La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

venerdì 15 dicembre 2023

Il senatore allo specchio (degli anni ...)




È tremenda la ringhiera, per non tagliar l'immagine del sarcofago del senatore e della coniuge occorre dilungarsi, scivolare in una prospettiva incongrua .. ma il marmo del polveroso sarcofago che fu nel cortile del Museo dell'Opera del Duomo ed ora brilla nella più splendida sala del più bel museo di Firenze racconta storie inaudite all'archeologo che lo rivisita dopo quasi quarant'anni.

Eh sì, ora ha ben altre luci la testa del senatore, ed appaiono l'altro marmo e gli altri anni, la testa rinnovata o rigenerata. Lei con la sua bella chioma tardoseveriana, lui con l'aspro profilo di chi affrontava i barbari con speranze o disperato, come Decio o Treboniano Gallo, certo ispirato come il comandante del sarcofago Ludovisi ... si immagina, ma senza esagerare. Nessuna alternativa alle Vittorie che incorniciano di gloria la porta Ditis.

Sarà lui o non sarà lui, Quinto Petronio Meliore, come si sognò tanti anni fa, il console degli anni Quaranta, certamente o quasi un amico di Gordiano III ... si potrebbe fare un romanzo, dalla quiete delle curatele di città sul litorale etrusco di nuovo a comandare legioni, dopo tante battaglie sul Reno negli anni di Alessandro Severo, e dintorni.

Chi lo sa ... per ora è sufficiente perdersi nello specchio degli anni passati, recuperando pagine assai faticate.

giovedì 30 novembre 2023

Anniversari castelfranchesi. La fondazione del monastero dei Santi Iacopo e Filippo settecento anni dopo

 




Si ritrovano pagine antiche di storia patria, si rileggono venti e più anni dopo, e scatta il conto ... ma sì, anno vigente ancora 2023, sono Settecento Anni tondi dacché Paruccia del fu Orlandino, Chiara del fu Bonaiuto, e 'certe altre donne' fondarono nel quartiere di San Martino, un isolato intero, dove già era la casa che Paruccia aveva trasformato in chiesa, il monastero che sarà dei Santi Iacopo e Filippo. Storie di Castelfranco di Sotto, fresco di costruzione.

Una presenza incombente per l'archeologo in pensione, che lì vide per la prima volta apparire dalla terra i segni della storia, anno 1975, ma quanti altri ricordi ...

Il monastero le sue monache le sue ceramiche, e poi, rivissuta di recente, la sua fine e la metamorfosi, palazzo e fattoria dei Martellini e poi di grandi di Spagna. Ma la chiesa rimasta, fino al crollo. Chiesa della Compagnia, ora teatro, le memorie che si diluiscono nella dissoluzione dei nomi.

Ma è lì l'impresa al femminile, come si direbbe oggi, Paruccia Chiara e le loro amiche, come usava fra Duecento e Trecento, a fondare chiese e monasteri.

Nella civiltà della memoria a numero fisso, settecento è un bel numero, per rivivere per un attimo, nella carta del notaio castelfranchese, gentilmente elargita dall'Archivio di Stato di Lucca, 1° febbraio 1323, scriveva Ranaldo di Ghiandone e tutti i preti intervenivano, la profonda emozione di quel giorno.

giovedì 16 novembre 2023

Il gastaldo e i marmorari. Le ragioni di una ricerca


Quando dagli amici aretini (Pierluigi Licciardello e Giulio Firpo, in particolare) giunse l’invito a partecipare alla giornata di studi in memoria di Alberto Fatucchi – poi tenuta il 24 novembre 2018 – con un contributo sui rilievi altomedievali in Toscana, non mancò un po’ di emozione, nel rivivere la felice stagione di ricerche che era partita, quasi per caso, negli interrati del complesso di San Frediano, a Lucca, sul finire degli anni Ottanta del Novecento.

Mentre con Paolo Notini si cercavano – con qualche successo – strati capaci di confermare la cronologia tardoantica del primo complesso ecclesiastico, dedicato a San Vincenzo, il sagrestano, il compianto Enzo Riccomini, in una conversazione che divagava sull’Alto Medioevo e sul rilievo di quei secoli reimpiegato a ridosso dell’abside, segnalò che una seconda lastra, molto simile, era visibile sull’altro lato, inglobata in un magazzino, ovviamente non accessibile al pubblico, e quindi sfuggita anche alle indagini più attente sul monumento e sulle sculture altomedievali di Lucca.

Navigando sulle onde di un interesse nato per ricomporre la storia del San Frediano fra Tarda Antichità e Alto Medioevo, davanti alle pagine del Biehl (Biehl 1926) sul cimelio ‘gemello’ del San Giusto di Volterra non fu difficile lasciarsi sedurre dall’esigenza di collocare la nuova acquisizione nel panorama delle produzioni artistiche lucchesi, abbozzando un saggio di ricostruzione delle botteghe di marmorari lucchesi d’età longobarda (Ciampoltrini 1991 a); un percorso che appare, a più di trent’anni di distanza, non privo di ingenuità e di lacune bibliografiche, che si possono forse perdonare perché in quegli anni era disponibile solo la pur ricca biblioteca del Kunsthistorisches Institut di Firenze, e non la risorsa pressoché inesauribile della rete.

Con uno sguardo educato da queste letture, non fu difficile, poco dopo, riconoscere nei capitelli in opera nell’abside di Santa Maria foris portam, ancora a Lucca, un esemplare di reimpiego, non meno negletto fino ad allora, che divenne punto di partenza di una seconda tappa dell’itinerario nell’Alto Medioevo lucchese e, questa volta, anche toscano (Ciampoltrini 1991 b). Dopo aver seguito, episodicamente, le vicende della Toscana settentrionale fra tardo VII e inizi del IX secolo, sembrò inevitabile affrontare lo stesso percorso nella Toscana meridionale, iniziandolo a Chiusi e concludendolo a Sovana (Ciampoltrini 1991 c), e infine cercare nel VI secolo l’anello di snodo fra Tarda Antichità e Alto Medioevo, ancora una volta immaginando il contesto di un frammentario marmo lucchese visto qualche tempo prima in Santa Reparata, e poi nei depositi del Museo Nazionale di Villa Guinigi, sovrapponibile per iconografia e per tecnica di realizzazione alla lastra del perduto altare fatto erigere dal presbyter Valerianus su disposizione del vescovo Frygianus (Ciampoltrini 1992).

L’ospitalità di Mauro Cristofani e di ‘Prospettiva’ avevano consentito libertà e audacia impensabili oggi, fra le nebbie della ‘revisione paritaria’, o peer review che dir si voglia.

L’itinerario era completato, nuove sfide si ponevano all’archeologo di soprintendenza negli anni Novanta, decisamente meno sereni.

Fu il rinnovamento del Museo di Villa Guinigi, voluto da Maria Teresa Filieri e concluso da Antonia D’Aniello, intorno al 2010, a risuscitare per qualche tempo le remote passioni, mentre si vedeva nascere la sala dedicata alle sculture altomedievali, accanto a quelle che accoglievano, in un fraseggiare serrato e vivace, le testimonianze dell’archeologia del VI e VII secolo, e una selezione dei reperti dello scavo di Santa Reparata. Un percorso museale affascinante, anche se questa passione non ha trovato molte condivisioni, e che aveva, indirettamente, una spettacolare illustrazione nella pagine con cui Annamaria Ducci sintetizzava la serie dei suoi contributi sull’Alto Medioevo lucchese in un’opera collettiva sull’arte a Lucca nel Medioevo (Ducci 2014).

Mentre il compianto Rodolfo Cozzani e la sua squadra ponevano in mostra ceramiche del VI e VII secolo, cinture d’età longobarda, rilievi e affreschi staccati di Santa Reparata, riaffioravano immagini e pagine di tanti anni prima, e si valutava se non fosse stato il loro carattere rapsodico a rendere meno chiara la ragione di una queste che cercava di raccordare produzioni artistiche e il contesto politico-culturale che le aveva richieste, magister marmorarius e committente: gli alti funzionari della corte regia di Cuniperto, alla fine del VII secolo, fra Volterra e Lucca, e subito dopo a Lucca l’aristocrazia cittadina e il suo progetto di esaltare il ruolo della città sulla via per Roma, via di pellegrinaggi e non solo, con una crescita della domanda capace di determinare la nascita e la fortuna, effimera, di una bottega locale (i marmorari lucchesi: Ciampoltrini 1991 a); il dux Gregorius a Chiusi, e una ‘strategia della comunicazione’ degli anni di Liutprando sostanzialmente parallela a quella coeva lucchese, ma demandata a maestranze partecipi del clima della ‘rinascenza liutprandea’ della corte di Pavia e delle grandi commissioni pubbliche dell’Italia settentrionale (Ciampoltrini 1991 c); il ‘canto del cigno’ sul finire dell’VIII secolo – gli anni di Carlo Magno rex Langobardorum, prima ancora che imperatore – con l’afflusso di modelli (o manufatti) romani percepibile con prepotenza a Sant’Antimo e poi nella politica di promozione delle chiese cattedrali che si lumeggiava da Lucca a Pisa, Firenze, Roselle (Ciampoltrini 1991 b). Infine l’esaurimento, con la crisi che inizia nei primi del IX secolo, tanto evidente nelle carte documentarie, quanto negletta nel fulgore del mito carolingio, che oggi è soprattutto mito di fondazione dell’Europa di Bruxelles e di Strasburgo.

Forse perché spezzato in tappe con punti di partenza e di arrivo non sempre vicini – o forse perché non convincente – il percorso nel rapporto fra maestranze e committenze, essenziale anche per elaborare una ‘cronologia ragionata’ dei rilievi altomedievali in Toscana, costruendo una griglia diacronica dalle maglie adeguatamente strette in cui far ricadere l’evidenza superstite, non aveva avuto riconoscimenti particolari, pur in un dibattito su questi secoli sempre più vivace e fitto di contributi, spesso talmente densi e continui da disperdere l’attenzione.

Un po’ di vittimismo all’archeologo che tanto ha lavorato nelle Soprintendenze, avulso dai centri del potere accademico e della sua potenza di fuoco nell’esaltare e nel deprimere, anche con l’arma più efficace (il silenzio), si può concedere …

Dunque l’invito ad Arezzo parve un’eccellente, inopinata occasione di riflettere sulle proposte di trent’anni prima, rivedendole in un ordine diacronico che le rendesse meno frammentate, e aggiornandole alla luce di nuove acquisizioni, in qualche caso particolarmente consistenti, come appunto quelle lucchesi ora apprezzabili a Villa Guinigi (e nelle carte del Ridolfi, finalmente edite: Ridolfi 2002), o il complesso di San Leolino, a Panzano nel Chianti, allora ricostruito da Renato Stopani (Stopani 1998) e non ancora dalla filologia di Guido Tigler (Tigler 2021).

Giacché è irresistibile la seduzione delle proprie idee, soprattutto di quelle generate dalla vitalità giovanile, all’aggiornamento era improbabile che si abbinasse una revisione; anzi, era inevitabile che la presentazione di Arezzo altro non fosse che una recensione, diligentemente completata di nuovi acquisti e di nuovi contributi bibliografici, delle valutazioni di trent’anni prima (Ciampoltrini 2020 b). Il viaggio si arricchiva di nuove soste, ma i paesaggi da apprezzare rimanevano immutati.

Soprattutto, rimaneva senza una risposta solida, motivata, la domanda sul momento della genesi, la ripresa dell’attività dei marmorari negli anni di Cuniperto; forse una domanda inutile, come quelle che già si sa che sono senza risposta, forse un’ossessione nata negli interrati di San Frediano, ricercando il segno di Faulo (e dell’abate Babbino) fra i resti della chiesa cruciforme di San Vincenzo e le illuminazioni dei reimpieghi nell’area absidale. Insomma, una ricerca frustrante, come deve essere una vera Queste del Saint Graal, ma ineludibile per l’archeologo formato negli anni Settanta, quelli del contesto, delle cronologie minuziose e non al secolo, delle fonti.

Nei vagabondaggi sulla rete può capitare di avvistare sirene che sviano da rotte che si pensavano già tracciate. Quando, per suggerimento delle bibliotecarie dell’Accademia, si incontrarono i pdf degli Spogli degli Annali settecenteschi della Colombaria di Firenze, resi (quasi) integralmente disponibili con un gesto non frequente in Italia, la sosta per ascoltare il canto delle sirene del Settecento fu lunga, e preziosa; non il naufragio, ma nuova conoscenza, come le vere sirene devono saper fare. Ogni pagina raccontava storie, in parte già lette nei libri del Gori e del Targioni Tozzetti, in parte intravviste nei carteggi dello stesso Gori, assaporati negli anni Settanta nella Magliabechiana. Spesso però rimaste sepolte e perdute, dopo l’effimera fortuna nelle riunioni dei Colombi.

Una storia faceva riemergere l’incontro a Volterra con l’iscrizione di Alchis, nel nuovo San Giusto – tappa comoda per chi arriva in città dalla Valdera – con il bellissimo apografo del pittore Ippolito Maria Cigna. Bello e, apparentemente, inutile, giacché niente (o quasi) aggiungeva alla conoscenza del monumento, se non confermandone e anticipandone di qualche anno la fortuna nell’onnivora erudizione fiorentina del Settecento.

Ma la rete ha comode seduzioni, non solo di sirene. Pur già vista, certamente, nel corpus del Rugo (Rugo 1974-1980), ma inosservata, fu sufficiente qualche parola di ricerca per far apparire la dedica di Radoald, vir magnificus, gastaldo a Vicenza, con l’impressionante sovrapposizione del modo di scrivere fra la sua e l’iscrizione del ‘collega’ gastaldo di Volterra; con questa, apparve anche la proposta di Bognetti, di porla negli anni di Cuniperto.

Ad Alchis e a Faulo si poteva aggiungere dunque Radoald; soprattutto, si percepiva, dall’Austria alla Tuscia, un ‘modo di scrivere’ comune che anticipava alla fine del VII secolo la ‘politica dell’immagine’ degli anni di Liutprando, estesa anche alle iscrizioni. Un contributo sufficiente per affrontare di nuovo il ‘contesto’ della ‘rinascita’ delle produzioni artistiche negli anni del re Cuniperto, in una «società scritta, quale fu la società longobarda della fine del VII secolo», come conclude Antonella Ghignoli il suo saggio sulle carte di Alahis (Ghignoli 2004), forse un mero semi-omonimo, più probabilmente lo stesso che fece costruire le chiese per il santo volterrano e per il suo compagno di ventura, o fratello, Clemente. Alahis sottoscrive con un segno di croce, ma sapeva che le imprese architettoniche che volevano dimostrare la nuova epoca dovevano essere celebrate anche con la scrittura; così come lo sapeva Radoald a Vicenza.

Sapeva anche che architettura e scultura dovevano dialogare, per rappresentare il ‘rinnovamento’ nell’evidenza della pietra che sostituiva il legno negli arredi liturgici, una tradizione che nello stesso tempo papa Sergio I rinnovava a Roma? È un postulato, accettabile, se non altro perché se Alchis non lo sapeva, provvedeva la corte di Pavia a ricordarglielo, con il maiordomus Faulo; o l’abate Babbino, con cui il suo semi-omonimo aveva avuto rapporti.

Il sapere accademico potrebbe avere non poche obiezioni, ma da questo postulato è partito il ritorno a San Frediano e ai creativi anni Ottanta, in giorni segnati dalla scomparsa della mamma, prevista e prevedibile perché il Tempo è inesorabile, ma non meno capace di dare la percezione del vuoto.

Queste pagine la vorrebbero alleviare, nel vigore di un ricordo che trasformi ombre in immagini colorate; o almeno in bianco e nero.

O forse solo con un’illusione, come la danza di cerchi tangenti con rosette esapetale che s’annodano a iscrizioni e pergamene fra Lucca e Volterra…

venerdì 20 ottobre 2023

Partir da Rigoli per Costantinopoli. Croci a colori.




 Non ferma a Rigoli e Montuolo ... quante volte sentito nelle stazioni di Lucca e Pisa, quante ...

Ma si fermò un marmorario di eccellenza, in qualche anno della prima metà del secolo VIII, lo aveva visto Biehl, si rivide con un po' d'impegno tanti anni fa, ed ora è un classico, di questa piccola storia di marmorari lucchesi all'opera per Longobardi che volevano rifarsi un'immagine.

Ci si era fermati a Rigoli, e poi un salto ad Aquileia, per la croce splendente nel campo dell'oggetto misterioso, in cui l'importante era la fronte, ma non molto meno il bordo, guarnito di tralci e mostruose teste. Si diceva un fonte battestimale, ma dopo una gita teorica in quel di Vicenza, si può avventurare anche un lavello. Per bagnarsi in acque santificate, no davvero per sciacquarsi. Forse. Tutto un chissà.

Ma oggi si può andare oltre Aquileia, e arrivare alla Capitale.

Sì, il mosaico imperiale di Santa Sofia, che può dare i meritati e perduti colori alla Croce di Rigoli.

E colorato, chissà se su uno sfondo sfavillante d'oro, il cerchio con la croce è tutta un'altra cosa.

domenica 1 ottobre 2023

Da Bengodi a Galciana, passando per Pietrasanta. Le belle Romane di Toscana, A.D. 600 e dintorni.






La più bella è sempre lei, l'eponima, bella come il mare di Maremma su cui si rispecchiava chi la portava, cercando col guardo le navi dell'Impero, unica difesa dalle rapine longobarde, direbbe il Manzoni. E aveva ragione.

E poi le altre viste da von Vacano, e poi quelle delle Terre del Sud, e il misterioso Monte Massico, e poi la scheggia del museo di Livorno, che ricordi del momento in cui apparve nelle schede della Soprintendenza, l'ultima vita di Vada Volaterrana. Il viaggio al Museo Fattori che diviene pellegrinaggio, per toccarla, quasi reliquia.

E poi quelle di Chiusi, un elenco di tanti anni fa, la povera erudizione di un archeologo di soprintendenza, disprezzato come il suo ruolo. Ma chissenefregava e chissenefrega, si direbbe.

E l'emersione di Pietrasanta, ancora sul mare o quasi... Armilla "tipo Bengodi", armilla di donne di mare. Non solo ma quasi.

Storie di tanti anni fa, cronologie un po' fuorviate da parentele apparenti con i ghirigori di Teodorico. Forse solo apparenze, si falla e si può fallare, basta potersi emendare.

E si sapeva, dai libri, della scoperta di Galciana, la famiglia che si fece seppellire con gli ornamenti, la cintura e il braccialetto. Ma vederla, dietro il vetro di Gonfienti, è un'altra cosa, riappaiono le storie dell''85, le fotografie commosse all'esemplare eponimo, bronzo lucente, prima che la morte della Soprintendenza lo facesse seppellire chissaddove. L'emozione dell'ultimo saluto, quasi l'armilla lucesse di nuovo al braccio della morta. Una morta c'era davvero, la Soprintendenza, anno 2018. Morta di morte violenta, e si sapeva bene chi era l'assassino. 

Data quasi sicura per la bella romana di Galciana, un po' dopo il 600, ma forse gliela avevano regalata quando era andata sposa al Romano con la Cintura, e tipo un po' diverso, variante. A regola si dovrebbe ora parlare di "tipo Bengodi-Galciana", perché il fabbro un po' orefice che sapeva far risplendere il bronzo e decorarlo di impressioni non conosceva solo le tenaglie teodoriciane. O presunte tali.

Ornamenti di povere bellezze di anni disperati, ma non tanto da non richiedere il decoro nella morte, ornamenti di donne romane. 
 

venerdì 22 settembre 2023

La bianca città di Segor



Sarebbe deprimente pensare di aver fatto lezione ad un sol discente, ma non importa ... e soprattutto non importa se seguendo fili di trent'anni fa si ritorna alle scene di vita vissuta, un po' sognanti, del mitico Pentateuco, visto per vasi e per orecchini, ora per le mura di città.

E seguendo un filo si trova un dotto studio e si legge infine nell'onciale un po' stinta il nome della città perduta ma non troppo dalle parti del Mar Morto, Segor! Storie di Lot e della sue figlie, raccontate per esteso in un foglio che è anche un viaggio nella città tardoantica, alla vigilia della fine di tutto. Ops, di qualcosa. Poi si sa, Arabi e Longobardi erano benefattori, per la nostra cultura che odia le sue radici.

Visitare la bianca Segor piena di luminose chiese, con le sue torri cupolate, in compagnia di Lot e delle figlie. Non è occasione di tutti i giorni ...
 

sabato 9 settembre 2023

Quarant'anni ...


Un'occhiata al calendario, settembre 2023, e i conti sono semplici. Quarant'anni, giorno più giorno meno, bisognerebbe riandare alle carte d'archivio della soprintendenza perduta, da quando apparve in una mezza voragine nella Banca Nazionale del Lavoro, Lucca, cortile interno, il monumento che solo si sarebbe potuto sognare.

La chiave di Lucca augustea, rinnovata colonia, in una fangosa immagine, e poi tanti anni per decifrare le immagini e poi la fortunosa coincidenza di scavare di nuovo lì presso, '87 e poi altri anni. Fango e rumore, con Paolo, come usava allora.

E riflettere e indagare, a lungo, come usava allora, e farne asciutte pagine, un po' in ombra, ma si sa, l'argomento è di nicchia. Disvelare gorgoni, urei, cigni, linguaggio augusteo per i coloni mandati sull'Auser non è poi così semplice.

Quarant'anni, e quei giorni dell''83, l'emozione, gli amici di soprintendenze diverse ma legate, il viaggio per Lucca, il museo e poi il restauro, un po' di anni dopo, hanno la luce tagliente di settembre quando c'è il sole.

Quarant'anni ...

venerdì 11 agosto 2023

Sognando con Apuleio, fra taverne grotte briganti




Ci vuole l'erudito di Prato, Innocenzo Bonamici, con le monete trovate dal suo contadino un po' sopra il Bisenzio, a Pupigliano, anni della Colombaria, da lui presentate ai Colombi e rilette per presentarle agli amici a Ferrara, discutendo di topografia antica in giorni appassionanti, per risvegliare le letture di Apuleio ...

Quante volte lette e rilette le storie di Lucio, per immaginare dai suoi racconti di strada la taberna che Alessandro e gli amici di Capannori scavarono ai Martiri Lunatesi, e fantasticare (ma non troppo), che alla fin fine la casa di Panfila e Milone, nella straniante Hypata, altro non era che un B&B o taberna deversoria, e che l'amore folle di Fotide altro non era che una forma di servizio aggiuntivo offerto all'ospite, incluso nel prezzo. Povero Lucio, così convinto del suo fascino ...

E i briganti ... briganti e grotte dappertutto, nel romanzo si può dire ciò che l'imperiale propaganda nega a lungo, che dappertutto ci sono briganti, il disagio sociale colpisce l'onirica Grecia di Apuleio come l'Italia del II secolo.

E poi si ammette per celebrare successi. L'eroica pattuglia di marines, si direbbe oggi, anglomanieggiando, che sbaraglia i briganti al Furlo. Eh sì, i tempi son quelli, Filippo l'Arabo, le tre monete di Pupigliano, così legate all'anno cupo di un millennio celebrato, Ludi Saeculares e bestie esotiche, l'imperatore con il figlio che garantisce per l'effimera dinastia.

E se sono briganti che si muovono sull'Appennino, lungo il Bisenzio, arrivano nel Pistoiese e a Capannori, rubbano et ardono, è certo che devono trovare rifugio nelle grotte. E dove, se non nella Garfagnana, piena di rifugi che gli amici di Castelnuovo sfruculiarono in tempi antichi, quando tutti eravamo giovani, e loro anche baldanzosi e pieni di attese. Quaranta anni fa anzi di più ...

Le poche monete della Grotta delle Cento Camere, perfettamente combacianti, ancora Filippo o al più tardi Decio, e quelle molte della Piella, presa per luogo di culto e magari semplice comodo anfratto da cui partire per incursioni nelle prime propaggini dei monti tusci.

Seguendo il sogno di Lucio. Forse molto più concreto di quanto si sogni.

lunedì 24 luglio 2023

L'illusione nella grappa





 Estate, giorni roventi, stanchi ... occorre un'immagine apparsa all'improvviso, inattesa, fresca di colori, ferventi segnalazioni di amici (in questo caso amiche) mai conosciuti, è il bello dei mezzi di comunicazione della rete.

San Vincenzo al Volturno, frequentato un po' di tempo fa, due anni, su vie che arrivavano fino a Matera e poi su su in terre di Lombardia, sempre partendo da Roma, e passavano per Santa Reparata, a Lucca.

Apparizioni multiple, diffuse negli anni, le illusioni del marmo che i fratelli vescovi prodigavano per San Martino, e facevano fare d'intonaco dipinto nella seconda cripta. Il marmo era finito.

O così si pensa, altri no.

Ma rivedere la grappa di San Vincenzo al Volturno, solido terminus ante quem, liquido post quem, perché il pittore di Lucca si distingue, è generoso di grappe e di chiodi, per un attimo risveglia dal letargo estivo, e fa viaggiare nel secolo – sì, meglio largheggiare – che precede e segue gli anni del re Carlo. Tanto vagheggiato, un bluff, avevano ragione gli eruditi lucchesi.

Le grappe di chi ancora vedeva i veri marmi di Roma, e per signorotti longobardi, e anche franchi, preti e vescovi e abati d'ogni genere, li rifaceva con qualche pennellata.

Ma con le grappe, e i chiodi, perché l'illusione è nella grappa.

sabato 10 giugno 2023

Per Silvia (Nutini), dal mare di Fonteblanda



Apri FB, e una voragine all'improvviso ti è davanti ... Silvia, Silvia Nutini, lasempreallegra, vitale, pungente, brillante, non c'è più.

Le parole sono eccessive, inopportune.

Silenzio, come davanti al mare di Fonteblanda nei giorni d'inverno, i più belli, quando s'immaginava di uno scavo che poi ci fu, ed emersero dalla spiaggia della laguna Etruschi dimenticati, e presto obliati.

Ma non prima che Silvia ci raccontasse storie impensate, quando ancora si occupava di ossa e di molluschi eduli, e non degli Stovigli delle Monache e poi di arte.

Sempre più in là. Sempre oltre. Ridente e un po' beffarda.

Pronta a rispondere con battute ancor più incisive alle battute sulle vongole di Fonteblanda, opera preziosa, unica forse, sugli Etruschi del mare del secolo VI avanti Cristo.

domenica 4 giugno 2023

Da Arbe ad Arfoli. Il nodo (di Salomone) con il chiodo




Un amico di Facebook c'illumina con i rilievi di Arbe, e subito riappare la meravigliosa lastra di Arfoli, vista di fuga qualche tempo fa. Il nodo di Salomone, quanti ce ne sono nelle opere romane dei primi del secolo IX, quanti ... ma con il chiodo al centro è faticoso cercarli fra le tavole del Corpus ...

Riappare ad Arbe, con il senmurv nel frattempo frantumato, un dottissimo lavoro di un dotto di Croazia per illustrarcelo, nodo con Salomone con chiodo perno o chissà cosa significa, ma certo è come ad Arfoli, le immagini dell'Adriatico che la bora fa arrivare di Dalmazia in Toscana.

Da Arbe ad Arfoli, con un marmorario virtuoso, che sa replicare da maestro i popolati reticoli degli anni in cui Carlo dominava ... e vuol far capire che replica ma non copia, il ductus del senmurv è limpidamente diverso dal rilievo di Neviđane, arcipelago zaratino, isola di Pasmano, così come astuto è il marmorario di Arfoli, a fare dell'uccello bezzicante un nutritore del pulcino.

Sembrano fratelli i marmorari di Arbe e di Arfoli, degli anni in cui si sapeva replicare ma lo si faceva capire. Perché quella era la bravura dello scalpello negli anni iniziali del secolo XI.

giovedì 1 giugno 2023

La doppia vita di Framarich (ovvero: vagheggiamenti di due giorni di longobarderie, a Grosseto)



Due giorni fitti fitti a Grosseto, a sentir ragionare di Longobardi, e qualcosa ci sarebbe anche da postillare, ma alla fine si vuol solo cambiare argomento ...

Ma lì, di nuovo storie di guerre e di terre fiscali, e l'oro romano che diviene simil-romano, in tremissi buoni di peso ma vieppiù devastati nell'immagine, si può riandare a Giovanni di Efeso e i Longobardi al soldo dell'Impero nei tormenti della fine del VI secolo – antica fissa dai tempi dei Longobardi di Chiusi – e alla sua versione d'argento ritrovata chissaddove in Siria, prontamente traslata in Germania ... ritorno a casa, fanno capire i dotti che l'hanno notomizzata, perché Framarich che dedicò nelle chiesa perduta nelle terre d'Oriente dell'Impero aveva da essere franco. E Karilos gallo ... e così gira gira alla fin fine Karlsruhe è degna sede, sussurra il subconscio.

E perché non longobardo, Framarich? Ci saremmo anche, fra Brückner e Nicoletta Onesti vedova Francovich, e Maria Giovanna Arcamone e Carla Falluomini, lì a Grosseto ... con un po' di sforzo e con i decenni che passano prima che Giona scriva, Framarich potrebbe essere diventato anche Fraimeris, il monaco miracolato da San Colombiano, -ris da -rikaz funziona, nell'Italia padana, già ci rammentava Arcamone, *frama- finito in Fraime- è più complesso ma si può fare, un po' di dittongazione, le conseguenze dell'accento, sì, se ne vedono di più ardue ...

E il pio guerriero di Siria che qualche anno dopo diventa monaco di Bobbio ... andrebbe bene anche come franco, però. Chissà.

Sarà o potrebbe essere, ma una bella storia da romanzare, lavorando di dittonghi ...

sabato 20 maggio 2023

Ildeprand & Ferelapa, Hildericus & Dagileopa. Storie longobarde di mariti e mogli o qualcosa del genere ...





Belle immagini e non solo regala Beweb, con un po' di pazienza, fa ritornare a San Pietro a Vico, campagne di Lucca, molto amato il lato A, ma non meno il B, con la sua storia tormentata, dal Beverini in poi.
La storia di Ildeprand e Ferelapa, nome raro, e subito si pensa a Ferlaupe o Ferilaupa o come si chiamava, la longobarda fiorentina della chiesa perduta, tanto cara a Guido Vannini ... E la data è sicura, circa 800, o quasi, e quel sapore romano nella B e nella R, tutto è romano negli anni che vedono arrivare cripte e reliquie. Chi si fermava a San Pietro a Vico, rifatta dall'Aldobrandesco, nella solenne iscrizione fatta a spese del marmo dell'augustale (si disse in gioventù) poteva trovare un'anticipazione della rinnovata Roma. O chissà.
Si sa, l'archeologo divaga ...
E certo Ildeprand faceva come il duca Gregorio a Chiusi, settant'anni prima, con la sua bella Austreconda, diventata dux anche lei, a celebrare le imprese architettoniche per quei pochi che sapevano leggere. Non come Gregorio, con conti e duchi nominati da Carlo non c'era molto da scherzare, forse ne sapeva qualcosa Allone, scomparso così presto, e Wicheram al suo posto, prima dux e poi conte. E però anche lui associava la moglie Mona nella fondazione di Vetrognano, persa chissaddove ...
Wicheram e Mona, franchi ma un po' alla longobarda, Ildeprand e Ferelapa, Gregorio e Austreconda. E si vorrebbe aggiungere Hildericus e Dagileopa, la meteora spoletina del 739, un po' meno di successo rispetto a Gregorio, perché già il sommo De Rossi era stupito del singolare uso di un secondo nome per un longobardo, e Bruckner prima e la mitica Nicoletta Onesti in Francovich poi ci rammentano che Dagileopa è nome di donna. Dagi- il giorno, -leopa l'amata o qualcosa del genere, tanti nomi di femmine in -leopa, dalle parti di Spoleto, e Benevento. Albileopa la badessa, ma basta sfogliare il Regesto di Farfa ...Gradeleupa, Gualdileupa ... a piacere. Donne del sud, che sapevano amare. O essere amate. O chissà. Quanti chissà.
E dunque Hildericus arrivato a Spoleto si era abbinato a qualche famiglia del loco con Dagileopa, ma non sapeva come presentarla, nella frettolosa iscrizione apposta alla lastra che s'immagina opera del fondatore di Ferentillo, qualche anno prima, Faroaldo, subito trasformata in potente messaggio del nuovo ordine, se aveva ragione Herzig, filologia di tanti anni fa. Lascia in bianco, si vedrà, un'interpunzione un po' sbilenca.
Chissà, l'archeologo deve fantasticare. 



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venerdì 12 maggio 2023

... e far di carta le parole, fra sorrisi perplessi



Eh sì, ben altra cosa le parole di carta, ben altra le immagini che vibrano di toni monocromi su carta patinata ... le parole e le immagini descritte in .pdf possono fare il giro del mondo in un attimo, ma la carta vive, delle luci che riflette o assorbe, delle sue pieghe, mentre le pagine si flettono ...

Sicuramente avresti trovato da ridire, questo era il tuo stile, ma non sulla carta per raccontare per immagini storie antiche, le tue. E tu le raccontavi volentieri, sempre, da ultimo con passione, ricucendo i frammenti con un po' di fantasia. Come fanno gli archeologi. Ti capivo perfettamente, in questi esercizi spontanei.

Tempi tecnici di stampa, ma in tempo per la Festa della Mamma. La festeggiavamo perché non se ne poteva fare a meno, sai benissimo che a me le feste obbligate non piacciono, ma non mancavamo mai. E Paola portava sempre i fiori e tu li apprezzavi ma non sapevi dove metterli. E ritornavano indietro, spesso...

E sempre un sorriso. Come i sorrisi veri, nati dal cuore, alla fin fine un po' perplessi.

Con un sorriso perplesso lo avresti visto, il libretto delle tue storie. E voglio immaginare che così tu lo veda.

lunedì 10 aprile 2023

La Terra di Asilas


 

tertius ille hominum diuumque interpres Asilas,

cui pecudum fibrae, caeli cui sidera parent
et linguae uolucrum et praesagi fulminis ignes,
mille rapit densos acie atque horrentibus hastis.
hos parere iubent Alpheae ab origine Pisae

 

I mille di Asilas, con i seicento Populoniesi di Abas, i mille di Chiusi e di Cosa, guidati da Massicus, formano il nerbo degli alleati etruschi di Enea, nel catalogo virgiliano (Aeneis, X, vv. 163 ss.): tre contigenti pressoché equivalenti – se ai seicento di Abas si aggiungono i trecento Elbani – che con i Liguri di Cunarus e Cupavo, e Ocnus da Mantova, nei quali intravvedere l’antecedente mitico dello schieramento degli Etruschi per la parte di Ottaviano negli anni del Secondo Triumvirato, del ruolo strategico della regione nell’assetto augusteo dell’Italia, dell’impegno dell’imperatore per i ‘suoi’ coloni dell’Etruria centro-settentrionale, la cui tradizione militare era ancora capace di alimentare generosamente le legioni, oltre alle coorti pretorie. Nei trecento di Astyr, da Caere, Pyrgi, Gravisca, parrebbe invece rispecchiarsi il declino demografico dell’Etruria meridionale, pressoché assente nell’evidenza epigrafica dei legionari d’età giulio-claudia. 

Questa sarebbe stata forse la conclusione più efficace per la recensione delle centuriazioni dell’Etruria settentrionale che si propose più di quaranta anni fa: i mille di Pisae, guidati da un Etrusco ‘per eccellenza’, maestro nelle arti divinatorie, come metafora dei coloni non solo della Colonia Iulia Obsequens Pisana, ma anche di Luca, Florentia, Arretium, le coloniae dedotte in tutta la Valle dell’Arno … così come i Chiusini e i Cosani potrebbero comprendere i coloni di Saena e di Rusellae, in una ‘mediazione’ fra realtà contemporanea e coerenza storica, che fa ammettere fra gli alleati di Enea solo città di remotissima origine. Ugualmente, il manipolo ligure potrebbe rammentare che Luni, colonia inserita in età augustea nella Regio VII, Etruria, nel rispetto della memoria dell’antica colonizzazione etrusca riferita anche da Livio, e ormai confermata dal dato archeologico, era però stata fondata su terra conquistata ai Liguri. E dunque nei guerrieri liguri si potevano riconoscere i coloni di Luna … Rimane da chiedersi dove debba essere collocata Volaterrae, colonia augustea dichiarata dal dato epigrafico e dal Liber Coloniarum, ma non è questo il luogo in cui avventurarsi in ipotesi. Forse anch’essa fra gli Etruschi di Asilas, se la sua centuriazione è da cercarsi nel Valdarno, fra Era ed Elsa, dove confina con quelle di Pisae e di Florentia.

Dalla ricerca sulla centuriazione, nata da un’intuizione sul territorio in destra dell’Arno fra Castelfranco di Sotto (la terra natale …) e Santa Croce sull’Arno, e poi ampliata sulle carte al 25.000 dell’Istituto Geografico Militare, partì per chi scrive un itinerario fra le testimonianze monumentali ed epigrafiche della Toscana settentrionale sostanzialmente concluso negli anni Ottanta del secolo scorso, quando l’attività nella Soprintendenza Archeologica apriva la possibilità di accedere a monumenti e dati d’archivio, e poi progressivamente esaurito, se non per improvvise apparizioni: memorabile fu certamente il ‘ritrovamento’ della stele funeraria fiorentina dei Titii, apparsa in una villa del Valdarno Inferiore quando la speranza di vederla, dopo le minuziose ricerche condotte intorno al 1980, era ormai fievolissima; o del monumento funerario di Petriolo di Ponsacco, certamente un colono dell’agro centuriato, in destra o in sinistra dell’Era, di Pisae o della Colonia Augusta di Volaterrae, segnalato all’amicizia e adll’inesausta passione di Daniela Pagni.

Per comodità del lettore – se mai ve ne saranno – si raccolgono di seguito, grazie alla duttilità del pdf, i più significativi dei contributi, usciti quasi tutti su Studi Classici e Orientali e su Prospettiva, per l’ospitalità dei responsabili (Antonio Carlini e Mauro Cristofani), in epoche in cui l’esercizio sadomasochistico della peer review ancora non era stato escogitato, e il direttore sapeva e voleva decidere. Un itinerario che parte da ricerche sull’intero ambito sub-regionale, per poi far tappa nelle singole città, con la consapevolezza che la storia delle città che gravitano nel bacino dell’Arno è assai diversa da quelle del bacino dell’Ombrone: è l’area compresa dalla ricerca sulle stele funerarie, un’indagine che sul finire degli anni Settanta portò lo scrivente a girovagare sul Corpus Inscriptionum Latinarum e nelle chiese o nelle ville in cui monumenti erano reimpiegati, fino a Sinalunga, più ancora che nei musei.

Forse è soprattutto per rivivere quei momenti che si confeziona un pdf …


(10 aprile 2023)





giovedì 6 aprile 2023

L'illusione dell'unicorno (ritorno a Vagli)







 Bisogna ritornare a Vagli, Sant'Agostino, dieci anni dopo, per vedere l'unicorno, riconosciuto nella pietra, reso attraverso gli occhi del marmorario di montagna che intorno al 1100, decennio più (probabile) o decennio meno lo rifaceva in compagnia del leone, in boschi geometrici. dopo averlo studiato in qualche capitello di tre secoli prima.  

E si è anche scritto, più o meno garbatamente, seguendo il flusso del pensar corretto.

Ma ora che la rete ci fa sfogliare le meraviglie del Fisiologo di Berna, o di quello di Bruxelles, s'ha da ripensare l'unicorno, illusione ottica di una veduta di puro profilo.

La virile possanza dell'animale che a Vagli affronta il toro poco s'addice, in effetti, alla mansuetudine che mostra lasciandosi carezzare dalla vergine ... di certo chi aveva letto il Fisiologo mai avrebbe riconosciuto in questa linea il segno del piccolo animale monocero.

E dunque il magister marmorarius di Garfagnana, amico di quello che effigiava paladini, anch'essi assai virili, altro non vedeva nel capitello del suo predecessore di trecent'anni prima che la bestia sola capace di affrontare il leone.

Il toro.

Tori e leoni che cozzan fra le selve, come nei mosaici degli anni di Giustiniano.



mercoledì 29 marzo 2023

... le parole che non potevi sentire



 Dormivi, dormivi quasi sempre negli ultimi mesi, il sonno che prepara alla fine, almeno non sentivi più il mal di testa che ti tormentava da anni. Qualche risveglio, per dire che volevi morire, che era una vergogna arrivare a novantasei anni. Risvegli rapidi, per cercare di nuovo la quiete del letargo. E poi gli ultimi respiri, la conclusione.

Già da un po’ non raccontavi più le tue storie, sempre più remote man mano che i giorni d’inverno strappavano le ultime pagine del libro della tua vita. E tu lo sentivi, anche se solo un po’… Un po’, ti piaceva l’espressione ormai, bisognava accontentarsi, in tutto, da quando neppure ti affacciavi alla finestra.

Per riviverle, negli ultimi pomeriggi accanto a te, per non lasciarti sola quando la badante usciva per respirare un po’, ho riaperto gli album delle nostre fotografie. Ordinate da te quando pensavi di essere al punto d’arrivo, molti anni fa, e invece ancora molte immagini si sarebbero aggiunte, le nostre feste a Villa delle Mimose, fino ai tuoi novant’anni, prima che le scale di casa ti separassero dal resto del mondo. E a te non dispiaceva troppo, non era più il tuo mondo, ultima ormai della generazione tua. Fotografie distribuite secondo l’ordine tuo, il mio sarebbe stato diverso, ma i condizionamenti professionali dell’archeologo non sono quelli del cuore, i tuoi.

L’album di babbo, le sue storie di gioventù, militare nel ’32, con l’uniforme del ’15-‘18, ma erano passati davvero pochi anni. E poi le cartoline mandate dall’Etiopia, epica, più che di battaglie, per le marce e i paesaggi esotici, di terre e di uomini, nella pienezza della gioventù accanto alla stazione radio, tempo di allegrie da far sapere a casa, mamma babbo fratelli di certo preoccupati. La divisione Gavinana e il passaggio del Mareb, raccontato con ironia, come lui sapeva fare. E di nuovo la guerra, per gli specialisti un precoce richiamo, ai confini con la Jugoslavia e poi oltre, anni a Zagabria, luogo tranquillo. Tanti racconti di cinquant’anni fa, mentre andavamo a Montecatini o a Chianciano a ritrovare i suoi compagni d’armi, qualcuno aveva fatto carriera.

E poi l’album del tuo amore. Il reduce ritornato dalla prigionia, che ti vede e s’innamora subito. Storia da film di quegli anni, il 1946, ma storia vera. L’amore di guerra sepolto, per entrambi, e avanti, per costruire una nuova vita come Castelfranco si stava ricostruendo dopo i quaranta giorni di fronte. Qualche fotografia con dedica, la passione di una diciannovenne, folgorante, nella stagione che ultima era rimasta nelle tue memorie.

L’amore corrisposto, e condiviso con Renato e Maria Luisa, nella festa della neve del ’47, e con Ezilda, che presto vi avrebbe lasciato, una perdita tragica e folgorante, al far dell’autunno di quell’anno, in un giorno di pioggia che ti avrebbe segnato la vita. Per poi scoprire, quando sua madre andò a ritrovarla nella tomba, ed era il 1984, che era morta per una caduta a cui nessuno aveva fatto caso.

Il matrimonio, austero e con poche immagini, il 14 agosto 1948, il viaggio di nozze, un giorno a Genova, quante volte lo hai rivissuto con noi.

Poche immagini per tanti anni, nessuna per gli anni più cupi della guerra, babbo fatto prigioniero a Zagabria l’8 settembre, un viaggio da incubo nell’Europa in guerra fino ai lager di Germania, la dura vita dell’internato, la fame, poi la cosiddetta liberazione e il sequestro da parte dei Francesi. I liberatori; babbo non aveva odio, ma per i Francesi sì. E io l’ho ereditato. Non solo questo. Infine il ritorno, un giorno particolare, festa del patrono a Castelfranco, 18 novembre 1945.

E nessuna immagine anche della tua gioventù. Troppo poveri per questo lusso, o forse tu volevi dimenticare quegli anni, anche se ce li facevi rivivere con passione e nostalgia. Nonna Emilia a spezzarsi la schiena a spigolare e a raccogliere erba per i conigli, e anch’io me la ricordo piegata a intrecciare vimini per le ceste delle damigiane, aveva sessant’anni scarsi ed era curva; nonno Beppe a cercare qualche lavoro, e il modo di uscire dalle angustie della vita con un bicchiere. Miseria vissuta con i fratelli, Dino e Romilda, in paese, dopo che diverbi fra fratelli mezzadri e loro mogli vi avevano fatto partire dal podere di Comana, della signora che ti aveva dato il nome vero – Bruna – mai usato, perché tutti ti chiamavano Rina. Era il 1930, e qualche lampo di quegli anni affiorava ancora, fino al giorno che ti cambiò la vita, a undici anni, a lavorare per gli scarponi militari, fra la povertà di casa e le feste del Regime, unica occasione di evasione, e la vacanza sulla spiaggia dell’Arno. Nessuna immagine, se non i colori del tuo racconto, anche per il ritorno a Comana, sfollati, nella vacanza obbligata dell’estate del ’44. Schivare le bombe nelle fosse e raccogliere frutta con i cugini, ritornati alla casa dove i Lazzeri erano arrivati ai primi dell’Ottocento da Cerreto Guidi, come ho appreso da poco, sito Antenati del ministero, a qualche cosa serve. Quasi una vacanza, tu che di vacanze ne hai sempre fatte poche.

E poi, voluto con amore, il «bel bambino», come lo chiamavi tu, quando lo rivedevi come in sogno e ormai non eri più sicura che fossi io. «Un bel bambino», un’infanzia remota, tu e il babbo a lavorare, sempre, tagliar tomaie e scrivere atti di stato civile, qualche vacanza al mare, Emilio e Maggina, che se ne sono andati così presto, e le cugine, Vecla, Daniela, Liviana, e zio Guido e zia Giulia, che in me e in Daniela un po’ ritrovavano Ezilda perduta. Zio Guido e la bottega di falegname, zia Giulia a lavorar di maglia sulla strada, anche di loro nessuna immagine se non della memoria.E zio Guido morto d’infarto, era il ’64, la fine dell’infanzia.

Altri album, assai più fitti, per gli anni Sessanta e Settanta.

Ma sono le immagini degli anni di guerra e d’amore quelle che dobbiamo rivivere, ora che hai ritrovato babbo nella tomba, come avevi deciso.

Due mesi dopo, il 27 marzo 2023.

Giulio

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