La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico
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domenica 23 marzo 2014
I colori riapparsi (il Cenacolo di Castelfranco di Sotto)
Mattina di marzo, resurrezione di vita nel castello divenuto paese, e ora buco di ciambella per una comunità fluida, comodo modello delle città frammentate sognate dall'archeologo nel buio delle cantine di Lucca.
Riappare il Cenacolo srotolato negli anni di gioventù con amici che furono allora giovani e appassionati, eros e passioni sangue e cuore per la vita e per il passato sotto i piedi e sulle colline di là dal fiume, conchiglie ossa cocci di tutto un po' brame onnivore e per molti effimere.
E anche la passione sregolata e vitale di ritrovare i colori della tela arrotolata, tirata fuori nonsisacome e nonsisadadove, oli sbriciolati, ma fuoco e voglia di vedere, nel pianto del lavorio di cipolle. Anno '75, più o meno, si partiva militari, si sperava, si temeva, anni di piombo e di cieli che avevano sapore di futuro.
Riappare, una mattina, e i colori non hanno il sole, ma dal '75 son nate le macchine digitali, pupille che trapanano il buio, se si tara il bianco e giocherella con l'esposizione, i volti degli Apostoli, stanche macchie di qualche pittore di Diosadove, pennello per contadini, ma non privo di passione e rigore, e, per l'archeologo, i vetri dei Seicento, calici bicchieri bottiglie strane salsiere e coltelli che sembran scimitarre. Riapparsi un po' tardi per dar colore e volti alla Castelfranco del Seicento, devozioni stemmi di famiglia tombe, ma in tempo per dar colore al marzo di quasi quarant'anni dopo.
domenica 2 marzo 2014
Il dodicesimo castello (Pietracassa di nuovo, nel vento che sa di primavera)
V'è agio di riandar dai castelli di Garfagnana a quelli che vedono le piane le colline e il mare, nel viaggio per Pietracassa (o Pietra Cassa), dai giorni dell''82 a questi che godono la luce di primavera nel vento dell'inverno.
S'arriva a dodici, più o meno, grossi o piccini, rapidi o lunghi nelle ascese e negli scavi e nel ricordo degli amici, Verrucole e Poggio e Castelvecchio e Castelnuovo, la Torre delle Monete, Montecatino, passione di gioventù, e Paolo sempre, anche a Castagnori, Medioevo trovato sulla strada degli Etruschi, e le mura d'Altopascio, Marti rossa di mattone e del fuoco delle mine, dieci e più anni son passati con Augusto Ruggero Daniela e le Pie Donne, i castelli di Valdera, salire ad Alica per il palazzo di pietra dei vescovi di Lucca e l'eleganza somma di Nadia, la torre di Villa Basilica. I numeri non sono per gli altius intuentibus, avrebbe chiosato Tacito dopo aver dato i punteggi di Augusto, forse l'emozione dell'olla schiacciata sotto le mura di Montecatino val più di ogni altra, chissà, nel suono delle attese e rivista nei toni di metallo delle diapositive.
Ma l'ultimo castello, che conosce il mare e la Valdera, che sa di Rinascimento nelle storie di Pier Capponi nelle lettere dell'Uguccioni nelle feritoie per falconetti passavolanti colubrine o altre diaboliche invenzioni, di Medioevo e di Crociate nelle torri che segnano la ritrovata seconda cerchia, e poi il mastio, capolavoro di un architetto eccellente che dà vita al rudere conservandogli il profumo dell'erbe e delle rovine, ha un fascino non da meno, quando un raggio di sole s'infrange sul mastio e sulla Pietra Cassa, e taglia la Valdera, dai cippi del '78 alla Giuncaiola.
Per la terza volta sta per colorarsi la prateria mossa dal vento, di mare e di Volterra.
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