La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

martedì 8 gennaio 2013

Due alla quinta





Tanti son gli anni passati nell'orizzonte segnato dalle due Panie che furono una e dalle Pizzorne, che forse furono il Monte Grominio, e nelle terre che s'impregnano dell'acqua dell'Auser e del cielo quando il cielo è pulito dalla tramontana. Due moltiplicato cinque volte, sono gli anni che distinguono i primi giorni di un inverno trascorso, nei giorni che preparavano maggio e la festa dei gigli d'acqua, a seguire i Segni dell'Auser su immagini dal cielo in bianco e nero, e ritrovare gli Etruschi e i Romani che vi navigarono, da questo inverno, ancora a cercar storie raccontate da relitti della vita che fu, fino a che l'azzurro non si perde nel rosa delle nevi apuane.
Due o tre volte cambiato il nome dell'istituzione, nata per la scienza e divenuta serva della Carta e della Procedura, non si sa più quante volte cambiato il nome, ispettore titolo odiato, poi finalmente archeologo in tutte le sfumature e gradi, infine funzionario, che forse e senza forse è anche peggio di ispettore, segno di una burocrazia aliena alla Poesia dei Segni della Terra, e forse anche alla loro Storia.
E le rosee nevi delle Apuane, anch'esse burocratiche metamorfosi della Pania, che vedono la terra della Fanciulla di Vagli e degli Etruschi di Piari, dei Liguri Apuani del Monte Pisone e delle Carbonaie, e più in là della città figlia di Roma e di Pisa, con duemilaequasiduecento anni di strati assommati in colori infiniti come quelli del tramonto, castelli e pievi un po' dappertutto, fino all'Arno nutrito dall'Auser, Etruschi in tutte le fasi e salse Romani più o meno altrettanto, spruzzate abbondanti di Medioevo Rinascimento e perché no anche memorie del contemporaneo, scandiscono le ombre del tramonto.

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