La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

lunedì 27 febbraio 2012

Ancora per Pietracassa (Forte Bastiani in Valdera)


E dunque gli audaci investigatori e salvatori della rocca perduta nelle forre della Valdera hanno ritrovato i segni degli ultimi castellani.
«Io mi tr[o]vo a prese[n]te, chome voi sapete, ne la rocha di Pietrachasa, la qua[l] cosa no so se voi ci siate mai istato o se l’avrete veduta; o pure, siate istato o no, ve ne voglio dare un pocho di relazione. Ela è i[n] sur un pog[i]o che ne va a le istele e è ne[l] mezo d’uno boscho che no ci capita mai persone né bestie, se none, a le vo[l]te, qua[l]che porcho sa[l]vaticho o qua[l]che cervo o chavriolo; ma de le dimestiche, dapo’ che io ci sono n’ò a[n]chora a vedere: sì che, pert[an]to, io no se[n]to mai nuova nessuna.  ...Marsilio Uguc[i]oni, c(as)t(ellan)o i[n] Pietrachasa».
Marzo del 1506, i Pisani insorti e ribelli e guerrieri assai più in là, cinghiali cervi e caprioli (come oggi) a far compagnia ai castellani fiorentini, con le loro spingarde fissate ad attendere chi mai sarebbe venuto, nelle feritoie ricavate sbranando i fini tessuti lapidei dei Gaetani.
E agli amici di Lajatico, che hanno rinnovato e salvano il Forte Bastiani di Marsilio Uguccioni,  tenente Drogo di quattrocento anni prima, si dedichino le immagini dal cielo e le parole dalle biblioteche.

Riflessi di verde su coppa a vernice nera







Occorreva la primavera del 2011, piena di umori del cielo, per restituire i colori delle acque alle stinte terre fra la perduta Visona e l'Auser suo figlio maggiore, suoni etruschi in terre perdute.
La stemless cup with inset lip, sontuosa preda di balzi giovanili nelle fosse, per leggere in sezioni di tegole e cocci i segni degli Etruschi delle Confluenze, appassionato frutto di attacchi pazienza e sogni, incompiuta come han da essere i frutti di attacchi pazienza e sogni, nera nel limpido tono degli Attici, prezioso vaso per vino dell'Etruria e quando capitava dell'Ellade, vista sin qui nel nero delle immagini vintage, riverbera nel vino che può contenere solo nei sogni dell'archeologo il verde della terra ferace di cereali, nei giorni di primavera.
La Terra dell'Auser, sogni che si dileguano all'alba, rivivono nelle immagini dal cielo.

giovedì 23 febbraio 2012

Le trine del castello (La Rocca di Pietra Cassa nel sole di primavera)







Quasi un anno per vedere dal satellite e rivedere emergendo dalle boscaglie penetrate alfine da un solicello di primavera, padre di tutti i venti del settentrione, le trine del castello appeso al cielo dalle erbe, la Pietra Cassa del mistero svelato da un Comune poverello ma ricco di passione, architetti impegnati, archeologi tormentati, viaggi comodi su fuoristrada scomodi per altri, cercando fra le forre cinghiali e lupi per giungere infine al punto in cui il cielo bacia la terra.
La terra del castello regala dalle macerie storie inattese, di mine, chissà, di casseri stremati, di caserme di soldatesche del Quattrocento o del primo Cinquecento, le lettere di Marsilio Uguccioni, brigantine e graffite cortesi delle ultime guerre del Medioevo, le prime del Rinascimento.
E attende nuove fatiche, nei colori del sole, finché le trine della doppia cerchia e del cassero che guarda la Valdera non canteranno altre storie.

sabato 18 febbraio 2012

Le fatiche della Giuncaiola (per la gioia di qualche amico della Valdera)



Vietato l'accesso ai non addetti ai lavori, 81/08 e quel che segue. Ma per convinzione passione e/o professione c'è chi lavora alla Giuncaiola, Alessandro Flavia Sara e amici variegati, e la forza possente dei mezzi, e l'impegno e il cantiere visto in controluce e dall'alto, per i viaggi dell'Archeologo Zio e delle sue memorie. E per qualche amico della Terra dell'Era, che vorrebbe sentir vibrare la terra al segno della sua passione, e non puote (e vai con l'arcaismo, non potendo andar di latino).
Strutture di pietra in cui s'incastonava il legno (dicon le amiche che raschian la terra e i suoi segreti), acqua dei Giunchi che va e viene, in pozzanghere melmose disegnate da tegole rotte che risanavano la pelle ed altri organi, tradotti in forme fittili, o nel vuoto fra monoliti canaliformi, sempre la memoria, quando breve ha la speme e lungo la memoria il corso. E sono anni trentacinque, rammenta l'archeologo zio fra le ultime nevi che tenaci resistono, segno del passato vicino e remoto com'egli sa di essere, dacché due crinali più in là, ad Agliatone, gli apparvero im massa informe impasti microclastici e ceramiche nella tradizione del bucchero, che ancora non avevano nome, ed erano Segni del Mistero.
Ed oggi che labbri tondi o allungati di pentole tonde o allungate soono scanditi in tipi innumeri da archeologi (soprattutto -e) perfettilli (e soprattutto perfettile, les archéologues savantes), se li vede spalmati dal calpestio dell'Etrusco dell'anno 500 (o 450, non entriamo in dettagli) avanti Cristo, cui giungevan novelle da Cere o da Cuma, e qualche resoconto del Pisano andato fino a Genova, con le anfore avanzate dove Auser e Arno si baciano, per la modica spesa di quattro milioni di euro senza contare quel ch'era innanzi.
Le Gioie dell'Acqua con i Giunchi, che faceva bene alla pelle, corrosa dal sole e dal mare, quando farro ed orzo finivano nelle zuppe dei Pisani e dei Volterrani, e al contadino arrivava, ogni tanto, un'anfora del vin buono, altro che la birra di alica.

venerdì 10 febbraio 2012

Apparizioni






La danza del sole di febbraio, quando appena comincia declinare, disegna sul povero marmo sfatto dalla lebbra girali che non sono sogno, dacché li vide il Ridolfi.
Segni del secolo VIII, degli anni che Willibald andava e veniva da Lucca, sulle vie del Mediterraneo, dopo aver sepolto il padre sotto il segno del taumaturgo Frygiano, e gasindi viri magnifici della corte di Liutprando, duces gloriosissimi e relativa famiglia, dopo il maggiordomo di Cuniperto l'abbate Babbino e il suo amico gastaldo Alahis, costruivan chiese per far bella la città che fu romana ed ora era longobarda, per l'ammirazione degli Angli e di chi ricercava il soglio di Pietro, andando per Valdera e per la Maritima; e la via Francigena ancora non era.
E dopo vent'anni, e infiniti passaggi, la pagina di Ridolfi popola il marmo esangue del colore dei mosaici e degli stucchi di San Vitale, rinati dopo centocinquanta anni per celebrare gasindi e vescovi, maggiordomi e gastaldi, e qualche dux.

giovedì 9 febbraio 2012

Archeologia & Neve (ma anche: Giunchi & Tundra)






Il vento d'Oriente riempie di luce, al tramonto, il sereno caos di tende neve uomini donne ombre di archeologi fotografi, dove i Giunchi della Giuncaiola degli Etruschi riemergono nel limo congelato dagli anni, suggellato dai laterizi di copertura (sic) affondati nel pantano di acque salutifere (il potere benefico del fango, sogna l'archeologo che vuole la chiave di volta per ipotesi arcuate).
C'è anche chi si affatica nel vento d'inverno rinfrescato dalle nevi d'Oriente, dopo le fatiche nel sole del Leone, in questa terra di teorici webbari autorizzatori VIA VIPS CIG CUP ecc. ecc.
Fogli infiniti, intrecci di visto l'articolo, e poi i mitici 95 e 96, perfezione inattingibile di procedure pure nei cieli di Giove.
E il vento di chi, un po' rallentato, affonda unghie di ferro nei limi per nutrire di cocci le storie ritrovati e i sogni di un archeologo che è ombra nel sole del tramonto.

domenica 5 febbraio 2012

Gli anni dei Segni



Tre anni, dacché a Roma si parlava di viste dal cielo, e Marcello voleva venire e non poteva ... tre anni, e le visioni (sì, visioni) di Marcello, commentate con la discepola e amica, condivise sulla terra, divengon carta.
Lì, nel clangore di amici d'ogni dove, e anche burocrati, nascevano i Segni sul web, fluidi come la parola, solidi come la carta, per condividere storie e passioni.
E sempre più stanchi, sempre meno convinti, sempre più appassionati dei segni della storia e dell'uomo visti sulla terra e dal cielo, si continua, per le immagini che Marcello ci ha regalato, per le orme che amici coevi continuano a cercare nella Terra dei Quattro Fiumi, e giovani amici sottraggono, nel vento e con la neve, e sotto il sole, alla terra che le custodiva.

giovedì 2 febbraio 2012

Luci d'inverno nei secoli bui




Giorni d'inverno, quiete per gli archeologi, che s'affannano nel timore di future quieti, se la terra sarà meno generosa di storia e di lavoro.
Giorni per colorare antichi disegni, di amici che ancora s'affannano sulla neve, non meno brillanti e appassionati, venticinque anni dopo; per tradurre le stinte diapositive nel web, ornarle di numeri, inane belletto di una vecchiaia che è arduo celare. La US 6 che sigilla, e le strutture di ciottoli o cotani, 46 e 44, la fossa che attraversa storie dell'età degli Antonini e del Tardo Impero, in un foro di Lucca popolato solo da attingitori d'acqua in pozzanghere informi. Strane immagini, quelle della terra, venticinque anni dopo, in controluce delle immagini di duchi e marchesi, vescovi e prelati, tremissi e denari, raccontati dai Monumenta Germaniae e dalle pergamene caroline.
E dall'ammasso di terra nera, impasto di macerie e fango, scavato nel fango, venticinque anni fa meno qualche mese, a dar luce di date sui secoli oscuri, nel marasma delle pentole del pranzo di Rixsolfo, buone per fave e un po' d'orzo da bollire con il lardo, spunta l'argenteo conio arabesco, tradotto per l'archeologo ignorante che lo recupera scavando nei suoi scavi, da un dotto d'Allemagna, per le cure dell'amico di Padova che frequenta Udine.
Anni del secolo IX, del figlio di Carlo, un po' dopo, un po' prima, quando Baiuvari e Longobardi e Franchi vagavano per le vie di Toscana, e navigavano in Africa con il marchese Bonifacio, canta l'argenteo conio figlio del Marocco, che recita i segni degli Idrisidi (dice l'amico dell'amico).
Giorni d'inverno, per ritrovare nell'argento del Maghreb gli anni di Eginardo, nella US 4 della pozzanghera a cui i Lucchesi attingevano acqua.

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