Lungo è il viaggio per Vagli, abbastanza da seguire il filo di quasi trent'anni di risalite della valle, e il filo delle pagine di Livio, quando si arriva al punto in cui le Panie – eruditamente Apuane – scattano verso il cielo dal febbricitante fluttuare delle foglie morenti. Lotta strenua per dare un'immagine pulita del Sacro Cerchio che Paolo (e Silvio) hanno lustrato, dopo che il Caso, il Cercatore di Funghi, il Sindaco Estroso, in un autunno passato avevano trovato la Tomba della Fanciulla, come ci ha insegnato una dotta antropologa,
la bambina che si era portata con le sue ossa semicombuste tutte le dotazioni delle donne di famiglia, cinture, collane, fibule. Una tomba sacrario, forse innalzata quando ormai le coorti romane cominciavano la caccia inutile e feroce ai Signori della Montagna, col cerchio esagono di massi di marmo splendidamente bianchi nel sole del mezzogiorno, e la lastra che segna il Mistero. O piuttosto l'Ignoto, per l'archeologo che tutto vorrebbe capire, o conoscere. E invece gli Apuani di Vagli ci hanno lasciato il più prezioso segno che l'archeologo possa cercare, il Segno del Mistero. Popoli di montagna noti da qualche muretto esplorato quando salire per le mulattiere non era vietato da anni e norme, da tombe descritte nei secoli passati, dalla retorica bolsa e ripetitiva di Livio; e ora anche dal Cerchio con la Lastra, posto sul crocevia di immaginati sentieri di montagna. E forse Livio non era solo retorico, quando rammentava il pianto degli Apuani deportati per le dimore antiche della loro stirpe, per le tombe non più rispettate, sull'intreccio di vie dalla valle al mare, e al cielo.
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