La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

lunedì 8 luglio 2013

Bianco conventuale. I servizi da mensa del San Francesco di Lucca fra XV e XVI secolo (le ragioni)






Bianco conventuale

Nel tondo di Andrea Della Robbia per l’Ospedale di San Paolo dei Convalescenti di Firenze la tensione spirituale che corruga il volto di San Bernardino da Siena, con le labbra serrate che ne fanno spiccare l’asciuttezza nel movimento degli zigomi e del mento, si stempera appena nella serenità dello sguardo (fig. 1): splendida immagine di un francescano degli ultimi anni del Quattrocento, con la data 1495 del ciclo dei tondi, nella quale Andrea riesce ad esprimere con straordinaria efficacia, davanti alla facciata di Santa Maria Novella, la sua adesione alle tematiche savonaroliane e la sensibilità allo spirito francescano maturata in un ventennio di commissioni osservantine[1].
Si potrebbe dunque facilmente cedere al fascino dei colori robbiani e al realismo dei particolari ritrattistici, esaltato dall’azzurro del fondo, per recuperare qualche immagine degli Osservanti che a Lucca in quel tempo stavano riorganizzando – ormai da qualche decennio – il convento duecentesco, adeguandolo al ruolo che la società cittadina si era proposta di ritrovare ottenendo infine, nel 1454, che venisse conferito al ramo dell’ordine che si richiamava ai valori fondanti dell’istituzione[2]. La suggestione non è fuori luogo, tanto più che la predicazione di San Bernardino a Lucca, nel 1430, dovette avere parte non secondaria nel confortare l’impegno degli Anziani della Repubblica per rinnovare la presenza francescana in città[3].
La nuova veste dell’istituzione, adeguata alla profonda rigenerazione spirituale, viene affidata ad una vivace attività architettonica, il cui momento più vistoso, almeno oggi, è nel ciclo di affreschi con Storie della vita della Vergine voluto per la cappella Pagnini dal mercante Antonio di Antonio Baldini, opera di Baldassarre di Biagio completata entro gli anni Settanta del Quattrocento[4].
Anche l’indagine archeologica, che dal 2009 ha assecondato sistematicamente l’attività di restauro e recupero funzionale del complesso conventuale, collegandosi pressoché senza soluzione di continuità agli scavi nella cosiddetta Stecca – in realtà il cellarium del convento medievale[5] – e negli Orti, esplorati fra 2005 e 2007 per la costruzione del Parcheggio Mazzini[6], ha fatto emergere segni imponenti dell’impegno osservantino nell’adeguamento delle strutture medievali al ruolo che l’istituzione francescana si stava dando nell’agitata società lucchese della fine del Quattrocento, per culminare nel corso del secolo successivo nelle drammatiche giornate del Tumulto degli Straccioni. La stessa trasformazione del cellarium in foresteria del convento, ottenuta nei primi del Cinquecento scandendo il grande volume unitario dell’impianto medievale in navate, con una duplice serie di pilastri che permetteva di ricavare al piano superiore gli ambienti per l’accoglienza indispensabili alla rete di relazioni coltivata dagli Osservanti di Lucca, mentre la destinazione di ‘canova o cantina’ era riservata al piano terreno[7], ricade in questo ciclo di lavori, che negli Orti si manifesta per contro nella drastica ristrutturazione degli spazi e delle colture, impiantate con un reticolo di fosse riconosciuto dall’indagine archeologica grazie allo straordinario ‘filo d’Arianna’ offerto dagli scarti d’uso ceramici finiti nei drenaggi[8].
Anche il refettorio viene rimodulato e portato alle dimensioni che oggi mantiene sullo scorcio finale del Quattrocento, stando alle indicazioni stratigrafiche che segnano proprio in questi decenni la conclusione dell’incessante attività edilizia che questo settore del convento aveva subito per tutto il corso del Tardo Medioevo. L’indagine archeologica ha offerto risolutive indicazioni, e ha permesso di collocare il refettorio in un paesaggio conventuale assai diverso dall’attuale, scandito da porticati il cui ruolo è indiziato dai dati presentati analiticamente da Alessandro Giannoni.
L’immagine certamente più nitida, nell’indicatore archeologico, dell’arrivo degli Osservanti, è tuttavia disegnata dai livellamenti delle fosse aperte del chiostro occidentale dell’attuale complesso (Chiostro 1, nella classificazione di Giannoni) in cui vennero scaricati a più riprese gli scarti d’uso formati nei decenni a cavallo fra Quattrocento e Cinquecento con le ceramiche finite in frammenti nella pratica della mensa: piatti di medie o grandi dimensioni con decorazione graffita o in maiolica, e, soprattutto una massa di piattelli e di scodelle in rigorosa monocromia bianca, per le dotazioni individuali della tavola. Il rigore della monocromia è appena interrotto, dall’improvvisazione del vasaio, con il monogramma bernardiniano – il ‘Gesù’, nella terminologia del tempo[9] – tracciato in lettere corsiveggianti da veloci pennellate in nero di manganese (fig. 2) che trasferiscono sulla tavola il richiamo affidato al rilievo che ancora severamente spicca sull’architrave della porta d’accesso al refettorio (fig. 3).
‘Bianco conventuale’ è il termine che si è voluto usare per designare questa peculiare scelta, che esalta la sobrietà e il rigore osservantino, prima che il convento attivasse, agli inizi del Cinquecento, commissioni di servizi ceramici da mensa che appena ne stemperano l’austerità con le sigle tracciate a punta sull’ingobbio della graffita, o in blu sul candido sfondo della maiolica di Montelupo: S F, o S F L, San Francesco di Lucca.

Lo scavo del San Francesco, durato quasi otto anni, con rare interruzioni, iniziato negli Orti per la realizzazione del parcheggio interrato e infine entrato nelle architetture conventuali e della stessa chiesa accompagnando e trasformando anche in occasione di conoscenza il recupero funzionale che sta dando a questo quadrante della città il ruolo perso dai primi dell’Ottocento con l’eclissi della presenza francescana, richiederà, per un’adeguata edizione, i lunghi tempi imposti dalla massa dei dati e dei materiali raccolti dagli archeologi che si sono succeduti nel cantiere. Grazie alla straordinaria disponibilità manifestata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, essi hanno avuto modo di mettere a punto una metodica capace di coniugare le esigenze scientifiche e della tutela con le esigenze del cantiere e che si è concretata in un’ingente massa di materiale documentario, la cui elaborazione scientifica, anche per l’inevitabile confronto con le fonti documentarie, pretende tempi non brevi[10].
Tuttavia, fin dal momento dello scavo, è apparso evidente il carattere paradigmatico del complesso di ceramiche osservantine, tangibile testimonianza ‘archeologica’ di un periodo cruciale nella storia della città.
Si è dunque ritenuto doveroso offrire un’anteprima di questo contesto, concentrando nella sua ricomposizione le risorse che, in aggiunta a quelle impegnate nello scavo, la Fondazione ha messo a disposizione per preparare i materiali che trasformeranno gli ambienti addossati all’abside del San Francesco, recuperati nell’intelligente progetto di Stefano Dini, in un percorso nella ‘storia archeologica’ del complesso conventuale. Questa si dipanerà dagli anni della fondazione, nel secondo quarto del Duecento, con la progressiva costruzione della chiesa e degli spazi conventuali, la straordinaria storia della chiesa di Santa Lucia – la cosiddetta ‘cappella Guinigi’ – con le sepolture della famiglia titolare della chiesa, i Guinigi, e le tre enigmatiche deposizioni femminili dei primi del Quattrocento, forse delle mogli di Paolo Guinigi[11], per affrontare infine le metamorfosi osservantine e i riflessi nella modulazione architettonica delle esigenze funzionali tra Seicento e Settecento, fino alla vita della caserma nell’Italia unitaria.
Saranno però i ‘servizi conventuali’, dopo le testimonianze della quotidianità medievale che sono anche prezioso indicatore cronologico per scandire la storia di un cantiere secolare, a consentire di entrare nella vita conventuale, in un piano-sequenza che potrà iniziare appunto con gli Osservanti per concludersi con le maioliche con sigla conventuale della metà avanzata del Settecento.
Giacché la lettura del dato archeologico deve necessariamente fondarsi sulla valutazione contestuale dei materiali, è parso opportuno di presentare il contesto osservantino sullo sfondo delle suppellettili ceramiche da tavola in uso a Lucca fra Quattrocento e Cinquecento, fortunatamente documentate da una serie sempre più fitta di ritrovamenti, e, soprattutto, di altre testimonianze dello stesso convento, che permettono di mettere a fuoco le peculiarità ‘ideologiche’ della scelta dei servizi da tavola francescani. Il convento, ovviamente, non disponeva solo, per le sue molteplici esigenze, dei servizi da mensa; la cucina o la cantina erano provviste di dotazioni che non necessariamente dovevano essere improntate all’omogeneità della suppellettile da mensa.
Infatti, nulla più del confronto fra il ‘Gesù’ tracciato sul bianco del cavetto di un piatto e quello che con calligrafica soluzione copre il tondo policromo di un sontuoso boccale di produzione montelupina con ‘fiori di brionia’ (fig. 4), finito – assieme ad altri esemplari con splendide decorazioni policrome – nel pozzo che fu a servizio degli anni del rinnovamento degli Orti, sul finire del Quattrocento, può far apprezzare la sobrietà della tavola, il ‘bianco conventuale’ degli Osservanti di Lucca. (G.C.)


[1] Si veda gentilini 1992, pp. 175 ss., per «Andrea interprete dell’Osservanza»; pp. 224 ss., e figure a p. 236, per i tondi dell’‘Ospedale dei Pinzocheri di San Paolo dei Convalescenti’.
[2] Si rinvia in merito alla sintesi di donati 2009, pp. 92 ss.
[3] donati 2009, p. 92.
[4] Sintesi e puntualizzazione dei dati in donati 2009, pp. 93 ss.
[5] ciampoltrini 2009, pp. 137 ss.
[6] Si vedano in merito le anticipazioni di Giardini sepolti 2005; Ad limitem 2007.
[7] ciampoltrini 2009, pp. 147 ss.
[8] abela – bianchini 2005, pp. 17 ss.
[9] Per l’impiego sulle ceramiche e il termine si rinvia a spallanzani 2006, p.135; p. 484, documento 344: «col Giexù».
[10] Senza l’impegno di Franco Mungai e del personale dell’Ufficio Tecnico della Fondazione, confortati dai presidenti succedutisi in questi anni – dapprima Gian Carlo Giurlani, poi Giovanni Cattani, infine Arturo Lattanzi – tutto ciò non sarebbe stato possibile. Lo scavo degli Orti ha visto succedersi, con il coordinamento di Elisabetta Abela e di Susanna Bianchini, la partecipazione di Sara Alberigi, Bianca Balducci, Serena Cenni, Maila Franceschini, Alessandro Giannoni, Irene Monacci; nel San Francesco Elisabetta Abela e le sue collaboratrici (Serena Cenni, Maila Franceschini, Irene Monacci, Silvia Nutini, Kizzy Rovella) e infine Alessandro Giannoni, con la collaborazione di Elena Genovesi. La competenza dell’impresa Giunta Sauro è stata fondamentale nell’assicurare agli archeologi il supporto di maestranze di eccellente livello e duttilmente pronte ad assecondare le peculiari esigenze dello scavo. Una prima presentazione in ciampoltrini 2012.
[11] Si veda per il momento fornaciari 2012.

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