Dormivi, dormivi quasi sempre negli ultimi mesi, il sonno che prepara alla fine, almeno non sentivi più il mal di testa che ti tormentava da anni. Qualche risveglio, per dire che volevi morire, che era una vergogna arrivare a novantasei anni. Risvegli rapidi, per cercare di nuovo la quiete del letargo. E poi gli ultimi respiri, la conclusione.
Già da un po’ non raccontavi più le tue storie, sempre più remote man mano che i giorni d’inverno strappavano le ultime pagine del libro della tua vita. E tu lo sentivi, anche se solo un po’… Un po’, ti piaceva l’espressione ormai, bisognava accontentarsi, in tutto, da quando neppure ti affacciavi alla finestra.
Per riviverle, negli ultimi pomeriggi accanto a te, per non lasciarti sola quando la badante usciva per respirare un po’, ho riaperto gli album delle nostre fotografie. Ordinate da te quando pensavi di essere al punto d’arrivo, molti anni fa, e invece ancora molte immagini si sarebbero aggiunte, le nostre feste a Villa delle Mimose, fino ai tuoi novant’anni, prima che le scale di casa ti separassero dal resto del mondo. E a te non dispiaceva troppo, non era più il tuo mondo, ultima ormai della generazione tua. Fotografie distribuite secondo l’ordine tuo, il mio sarebbe stato diverso, ma i condizionamenti professionali dell’archeologo non sono quelli del cuore, i tuoi.
L’album di babbo, le sue storie di gioventù, militare nel ’32, con l’uniforme del ’15-‘18, ma erano passati davvero pochi anni. E poi le cartoline mandate dall’Etiopia, epica, più che di battaglie, per le marce e i paesaggi esotici, di terre e di uomini, nella pienezza della gioventù accanto alla stazione radio, tempo di allegrie da far sapere a casa, mamma babbo fratelli di certo preoccupati. La divisione Gavinana e il passaggio del Mareb, raccontato con ironia, come lui sapeva fare. E di nuovo la guerra, per gli specialisti un precoce richiamo, ai confini con la Jugoslavia e poi oltre, anni a Zagabria, luogo tranquillo. Tanti racconti di cinquant’anni fa, mentre andavamo a Montecatini o a Chianciano a ritrovare i suoi compagni d’armi, qualcuno aveva fatto carriera.
E poi l’album del tuo amore. Il reduce ritornato dalla prigionia, che ti vede e s’innamora subito. Storia da film di quegli anni, il 1946, ma storia vera. L’amore di guerra sepolto, per entrambi, e avanti, per costruire una nuova vita come Castelfranco si stava ricostruendo dopo i quaranta giorni di fronte. Qualche fotografia con dedica, la passione di una diciannovenne, folgorante, nella stagione che ultima era rimasta nelle tue memorie.
L’amore corrisposto, e condiviso con Renato e Maria Luisa, nella festa della neve del ’47, e con Ezilda, che presto vi avrebbe lasciato, una perdita tragica e folgorante, al far dell’autunno di quell’anno, in un giorno di pioggia che ti avrebbe segnato la vita. Per poi scoprire, quando sua madre andò a ritrovarla nella tomba, ed era il 1984, che era morta per una caduta a cui nessuno aveva fatto caso.
Il matrimonio, austero e con poche immagini, il 14 agosto 1948, il viaggio di nozze, un giorno a Genova, quante volte lo hai rivissuto con noi.
Poche immagini per tanti anni, nessuna per gli anni più cupi della guerra, babbo fatto prigioniero a Zagabria l’8 settembre, un viaggio da incubo nell’Europa in guerra fino ai lager di Germania, la dura vita dell’internato, la fame, poi la cosiddetta liberazione e il sequestro da parte dei Francesi. I liberatori; babbo non aveva odio, ma per i Francesi sì. E io l’ho ereditato. Non solo questo. Infine il ritorno, un giorno particolare, festa del patrono a Castelfranco, 18 novembre 1945.
E nessuna immagine anche della tua gioventù. Troppo poveri per questo lusso, o forse tu volevi dimenticare quegli anni, anche se ce li facevi rivivere con passione e nostalgia. Nonna Emilia a spezzarsi la schiena a spigolare e a raccogliere erba per i conigli, e anch’io me la ricordo piegata a intrecciare vimini per le ceste delle damigiane, aveva sessant’anni scarsi ed era curva; nonno Beppe a cercare qualche lavoro, e il modo di uscire dalle angustie della vita con un bicchiere. Miseria vissuta con i fratelli, Dino e Romilda, in paese, dopo che diverbi fra fratelli mezzadri e loro mogli vi avevano fatto partire dal podere di Comana, della signora che ti aveva dato il nome vero – Bruna – mai usato, perché tutti ti chiamavano Rina. Era il 1930, e qualche lampo di quegli anni affiorava ancora, fino al giorno che ti cambiò la vita, a undici anni, a lavorare per gli scarponi militari, fra la povertà di casa e le feste del Regime, unica occasione di evasione, e la vacanza sulla spiaggia dell’Arno. Nessuna immagine, se non i colori del tuo racconto, anche per il ritorno a Comana, sfollati, nella vacanza obbligata dell’estate del ’44. Schivare le bombe nelle fosse e raccogliere frutta con i cugini, ritornati alla casa dove i Lazzeri erano arrivati ai primi dell’Ottocento da Cerreto Guidi, come ho appreso da poco, sito Antenati del ministero, a qualche cosa serve. Quasi una vacanza, tu che di vacanze ne hai sempre fatte poche.
E poi, voluto con amore, il «bel bambino», come lo chiamavi tu, quando lo rivedevi come in sogno e ormai non eri più sicura che fossi io. «Un bel bambino», un’infanzia remota, tu e il babbo a lavorare, sempre, tagliar tomaie e scrivere atti di stato civile, qualche vacanza al mare, Emilio e Maggina, che se ne sono andati così presto, e le cugine, Vecla, Daniela, Liviana, e zio Guido e zia Giulia, che in me e in Daniela un po’ ritrovavano Ezilda perduta. Zio Guido e la bottega di falegname, zia Giulia a lavorar di maglia sulla strada, anche di loro nessuna immagine se non della memoria.E zio Guido morto d’infarto, era il ’64, la fine dell’infanzia.
Altri album, assai più fitti, per gli anni Sessanta e Settanta.
Ma sono le immagini degli anni di guerra e d’amore quelle che dobbiamo rivivere, ora che hai ritrovato babbo nella tomba, come avevi deciso.
Due mesi dopo, il 27 marzo 2023.
Giulio
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