La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

martedì 23 agosto 2011

Devozioni di montagna: Sante ritrovate e sante dimenticate






Era così ovvio leggere l'urna dei santi venerati a San Pellegrino sulla via di Toscana e di Lombardia, nell'Alpe di Garfagnana, nella medaglia frammista ad ossa infinite di Castiglione; dispersi resti di uomini e donne dell'Ottocento, prima metà, anni di Risorgimento e di vita quotidiana, di Duchi di Lucca e di Duchi di Modena, tirannelli uguali e diversi.
La pazienza di Paolo fa risplendere, come nel tatto della preghiera, i poliedri di pasta di vetro, chissà quante volte scorsi in giorni illustrati dalla retorica e dai romanzi, meno allegri nelle storie degli archivi comunali, meno ancora nei cimiteri riempiti dal colera o nelle sofferenze di tisi e fame. Forse non leggeva Leopardi, o forse sì, chi s'affidava al concatenarsi di Ave Maria e di granelli azzurri, per giungere infine ai Segni della Passione, sull'una e l'altra faccia, e all'invocazione al Cristo, Salvatore, Confortatore.
E invece i testi corroborati di scienza e pazienza, raggiunti in pomeriggi arrostiti sulle lastre, dicono Santa Filomena, e fra le croste della storia e della morte appena levigate sembra sollevarsi la Santa effimera, riscoperta, per porgere i fiori e le frecce del martirio. Santi rinvenuti in catacombe, per una devozione intensa, e poi sfiniti dall'esercizio della scienza ...
Non è più santa Santa Filomena, se non per chi a Castiglione si affidò a lei, nella dimora da cui sarebbe stato presto espunto, perché i morti non turbassero i vivi.

lunedì 22 agosto 2011

Giallo d'agosto




Vive il giallo dei girasoli amati in quest'estate nella Terra dell'Auser il fuoco del sole al tramonto, fiamme lenite dal verde delle ultime piogge.
E gialla è l'estate che prepara il biennale viaggio a Castelnuovo, giorni dell'Ottocento da vivere e riscrivere, per questi Anni Centocinquanta già dimenticati; non il bianco e i colori di Mondovì, non le tristezze anglocinesi del Willow Pattern, malinconie superflue in anni difficili, ma il giallo delle scodelle e dei piatti profondi e dei catini irrorati della luce della vetrina, animati da macchie informali che segnano la giusta porzione di zuppe e minestre, e la fine del pasto approntato da Artusi di Garfagnana per contadini incerti se partire per Altri Mondi o faticare fra castagni e campi d'orzo e di patate. E la sera, nelle aspre gioie domestiche, nel casolare all'incrocio delle vie di fondovalle e di montagna, o nell'osteria, il vino per nutrire e dimenticare, e il giallo di scodelle allegre, uscite da chissaquale vasaio di provincia, ancora maestro di tecniche antiche, a combattere con le sue macchie informali contro Richard, vedove di Mondovì, Società Ceramica Lombarda e gente di Laveno, ricordi del Seicento e del Settecento per una valle che sentiva il fischio del vapore.


venerdì 12 agosto 2011

Il Campo dell'Oro duecentoventi anni dopo


Foto di gruppo con scavo, prima che la terra riprenda i suoi frutti, duecentoventi anni dopo e quattrocento metri più a levante del Campo dell'Oro, in un giorno d'estate dell'anno 2011.
Son diversi i partecipanti all'impresa, non il Mariti e il fattore del Balì, anno 1791, a far scavare a vanga il piano di smalto, cisterna d'età romana o che altro, nel Campo dell'Oro, accanto ai perduti resti della pieve di Triana, sulla via che era da Lari a Perignano; non il fattore e il Balì, ma il metano apre lo scavo, opera di uomini d'Africa e di Sicilia e di Toscana e di escavatori a condividere con l'Archeologo Zio – di nuovo anni dopo infiniti dove vide i segni di un povero villaggio del Trecento – la sorpresa e il mistero, davanti ai resti delle strutture sopravvissute dove si estinguono i segni dei coloni della colonia Iulia Opsequens Pisana, il kardo che penetrava fra rii e ruscelli che nutrivano di terra e di legna il fuoco per fare le case.
E poi l'alluvione o la frana, e poi chissà, con il filo del muro di tegole fratte e il pilastro impastato di povera malta, una traccia appena sulla terra e sul pavimento di frammenti consunti di tegole. La casa di Bauci, la tettoia della fornace, chissà ... un'immagine nella bottiglia, duecentoventi anni dopo lo schizzo del Mariti, visto trent'anni fa, schedato venti.
Tempi della terra, frammenti di storie che appaiono e scompaiono, un dì nel nero dell'inchiostro, oggi nel colore del fuoco e della terra, sotto il colore del cielo.

mercoledì 10 agosto 2011

Prima e dopo Saturno: paesaggi di terra e di colori etruschi sull'Arno



Non v'è traccia delle vigne i cui frutti andavan per metà al Vescovo di Lucca, negli anni di Carlo Imperatore, né dei segni della zappa di Ghiso figlio di Pincia e di un prete dimenticato, nei paesaggi di terra che sulle rive dell'Arno dischiude il tubo del metano.
Le storie di Saturno, della terra affidata a Ghiso e poi ad altri, e poi ai signori di Porcari, con il loro amato Sant'Andrea, sono spazzate via dal fiume, sulla sponda destra dell'acqua che le generava, per vigne fieno cereali e fatiche, fatiche infinite, a Saturno e nella curtis di Vigesimo, con il vescovo, Fraolmo padre e figlio e nipoti, e gli amici loro, ad insistere in triplice schiera su chi sentiva il rombo amico e ostile del fiume. Anni di ferro, e di acqua, di pornocrazia e di fuga dalla terra, per una pace da cercare altrove, forse lontano dalla Terra.
I segni della Villa di Sant'Andrea, nell'ultimo secolo di una storia millenaria, sono fosse ripiene di terra nera e brocche-testi-olle dei contadini che chiamavano Bugnoro a regolamentare (come direbbero i Superiori Ministeri) i rapporti con i loro stakeholder (non si finisce mai di scoprire, nelle aulenti prose ministeriali, le meraviglie della novella itala lingua): i frati dell'Altopascio, gli scagnozzi del delegato imperiale di Fucecchio delegato da San Miniato delegato dall'Imperatore (sempre un Imperatore, a far del male), e dei delegati di Dio, a chiedere l'ultima parte, prima del poco di grano e di miglio e di vino indispensabile per arrivare al prossimo raccolto e per aspettare un raccolto.
Fosse da seguire con le parole di Bugnoro, negli anni 1241 o giù di lì, nella casupole perse della Villa di Sant'Andrea, il fratello del vicino San Pietro, progenitore questo dei Castelfranchesi, quello dei Santacrocesi, millenni di fatiche condivise sul fiume distinte in due castelli simmetricamente difformi sin dalla fondazione.
Ma prima, prima del Saturno romano, sacello immaginato a celebrare frugifere gioie sul ramo perduto della via dell'Arno, un po' oltre Vigesimo e prima del Lapillo, i segni nella terra degli Etruschi della Terra dei Quattro Fiumi, millesettecento anni prima, con fosse nella terra e terra nera con molto bruciato e intonaco di capanna (meraviglie di canne e legnetti) e olle d'impasto ad anticipare le olle del contadino del Duecento, tazze carenate di bucchero nero con un righellino o due per attingere ministre di farro e d'orzo, con un po' di lenticchie e di fagioli per la zuppa, pulmentarium dei primi decenni del secolo sesto prima di Cristo.
Hanno il color ocra della terra d'Arno i segni della capanna infissa nella terra, tonda come le tholoi dei signorotti di Volterra e di Artimino (con buona pace dei dotti dell'Accademia), ma anche brillano nel sole d'agosto con l'arancio del fuoco sulla terra e il nero del carbone, il focolare che scaldava il pulmentarium.
E l'Archeologo Zio, appena letto il manuale del Perfetto Cavaliere, per una mezzora dimentica, nel sole dell'Arno tanto simile a quello dell'agosto di quand'era bambino, e traversava l'Arno, Norme e Prescrizioni, Cilici ed Astinenze per Cavalieri Templari al servizio di Cardinali Gaudenti.

domenica 7 agosto 2011

Paesaggi dal cielo nella polvere della Valdera (Marcello e il metano)


Sarebbe piaciuto a Marcello, che da quasi due anni non è più con noi, e da due anni è sempre con noi, vedere nella polvere della Valdera, nei colori dell'ocra che virano sul grigio figlio del blu inaridito, il segno del fiume che esalta il suo insegnamento, nelle comodi immagini di Google e di Bing, del Geoscopio e delle Pagine Gialle.
Le voragini del tubo inaudito aprono la terra in paesaggi perduti, incomprensibili per l'archeologo che si ferma negli intrecci di ghiaie e argille, limi e sabbie che parlano di storie remote, di quando l'uomo non c'era, come cantava il poeta degli anni remoti delle elementari. Ma quando l'immagine dal cielo conversa con il sottile strato impastato di sigillate italiche e mattoni, velo tra limi gialli che furono limi azzurri, il segno dei coloni di Augusto, perso nei fiumi e nel fango divenuto polvere in questi giorni d'estate, si nutre della carne appannata nel marmo del monumento di Petriolo.
Fiumi e limites, le case di Bauci vagheggiate da Ovidio nei palazzi dell'Urbe, in un diaframma fra fiume e terra, in un giorno d'estate, nelle trattative sindacali per far sì che il nero tubo porti fuoco alla terra e luce (si spera) alla storia.

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