La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico
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martedì 29 settembre 2009
Saluto a chi vide i Segni: per Marcello Cosci che ci ha lasciati
Sarebbe facile dire che ora potrai vedere dall'alto, non più con gli aerei e i satelliti, i segni della storia della terra che hai cercato con passione vitale fino ai giorni estremi: la storia sepolta di Pisa, il santuario del Sasso Pisano, castelli e castellieri del Monte Pisano, e della Toscana tutta, e poi i Segni dell'Auser, che hai scorto con colori fantasmagorici, e le vie di ghiaia e di pietre romane, e le mura di Doganella, e via e via, le tante avventure, tue e che si sono condivise, con Consuelo sul Monte Castellare di San Giovanni alla Vena, strapazzati dal vento decembrino del 2003, fino alla faticosa ricerca di tracce sottili in questa terra in cui, davanti al cimitero di Paganico, fra il vento che smuove i boschi planiziali della Piana di Lucca, scorrevano i fiumi che tu hai visto, e noi stiamo cercando e trovando.
E poi le coste dell'Africa, sulle tracce di Platone e di Annone, la mano allo Pseudo-Scilace, i tumuli delle Amazzoni e l'isola di Kerne: sogni e segni, fino all'ultimo.
Continuare è troppo doloroso, quando l'amico conosciuto alla Cittadella, fra le ceramiche neolitiche di San Rossore, dopo trenta e quasi quaranta anni ti lascia, con la sua battuta beffarda e irriverente, capace di nascondere le magiche genialità delle sostituzioni di colori. Troppo per l'accademia convinta, non per Riccardo Francovich, che ne aveva fatto il maestro di Siena. I suoi allievi non lo rinnegheranno, anche se la sua spontaneità è divenuta per loro disciplina severa e scandita in metodi e fasi.
Noi che siamo sulla terra, le scarpe infangate anche in questa mattina di settembre, in campi in cui avremmo richiesto le tue aeree vedute, per confortare i segni della terra, cercarne di nuovi, capirli, ci limitiamo a piangerti, Marcello, anche se sappiamo che con i Segni che hai visto tra Legiora e Paganico, nella piana che tanto amiamo ed amammo, indagandone la vita, cercandovi le radici delle nostre giornate, rimarrai con noi finché noi continueremo a cercare i Segni dell'Auser, e a raccontarli.
Ciao, Marcello!
sabato 26 settembre 2009
Paesaggi etruschi, paesaggi dell'Ottocento in Valdera
Si intravvedono relitti di paesaggi etruschi, nei primi tramonti autunnali in Valdera, appena alterati da tralicci e pali ... ma Photoshop funziona, e anche senza, in qualche momento i morti del III secolo a.C. escono dalle tombe trovate nel Settecento, dalle urne finite a Pisa o a Lajatico, e ritornano nei campi sterminati, chiusi da una macchia dove il cinghiale si riposa. E poi, sbuca dalla strada veloce, dalla scarpata appena pulito, il passato recente, altrettanto remoto: la via di ghiaia, il chiavicotto di mattoni dell'Ottocento (?), sotto il filo di ghiaia e di terra, sotto il vigneto che riempie l'aria di profumi. Storie di paesaggi, se solo ci si ferma a cogliere il sole al tramonto.
venerdì 25 settembre 2009
Segni di pietra, andando ad Alatri e pensando ai 3x19 anni
Sara e Serena, Elisabetta e Maila che hanno ripulito il volto di pietra della colonia Latina, Alessandro che esplora la Piana fra assessori e funzionari, Iva al 20% e incursioni degli Alamanni, Consuelo che nelle zolle trova i Segni dell'Auser e anela alla perfezione, Paolo sui monti, paziente dei tanti indugi perché vede l'Auser nascere, Augusto stanco di cento imprese, ma non di pensare ... gli amici di SegnidellAuser, oggi che pensa ai suoi tre volte diciannove anni, tre gioventù consumate diventando senex, come direbbero i suoi un dì amati Latini. Diciannove a scavare le fondazioni, diciannove a costruire muri, diciannove a porre un tetto, perché si domanda, e se i muri e il tetto reggono, o sono illusioni come quelli delle case etrusche che ha ricercato fra Arno e Era, Auser e Albegna, e a che serve abitarvi, soprattutto: skia oneiratos, come Pindaro, havel havelim Qohelet, diversi e simili quando il pomeriggio di un giorno si sposa al pomeriggio dell'anno e della vita... ma il pensiero dei sodales di tante imprese, e Ruggero e Enrico, e gli altri dei secondi diciannove, impone di andare avanti a ricercare i Segni, a riconoscerli, a celebrarli.
Ad Alatri, stordendosi nei convenevoli convegnistici, dove le mura di pietra trovate da Sara e Serena, Elisabetta e Maila, si faranno belle e trascurate fra cento altre, Segni dell'Auser assolverà i doveri del suo stato, pensando a Sara e Serena, Elisabetta e Maila, Consuelo e Paolo e Alessandro, Augusto Ruggero e Enrico, e gli altri che scavaron nosco, cercando fra gli strati un pezzo di sé. E intanto i coloni Latini giunti nella Terra dell'Auser dalla Terra del Poligonale si insinuano fra tante storie dei primi, secondi, terzi diciannove anni.
martedì 22 settembre 2009
I Segni dell'Auser: l'ottavo segno (La Terra dell'Auser)
Se il rito vela la stanchezza, e la stanchezza genera riti, l'Ottavo Segno è rito supremo: la Terra dell'Auser, la madre dei Segni, generati dalla Terra e dall'Acqua, illuminati dall'Aria e riconosciuti con le opere del Fuoco (alias: i cocci!), era attesa, dopo gli Etruschi, gli Estensi e i Lucchesi, le fatiche dei veterani di battaglie atroci per dar vita ad acquitrini, attraversati da possenti rettifili, e aver riposo, purificati dal fuoco, lungo le vie tracciate in terre concupite senza amore.
Uomini e cose, politica ed affetto, forza giovanile e senile compostezza si sono fusi in un giorno di novembre a Capannori, per ricomporre da frantumi e indizi il paesaggio perduto, nell'illusione che i lacerti sottratti alla terra potessero rendercelo con i colori degli affreschi di Stabia. I colori degli scavi, i colori del misterioso 'sito di Via Martiri Lunatesi', i colori che Marcello ha dato al grigio di remote immagini dall'alto, illuminano le pagine che si attendono febbrilmente, dopo averle lette dieci e più volte, per sentirne il suono, per cercare l'errore.
E poi ...
Uomini e cose, politica ed affetto, forza giovanile e senile compostezza si sono fusi in un giorno di novembre a Capannori, per ricomporre da frantumi e indizi il paesaggio perduto, nell'illusione che i lacerti sottratti alla terra potessero rendercelo con i colori degli affreschi di Stabia. I colori degli scavi, i colori del misterioso 'sito di Via Martiri Lunatesi', i colori che Marcello ha dato al grigio di remote immagini dall'alto, illuminano le pagine che si attendono febbrilmente, dopo averle lette dieci e più volte, per sentirne il suono, per cercare l'errore.
E poi ...
Sapori della Terra d'Etruria: le Menadi di Scansano
Le prime acque dell'autunno bagnano il poligonale di Orbetello, e i resti della perduta terra aurinia, tanto cercata da essere scoperta solo quando non la si attendeva ... il meraviglioso dono della terra, il sapere inatteso, ex aprosdoketou. Declina il furore dell'estate, si apprezzano i toni della pietra che si fonde con l'acqua e con il cielo, in toni di grigio venati d'azzurro che esaltano il cinghiale alla cacciatora e preludono ai funghi, il dono della Grande Madre per avvicinare i suoi figli al Cielo ... ma fra gli eredi degli statie, in quel di Scansano, la rivalità spostata sulle mense antiche, in un ricorrere di focacce e arrosti, struggente eco di un passato mai esistito, divampa in formule matematiche e commenti da dopopartita. Il gusto del mondo antico, vagheggiato in attimi ritagliati alle sere d'estate, rivive piuttosto nella competizione delle parti, nel tifo circense e gladiatorio, e non è ilare il volto dei capi, appena tornati dalla corte degli Aldobrandeschi o degli Sforza.
Ma le Menadi che si avvitano a suoni generati dalle parole che celebrano il frutto della terra che ancora pende, più spesso sta diventando il farmaco che dà tregua ai mali, ci strappano dalle beghe antiche, rinate, e per un attimo colorano di suggestioni gli spazi appena colmati da suoni danubiani e feste carpatiche: il remoto nello spazio, e così vicino, con gli eredi di Costantino e Giustiniano, il remoto nel tempo, vanamente reciso dalla lotta agli idoli, perché nella Terra si rigenera, e la nostra cultura è figlia della Terra. I Messaggeri dell'Anima divengono voce di un passato appena sopito, sempre pronto a rigenerarsi, quando la geometria del PIL non ossessiona le nostre ore.
giovedì 17 settembre 2009
Ritorno a Corazzano
Trent'anni e cento viaggi su per l'Egola, fra paesaggi che riappaiono appena appena arricchiti di villette a schiera e agriturismi, mentre i pioppeti cedono agli anni, e l'argilla azzurra fa capolino in zolle dilavate. È più limpida l'aria della Pieve di Corazzano dacché la fragilità delle strutture moderne ne ha svelato il fianco nascosto, identico all'altro, ma più inquietante nella storia delle due o tre fasi che fa trapelare, nei nitidi ricorsi di laterizi nobilitati da paraste poi trascurate. Ma l'archeologo non ritorna al monumento romanico solo per riviverne il fascino solitario su una via che già fu per Roma, nel secolo dei re d'Italia e degli imperatori di Sassonia, poi eclissata, appena a qualche miglio, dalla mitica (fin troppo celebrata) via Francigena ... sono i segni del passato che qualcuno ha posto in facciata, il frammento della dedica dei Venulei alla Dea Bona – la prima scoperta del giovane archeologo, quando il Sessantotto non era un mito ma l'incubo della notte prima, e già si capiva che i figli del Sessantotto avrebbero occupato le cattedre dei padri appena uccisi – e il frammentario cassettone. Si ritorna, si ritorna, quasi che si sperasse di poter finalmente capire il magico senso di quei due frammenti del passato che dialogano fra loro, in un'arcaica lingua latina che ogni volta si crede di aver capito, e non si capisce: il latino del Medioevo, il latino dei parroci di campagna dell'Età Moderna, il molle latino dei senatori pisani, poco avvezzi alle fatiche di guerra sul Danubio, più attenti ai collegi sacerdotali della Capitale. Il rosso del mattone, il bianco del marmo: colori intensi e banali, con l'azzurro del cielo sulla Valdegola, che rassicurano anche quando il mistero rimane ... in attesa dell'illuminazione della prossima volta, la centounesima.
sabato 12 settembre 2009
L'occhio sull'(altro) Rinascimento
Senza gli orpelli di intonaci, stucchi, affreschi, sono miseri i muri del Rinascimento, fatti di frantumi eppur solidi nella 'maniera moderna' di costruire, inauditamente memore dell'opera incerta romana. Poi stipiti ed archi di pietra, e il rigore dei marcapiano, li nobilitano e li occultano.
Tocca all'archeologo trovare l'altro Rinascimento, non sempre nel nitore di cantieri lucidati ... par quasi fiero del fango schizzato fino ai capelli l'archeologo che scopre il farsi e le radici del quasi palazzo lucchese, in un intreccio di puntelli, sfuggendo la trappola degli apparati igienici che nutrono le viscere della terra degli avanzi degli uomini e delle cose (i pozzi neri a perdere, intreccio inestricabile fra vita e storia).
Poi si luciderà in un nobile diagramma di strati l'intreccio di fango e liquame, e se ne distillerà (si spera) una pagina di storia, di un Rinascimento raccontato dalla terra come lo raccontano le pagine dei conti, su cui un occhio appassionato può vagare appena appena scendendo al suolo, dalla finestra aperta al filo della strada.
giovedì 10 settembre 2009
Pianto sulle Ninfe Driadi della Terra dell'Auser
Non sono giorni felici per le Ninfe Driadi della Terra dell'Auser: il fuoco sui monti, le motoseghe per le Ninfe dei Pini, onde far loco ai figli dell'Atlante, le motoseghe per il lucus sulla sponda dello scintillante Segno dell'Auser che corre cristallino fra pareti di pietra, figlio delle fatiche dei Lucchesi di anni remoti. È il progresso, Bellezze! Cercate altrove la vostra sede, magari nelle nuove rotonde che addurranno ai luoghi dove i Figli della Terra dell'Auser, e quelli dell'Atlante, troveranno degno Macaone (vulgo: Nuovo Ospedale di Lucca in San Filippo). E invidiate le felici Ninfe che celebrò il Batoni, perché solo quelle (ma che il Batoni porti sfiga alle Ninfe?) rimarranno a immergere le opulente membra nei freschi rivi che son Segni dell'Auser. Per sempre, come dice Keats. Voi, Driadi figlie delle umide Terre dell'Auser, avete lasciato i vostri gemiti fra le chiome mosse dal vento di specie secolari, e ora ve ne state andando. Come era verde la Terra dell'Auser.
lunedì 7 settembre 2009
Latrones e triumviri ... incontri nell'Etruria settentrionale degli anni 60-50 a.C.
Si concludono e ritornano, capitoli scritti e i capitoli sognati. 'Lucca incontra il mondo', un titolo sospeso, che il giorno 11 si svelerà nelle sue immagini sontuose e nei suoi testi asciutti (ma facciamo tanti auguri all'editore, se lo merita). Ritornare sulla Lucca di Plutarco e di Cicerone, riflettere, per obbligo, sull'ambiguità delle fonti, ritrovando assai arrugginiti antichi strumenti sepolti sotto la mestola e il piccone, travolti dal fragore dell'escavatore: il dubbio della fonte, il metodo filologico. Ma archeologia e storia, sorelle siamesi, se mai entità distinte, si stringono e si annodano – quasi amanti monteverdiani – negli itinerari dell'Etruria settentrionale, degli anni tormentati che la vernice nera triste e arida dell'ultima fase vela: i latrones di Sallustio, le prepotenze dei senatori pescecani di Silla (e non solo), rivivono nelle tragedie narrate dal ripostiglio di Compito, che qualche stinta pagina ottocentesca ci restituisce, e di Gavorrano, che si plasma su un fascicolo dell'archivio degli Uffizi, con il suo interminabile elenco di denari, e la coppa d'argento appartenuta a Caius Valerius Naso, forse l'infelice degli anni 58-57 a.C. La sufficienza di Cicerone e le allusioni di Sallustio danno spessore e toni cupi alle vie sulle quali (se non per mare) Pompeo va a superare un confine non segnalato, e arriva a Lucca. Con Crasso, con codazzo trionfante, come celebrano Svetonio e Plutarco; o con qualche intimo, come lascia intuire all'accorto lettore Cicerone. Ma all'archeologo che vuol dar vita ai rimasugli che la terra ha concesso a lui e ai suoi predecessori, poco importa. È troppo più affascinante la misteriosa storia del ripostiglio di Compito, è troppo più viva la tragedia di Caius Valerius Naso. Ma solo leggendo Sallustio il liscio argento di Valerius Naso riesce a brillare di nuovo, strappato alla solitudine da un desolato articolo su una esausta rivista scientifica, ritornato alla solitudine negli obitori che si chiamano di solito musei.
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