La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

martedì 16 febbraio 2010

I segni della filatrice, i sogni dell'archeologo







Il cacciatore e la maga: i ghirigori della fuseruola di Fossa Cinque di Levante della Bonifica di Bientina, quasi quindici anni dopo, divengono improvvisamente chiari, narrano e cantano come poeti in versi dai ritmi perduti, arcaicissimi saturni etruschi, storie remote dell'Età del Bronzo.
La filatrice che alternatamente vede l'eroe con il cane e la lancia, come sul carrello di Bisenzio, che va ad affrontare un mostro serpentiforme; e perché non una variante dell'orcus che tanto piacque a Torelli, ancora nei bronzi dei vasi dell'Olmo Bello, con le loro storie inquietanti di una terra etrusca e italica che non si riconosceva nella luce del mondo ellenico.
E alterna il mitico cacciatore di mostri – quasi un Beowulf che parla un etrusco ancora sonoro (chissà ...) - con la snella figura soletta soletta, che affronta un altro mostro serpentiforme. Ma sì, è la maga che diverrà Medea, nella sagace esegesi di Marina Martelli, nelle narrazioni dei pittori orientalizzanti del secolo VII, che traducono nel linguaggio ellenico e nelle favole greche le torbide storie dei mostri generati dalla terra d'Italia.
Il cacciatore e la maga, il guerriero che ritorna e la filatrice stessa, con la sua magica fuserola, che riflette nelle due calotte i due lati del mondo, maschile e femminile, Torelli e l'orcus, Martelli e Medea ...
E poi l'archeologo si sveglia, il sonno poetico per oggi è finito. È l'ora del nulla-osta di cui, alla luce del comma, e del fango che di nuovo aspetta. Ma dal fango possono uscire anche i segni di una filatrice del 1000 a.C., nella Piana dell'Auser, sospesa sulla piattaforma di legno come una Melanesiana, a narrare storie di mostri, di donne, di uomini che affrontano con il cane amico la belva dei boschi o la belva dei fiumi.

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