abitati dell’Età del Bronzo ed etrusco, sono ben datate agli anni compresi fra il 40 e il 20 a.C., grazie alla coerenza delle tipologie ceramiche, fra le quali spiccano le più antiche produzioni di Arezzo (fig. 8). È probabile che questo altro non fosse che il ‘cantiere’ in cui operarono le maestranze incaricate della costruzione del ponte.
La fioritura della Garfagnana in età romana si riflette nella toponomastica indotta dai nuovi assetti agricoli e del paesaggio, molto più che nel dato archeologico. I toponimi prediali delle aree messe a coltura, con il caratteristico suffisso –ano aggiunto al nome della famiglia proprietaria (un caso per tutti: Antisciana, la ‘terra di proprietà della famiglia degli Antestiiovvero il fundus Antestianus) e quelli che evocano le proprietà collettive dei pascoli e delle selve delle medie e alte quote (compascua, da cui il Monte Compasqua) dimostrano che l’Alta Valle del Serchio conobbe in età imperiale una vivacità di cui sarebbe vano cercare il riflesso nelle fonti archeologiche. Queste si infittiscono soprattutto nella Tarda Antichità, e sono dovute soprattutto alla frequentazione delle grotte, imposta forse da un nuovo modello di allevamento del bestiame, oltre che da nuove forme di religiosità. Le grotte sono infatti anche luogo sacro – le Grotte delle Fate della toponomastica odierna – in cui i pastori e i boscaioli veneravano le Ninfe dei monti e delle acque alla cui benevolenza erano legate le loro sorti[16].
La forza delle tradizioni ‘pagane’ si riverbera anche nella più spettacolare restituzione dall’insediamento di Volcascio, scavato negli anni Ottanta del secolo scorso: la statuetta acefala della Abundantia(fig. 9),la divinità che doveva assicurare ai suoi devoti le messi che esibiva nelle sue mani[17]. La statuetta, modellata in un blocchetto di giallo antico – una pietra provieniente dall’Africa settentrionale – fu incontrata nelle stratificazioni con materiali databili intorno al 400 d.C., prodotte da un abitato disposto sul fianco del rilievo lambito dalle acque del Serchio. Era forse questa via d’acqua, lungo la quale si dovevano già essere attivati i traffici del legname per fluitazione, a motivare la fondazione di questo piccolo abitato.

Le vie d’acqua e la via romana sono ancora per il V e il VI secolo d.C. gli assi lungo i quali si svolge la vita della Garfagnana. La valle aveva acquistato un ruolo strategico di particolare rilievo nella struttura militare dell’Impero d’Occidente da quando Lucca era stata trasformata in ‘città-fortezza’, che sbarrava una delle più comode vie d’accesso a Roma per cui venisse dalla Pianura Padana.
Fu per questo che al loro incrocio, sulla rupe lambita a sud dalla Turrite, dovette essere fondato in questi secoli il Castellum Novumche ha generato Castelnuovo.

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Didascalie alle figure

Fig. 1. Siti archeologici del Comune di Castelnuovo di Garfagnana, riferiti alla Carta Miranduolo del Ducato di Lucca (per g.c. della Fondazioone Cassa di Risparmio di Lucca).

Fig. 2. Scodella con decorazione incisa dalla Murella di Castelnuovo. Età del Bronzo Medio.

Fig. 3. Gli scavi 2010-2012 nell’insediamento etrusco della Murella di Castelnuovo: planimetria complessiva.

Fig. 4. Ciotola con iscrizione etrusca dalla Murella di Castelnuovo. Prima metà del V secolo a.C.

Fig. 5. Discarica di anfore greco-italiche sul Colle della Fame di Castelnuovo. Scavi 1987.

Fig. 6. Elmo in bronzo sporadico dalla Croce di Stazzana. Fine III-inizi II secolo a.C.

Fig. 7. Ruderi di ponte d’età romano alla Murella di Castelnuovo.

Fig. 8. Scodella con stampigliature (marchio di fabbrica) dalla Murella. Circa 40 a.C.

Fig. 9. Statuetta acefala di Abundantia, da Volcascio. Seconda metà del IV secolo d.C.


[1]ciampoltrini1995, pp. 564-566.
[2]ciampoltrini, notinirossi1998, pp. 246-254.
[3]ciampoltrini, notini, fioravanti2013, pp. 16-30.
[4]andreotti, ciampoltrini2013, pp. 35-58.
[5]andreotti, ciampoltrini2013, pp. 57-58. 
[6]ciampoltrini, fioravanti, notini2015.
[7]ciampoltrini2014.
[8]ciampoltrini, notini, fioravanti 2012, pp. 15-56.
[9]ciampoltrini, maggiani2009.
[10]ciampoltrini2018, pp. 51-57
[11]Ancora utile ciampoltrini2005.
[12]ciampoltrini, notini2011.
[13]ciampoltrini1993, pp. 62-63.
[14]ciampoltrini2005, pp. 47-48.
[15]ciampoltrini, notini, spataro 2005.
[16]ciampoltrini, spataro 2008.
[17]ciampoltrini2001.

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