E dunque gli audaci investigatori e salvatori della rocca perduta nelle forre della Valdera hanno ritrovato i segni degli ultimi castellani.
«Io mi tr[o]vo a prese[n]te, chome
voi sapete, ne la rocha di Pietrachasa, la qua[l] cosa no so se voi ci siate
mai istato o se l’avrete veduta; o pure, siate istato o no, ve ne voglio dare
un pocho di relazione. Ela è i[n] sur un pog[i]o che ne va a le istele e è
ne[l] mezo d’uno boscho che no ci capita mai persone né bestie, se none, a le
vo[l]te, qua[l]che porcho sa[l]vaticho o qua[l]che cervo o chavriolo; ma de le
dimestiche, dapo’ che io ci sono n’ò a[n]chora a vedere: sì che, pert[an]to, io
no se[n]to mai nuova nessuna.
...Marsilio Uguc[i]oni, c(as)t(ellan)o i[n] Pietrachasa».
Marzo del 1506, i Pisani insorti e ribelli e guerrieri assai più in là, cinghiali cervi e caprioli (come oggi) a far compagnia ai castellani fiorentini, con le loro spingarde fissate ad attendere chi mai sarebbe venuto, nelle feritoie ricavate sbranando i fini tessuti lapidei dei Gaetani.
E agli amici di Lajatico, che hanno rinnovato e salvano il Forte Bastiani di Marsilio Uguccioni, tenente Drogo di quattrocento anni prima, si dedichino le immagini dal cielo e le parole dalle biblioteche.
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