Non era calda come queste del nuovo millennio, la mattina di cinquanta anni fa, a Pisa, Via Santa Maria (pare ...). Una cosa rapida, niente corone, gli anni di piombo non le prevedevano, anzi, neppure le immaginavano, discussione rapida, qualcosa si aveva pur da dire, ma con la media del trenta e lode e solo un infortunio a latino scritto (ventinove), non c'era da mettere in discussione l'esito. A dire il vero il correlatore non sembrava entusiasta, ma è naturale, per l'ultimo o penultimo allievo del suo maestro ufficiale il giovane leone doveva mostrare i denti all'antico leone. Paolo Enrico Arias e Salvatore Settis, al secolo.
Eppure, vista cinquanta anni dopo, la fuga tra immagini create tagliando cucendo interpolando inventando per figurare le storie di Medea a Corinto non era così spregevole, se qualcuno al Louvre la apprezzò, un po' di anni dopo, nel minimo contributo per il grande maestro, per la storia di una singolare Creusa che forse non era Creusa. Chissà chi era ...
E finito il rapido dialogo, via, formalità sbrigata. C'era la vita da navigare, anno 1975, e certo il maestro fu fondamentale, per i suoi insegnamenti profondi, per navigare nella Scuola Normale, sussidio potente.
Sì, indimenticabile, di certo non avrebbe apprezzato la fuorviante passione per la terra natia, ma era tollerante, dall'alto della sua storia.
E ora, una dietro l'altra, ritornano le immagini di Medea, sulla ceramica italiota, sul folgorante pezzo etrusco allora ignoto, apparso ad Orbetello, sulla cruenta Maenas dei sarcofagi. Storie remote, impolverate. Ma basta un soffio per farle rivivere.
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