La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

lunedì 30 aprile 2012

La Fanciulla di Vagli sette mesi dopo (femmina al 98 per cento)


Ninna nanna ninna oh, che pazienza che ce vo' ...
Sette mesi dopo che fu risposto all'Antropologo Smemorato, di nuovo i dubbi sul sesso delle Fanciulle. La Fanciulla di Vagli, coltivata per sette mesi, dacché i cinque fogli incartocciati in busta anonima giunsero a Firenze, che sarà al 50% Fanciullo; e perché no Ermafrodito, con Salmacis che lo bracca. Encolpio, Ascilto, Gitone a giro per Panie e Apuane, a Vagli di Sotto (non nel posto in cui l'Antropologo Smemorato voleva spedire la Fanciulla di Vagli), Petronio e dintorni, altro che Strabone e Diodoro letti dal Mariotti, anno 1877, luogo Velleia.
Tutto è già scritto, tutto già detto, tutto già visto, per chi ha orecchi da intendere; per gli altri però si ripete la lezioncina, un po' di bibliografia può essere utile, a chi pensa che l'Archeologo Zio sia rimbambito, fra Fanciulle Antropologhe che però non sono strutturate e dintorni (questo italo gusto dell'etichetta).
E allora brani scelti di prosa archeologica per chi proprio non trova sottomano I Liguri. Un antico popolo europeo tra Alpi e Mediterraneo, a cura di R.C. De Marinis e G. Spadea, Ginevra-Milano 2004. La bibbia, per tutti o quasi i ligurologi (non per qualche professore, anche se quiescente).

Pagina 384, scrive Emanuela Paribeni (appena scavato e pubblicato il guerriero di Pulica, femminuccia con elmo cornigero spada lancia e altre chincaglierie):
«Accessorio costante della veste femminile è la cintura, in cuoio o tessuto, comunemente chiusa da un fermaglio di forma triangolare in bronzo ...
Il tono più modesto dei corredi femminili del III secolo appare dalla scarsa presenza di oreficerie. Anelli digitali in bronzo sono attestati a Levigliani ... a Ponzolo ... Anelli in metallo prezioso ... ricompaiono nelle necropoli del II e I secolo ...
Sono frequenti le armille in argento, bronzo e ferro, che possono essere pertinenti anche al costume maschile. All'ornamento della donna si riferisce comunque il tipo più diffuso, in filo generalmente d'argento avvolto a spirale con estremità ingrossate.
... nei corredi femminili del comprensorio orientale [ligure apuano, per chi non ha una carta sotto mano] compaiono collane in perle discoidali d'ambra ...


La ricca documentazione delle tombe maschili attesta l'uso delle armi e la loro deposizione rituale [maschile, armi, in grassetto]».

Cinture, collane, tutti gli addobbi di quel maschiaccio un po' effeminato di Vagli.

Altre perle (di pasta vitrea).
Pagina 376, scrive Anna Maria Durante, reduce dallo scavo di quasi un centinaio di tombe ad Ameglia:

«All'abbigliamento femminile ... rimandano diversificati e sobri oggetti di ornamento ...
Sono normalmente accolti dentro il cinerario le spiralette per trattenere ciocche di capelli, anelli a verga o con castone in argento, orecchini in oro [la Fanciulla di Vagli non ne aveva], fili di perline ...
L'abito femminile appare connotato da una cintura in materiale deperibile, cuoio o tessuto, ornata di placche in bronzo ... dotata di un fermaglio di aggancio all'asola ...».

Si direbbe che può bastare, per chi cerca il sapere. Per chi cerca altre cose, non basterà mai.
Potrà però pur sempre prendere un minibus (quello di cui non si occupa il praetor, come egli scrive), e andare a vedere le libere donne di Ameglia, a Luni.

Oppure, salire sul sito del Parco delle Apuane, e guardarsi la bibliografia omnia sui Liguri-Apuani, con o senza trattino.

L'Archeologo Zio la pensa come Tacito, trova sciocche le statistiche, ma per chi le ama, con i numeri eccetera eccetera, troverà i Due Amici della Fanciulla di Vagli presenti cento volte (tonde tonde). E poi la buona memoria dell'Ambrosi, ottantadue, e poi Lamboglia, e poi – a proposito di persone che scavano e studiano di Liguri – la Durante venticinque, e Emanuela Paribeni trentasette, e Adriano Maggiani quarantanove.
Non compare l'Antropologo Smemorato, né così né con altri nomi.
 

venerdì 27 aprile 2012

Storie di ciottoli terra monete (ritrovando antichi scavi)



Fatiche inaudite, di archeologhe sul cantiere, di uomini e mezzi, di segni di penna e cifre rigorose, con segni di grigio distinti dalla passione.
E poi gli impasti di terra che si aprono in tondelli di povero metallo, aspri di segni che appena appena svelano il loro mistero sotto il calore di altre e diverse passioni, e il professore amico che scevera i segni dell'Ottone di Milano e dei denari delle terre sull'Adige, un po' più tardi ma finiti un po' sotto, perché le monete, povere o ricche d'argento, non si gettano, anzi si tengono, se ricche d'argento.
E poi canta sua storia la zecca di Lucca, in tondelli miseri, quadrati, che si frammischiano a quelli sbriciolati di Normandia e poi, ormai nel pieno fulgore degli anni delle faide di comune, a quelli di Pisa, così simili e così diversi, la F e la H, a scandire i decenni del secolo romanico.
Fatiche diverse, impegni diversi, per far di una buca storia di Lucca del secolo XII, del comune che si forma, della plebe che diviene popolo, che seppellisce infine di terra e qualche tondello, anno per anno, tre metri di muro di ciottoli protetto da intonaco lisciato e lustrato da stilature (dice l'archeologo).
Storia di una città nel suo farsi, che le archeologhe appassionate dell'anno 2009 ci rendono nei colori e nei segni di grigio, di disegni e di tondelli.

giovedì 26 aprile 2012

Il Segno della Certosa (il Monte, la Croce, il Monogramma)




Si cercano i segni delle Terme di Palaia, nella terra della faglia di Usigliano; e si trovano pozzanghere sepolte segnate dal bianco informe sul verde splendente, e verde splendente che assorbe il neogotico: così finiscono i fasti dei Bagni di Chiecinella, sogno neoclassico vestito di neogotico, così si perde anche la memoria dei Bagni di Baccanella, festoso convegno di contadini malati e speranzosi, negli anni del Targioni Tozzetti.
Resta la pietra a segnare il luogo del Bagno, o quasi, e l'Archeologo memore delle lezioni di anni remoti si domanda se la Madonna di Baccanella, trasformata da marginetta rurale o poco più in decorosa chiesa provvista di portico negli anni del Caravaggio, non fosse lì ad aggiungere l'attesa della Madonna per i miracoli attesi dal buco per terra con acqua sulfurea affiorante.
Ma l'eruditissima storica e archeologa che con pazienza e passione ci diede una storia di Alica e dei Certosini di Calci che ne furono signori per secoli, libro sempre prezioso quando l'intuizione e la passione han bisogno di note a pie' di pagina, non ne parla. Daniela, amica conosciuta nei vetri di Lucca e nella fornace che generò entusiasmi giovanili per l'archeologia contemporanea, a Lucca, alla Porta di San Donato, con i vetri dell'Ottocento celebrati dal sottile strato di cenere per terra e dai colori dei rilievi geometrici della vetreria dismessa; ed ora chissà dove è e cosa fa, come tanti amici incontrati e dis-incontrati, e poi forse re-incontrati.
Daniela registra però, anno per anno, giorno per giorno, le spese e le fatiche dei Certosini per la chiesa; e la pietra riassume il tutto in un 1616 che il portico ha salvato dalla corrosione e conservato per duettare con lo stemma candido con il Monte, la Croce, il Monogramma: un bel Logo, direbbe il grafico dei giorni nostri, per la Certosa di Calci, segno del potere e del possesso, come ci dimostra Daniela con le cronache cartacee delle diatribe fra Monaci e Clero Secolare, negli anni dei Promessi Sposi, dove la Valdera risale in morbide colline verso Palaia, terre che gli Etruschi segnarono delle lor tombe e signori vari di castella e palagi.
E l'Archeologo che infinite volte ha negletto la Madonna di Baccanella, e ora la trova o ritrova cercando i Bagni di Palaia per illuminare le trine e le tarsie di pietra della Giuncaiola, affianca a colori, nei colori dell'Archeologia, la fittile arme dei Certosini che anime pie salvarono dalla terra ad Alica, anni più felici per gli appassionati dei Segni della Terra in Valdera.

mercoledì 25 aprile 2012

I colori della Terra dell'Auser, di primavera







Colori di primavera, fra le Cerbaie e la Terra dell'Auser, e il Monte che vedemmo con Marcello e Consuelo e fu visto da Marcello dall'alto, ed ora di nuovo Marcello lo vede, e  chissà cosa direbbe.
San chiamare colori inauditi i fiori che si agitano nel vento che segue alle bufere e seducono gli insetti, san trovare i colori della Terra e dell'Acqua gli uccelli che sostano su acque increspate dal vento, per un po' di requie.
E l'Archeologo Zio, che ha dedicato gli anni suoi alle Storie della Terra, e alle passioni della Terra e delle Storie che sa narrare, trova i colori degli uccelli che sostano sulle acque mosse dal vento.
Ci sarà tempo per gli Antropologi Smemorati, che non sanno se le Fanciulle di Vagli si addobbino di lance e spade, o se efebici Fanciulli di Vagli si ornino di collane e femminee cinture, amasi impropri anche alla paideia di Teognide. Dure fanciulle liguri delle Panie, che conoscevan dolcezze di collane d'ambra e severi amori per mariti guerrieri, prima aspri fanciulli avvezzi al vibrar di lunghe lance come se fossero spade dei Celti (tie', alla maniera del Mariotti, anni di Velleia ligure ritrovata, anano 1877). E le ghiande di piombo sfidavano elmi di bronzo, nel vento delle Apuane e nel vento del Monte Castellare, che vedemmo con Marcello e Consuelo, ed amammo nei segni della sua storia letta nelle pagine del Targioni Tozzetti, nelle ricerche dell'aprile del '78, nelle immagini in chiaroscuro divinate da Marcello, e nel vento di un inverno simile alla primavera che l'anno vigente, 2012, ci regala. Monte Castellare, padre dei venti e figlio dei venti, e signore del crocevia della Terra dei Quattro Fiumi.
Laecasin dicamus, amici, a chi non ama le Storie della Terra Figlie della Passione nel vento di primavera, che cela gli uccelli fra acqua e terra, ed esalta fiori purpurei e gialli nell'erba.

giovedì 19 aprile 2012

Le meravigliose donne liguri di Ameglia (ovvero: le cugine delle nonne della Fanciulla di Vagli)


Sono meravigliose le donne liguri di Ameglia, con i loro segni esposti fra fiori degni dei versi di Saffo, ghirlande e profumi di un eros impalpabile e sublime per profumar l'urne che ne accolserto gli avanzi del rogo; meravigliose di cinture orecchini fuseruole fibule. come le archeologhe appassionate che accolgono affabili l'Archeologo Zio e i suoi tormenti nel Labirinto di Luni, fra mare pulsante di passioni primaverili e marmi in disuso.
Sapori del Tirreno, per le donne di Ameglia, con gli orecchini appresi dalle immagini sui piattelli di Genucilia, il gusto ellenistico dei profumi della lekythos, le finezze dei tazzoni con le stampiglie di Roma e del Lazio; sapori di mare, appresi dai naviganti tirreni che andavano a saggiar Massalia e le sue navi, o da mariti non meno capaci di affrontare i flutti. E sapori di terra, del Po e del Ticino, nelle fibule sorelle di quelle che l'Archeologo Zio con gli Amici Suoi vide da giovane balzando di roccia in roccia sul Monte Pisone, e nelle cinture che mani amorevoli han rifatto.
E l'Archeologo Zio, girovago in terre esterne, che ritrova le immagini delle donne che andavano a Ponte Gini II negli anni di Alessandro e dei suoi eredi, rammenta le loro cugine nelle signore del Monte Pisone, coeve dell'enistale di Ameglia, bel nome leponzio in -ale, e la lor nipote che fu sepolta alla Murata di Vagli quando l'avventura stava finendo, e le mura di Luni accoglievano come incolae gli antichi Signori del Mare di Ameglia.
E memore di antiche letture petroniane, anni del fascinoso professor Barchiesi a Pisa, anni del Signore 1972 o 1973, e un trentaelode, laecasin dicit all'Antropologo Smemorato e ai Sodali Suoi, che sviscereranno se l'orecchino connoti, più che delicate signore e dure, pronte a salutar compagni partenti per mare, e a piangerne il mancato rientro, Pirati dei Caraibi. E chi lo dice, direbbe l'Antropologo Smemorato, che l'orecchino sia di ligure femmina e non di duro guerriero? Laecasin dico, vobis omnibus.

martedì 17 aprile 2012

Andar per tabernae a Capannori







Ego nolo Florus esse,
ambulare per tabernas,
latitare per popinas
culices pati rotundos.

Bel ritmo, quello dell'imperatore amico di Antinoo, per scherzare sulle gioie di Floro e delle taverne e delle cucine e delle zanzare, con garbata parodia, come sapeva fare quando voleva.
Un po' più, un po' meno, son questi gli anni della taberna che gli amici di Capannori e l'Archeologo Giovane con gli amici suoi ricostruiscono, sette anni dopo le prime pietre viste fra le acque e le canne e di certo le zanzare.
La Via dei Martiri Lunatesi, a Capannori, trova spazi e volumi, colori (in attesa dei suoni e dei frequentatori) degli agri centuriati della prima e media età imperiale, prima che venissero i Barbari e poi nuove strutture di legno, e nuove ricerche, e nuove immagini.
Ma in sette anni far di pietre e di terra arsa e di tegole infrante una taberna è impresa degna.

lunedì 16 aprile 2012

Le fatiche di Ciuffetto (o del fascino del bosco planiziale quando è umido)



Anno 1150, scenari di confine, uomini e paludi non nelle Everglades o nei fascinosi boschi padani tanto cari a storici degli anni del secolo scorso. Paganico, Compito, Lucca: Ciuffetto e i suoi, nel palude, a esceppare terre presso Lesciora, Legiora l'Egiora, Egiora, il fiume perduto, rigagnolo da sognare in immagini di boschi planiziali risorti un po' più a sud, in anni ancora carichi di attese.
Ciuffetto e i suoi, a estirpare olmi ontani querce frassini, le specie del bosco generato dall'acqua che impregna la terra, per ricavare grano miglio fave e i seniori che voglion la parte loro delle fatiche di Ciuffetto, e dei suoi compagni di Compito, scesi da colline già assai popolate per trovare terre a un miglio o poco più, nelle foreste di olmi ontani querce frassini. Basta pagare un contributo, e le fatiche di Ciuffetto e dei suoi compagni, gente da debbio, sono premiate.
Un po' di pulmentario, qualche animale intrappolato, tinche e lucci di fossi lenti e melmosi.
Scene di un Medioevo altro, raccontate da una pergamena in ghirigori oggi quasi inattingibili, uomini e paludi che si possono immaginare, per un attimo, fra le acque che finalmente aprile ci regala e nelle ombre umide di olmi ontani querce frassini. Boschi planiziali, per Etruschi Romani e per Ciuffetto, e per chi ritrova nelle storie loro un po' di storia per oggi.

domenica 8 aprile 2012

La Croce Fiorita dei giorni di primavera

Croce tagliata in pietra per essere di legno perenne, figlia di pure geometrie del legno, figlie di anni iconoclasti, che fu di San Vincenzo e poi divenne di San Frediano; e genera tralci che sono pure geometrie.
Anni di Cuniperto, scrisse un tempo chi cercava nella pietra i segni che la terra gli dava ambigui, e dal diploma di Faulo a quelli degli anni di Liutprando, intrecciando girali padani con girali d'Oriente, e il vescovo di Volterra con il gastaldo che forse era di Pisa e trafficava con Babbino, vide nella Croce che tutti vedono in San Frediano, e prima era San Vincenzo, e nei cerchi dell'armonia che gli apparvero nell'altro lato per il tempo sufficiente per non essere mai dimenticati, gli anni della passione per Teodote e di una primavera, dopo secoli di inverno, che si annunciava nel duro intaglio dei tralci lucchesi. Anno 680 o 690, gli anni della Croce e del Tremisse, per farla breve, senza le fisime dei quarti di secolo.
Nei giorni in cui l'acqua fa fiorire il legno, i riccioli che son tralci della Croce che fu di San Vincenzo ed ora è di San Frediano, intrecciano le passioni di Cuniperto per Teodote, narrate dal monastero e non dall'harem come per il suo coevo Yazid, come Damasco sta a Pavia, negli anni iconoclasti. E segnano le lunghe giornate di primavera, nel sole meridiano cercato per tutta una mattina, per far sorridere le geoemtrie del legno e i tralci figli della Croce.

giovedì 5 aprile 2012

Archeologia vintage (ritornando alla Terra delle Tre Lagune)



Anni remoti, quelli in cui l'archeologo che ora scorre i suoi anni estremi per la Terra dei Quattro Fiumi alternava i Fiumi (allora Tre), con le Tre Lagune, e il vento del mare e il sole dell'Albegna.
E talora capita, come ai pensieri che vanno e vengono dai quadranti freschi, di ritornare alla laguna degli Etruschi, e a quella degli Etruschi e dei Romani, e a quella delle Due Strade, fra l'Origlio e la Duna, che frequentò da ultimo, con Lara e altre amiche, che ora fanno altre cose. Orbetello e l'Origlio, e Talamone, visitati da ultimo sulle vie del cielo con Marcello e con la discepola che egli tanto amava.
E altre amiche, che confidano nei Segni del Passato, e come l'archeologo che vede l'orizzonte vicino, ora sperano che ritornare ai Segni degli Etruschi che a Fonteblanda commerciavano ferro e vino, cambiavano anfore piene del frutto delle viti dell'Albegna con quelle giunte dall'Ellade, in kantharoi di bucchero o in coppe che ancora, come negli anni remoti, vuol chiamare ioniche, possa suscitare nuove passioni in una terra le cui passioni l'Archeologo Zio conobbe in anni furenti di passioni, di ansie, di speranze.
Si trasformano antiche immagini su carta in immagini che volino nella rete, ritornano amici e compagni di scavo, che ogni giorno scendevano per l'Albegna e gli affluenti al mare, pioggia o sole – ma l'archeologo voleva le stagioni di primavera o il sole morbido dei tramonti d'autunno sul mare che vede il Giglio. E si dedicano antiche immagini riapparse non dall'hard disk, ma da album un po' polverosi, nei Giorni della Passione, agli archeologi (soprattutto -ghe) appassionati, e a chi crede che dalle tracce del ferro divenuto spugna, come ripeteva Diodoro, dal vino dell'Albegna e dei mari dell'Ellade, dalle coppe d'Etruria e delle Due Elladi, di qua e di là dallo Ionio, dalla nave d'avorio pronta per Elena e da quelle di Aristonothos, possa nascere una passione simile a quella dei giorni del '91, con Remo e con gli amici di Murci, del '93, del '97, con altri amici di Murci e con archeologi giovani ancor giovani nell'animo, su strade simili o diverse.

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