La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

martedì 29 gennaio 2013

Il Bronzo Antico a colori (di nuovo dal Piccolpasso a Lucca)



Ritornando nei depositi, ordinati cimiteri della scienza archeologica, riappaiono, talora vestiti di nuovo, vecchi sogni; e ora che le tecniche lo consentono, il "bronzo antico" che Elisabetta e Susanna sottrassero alla terra con frammenti infiniti scintillanti dei colori del Rinascimento, presentato in sedi sepolte, in anni di attese e passioni man mano dissolte o diluite, ritorna nei toni della pietra, studiati con semplice perfezione dal vasaio partecipe della manualistica del Piccolpasso.
Parimente quest'altra sorte, che quivi vedesi, è da molti detto bronzo antico, altri lo chiamano boccale antico dalla bocca a lepore. In questo sono due cose non di poca maraviglia: l’una è vedere un vaso di giro perfetto che tondegia di tutta perfetione; l'altra la sua boccha, pendente in fuori, storta, molto lontana dal primo ordine.
Il cinquecentesco volgare dei Tre libri, un'incisione didascalica, e il mescirobe di pietra imitata nella marmorizzazione, metà del Cinquecento, è descritto nel taglio virtuoso della bocca, e l'ansa perduta se non nella plastica alla base s'innalza sulla tavola. A colori.

lunedì 21 gennaio 2013

Autunno del Medioevo a Castelfranco di Sotto (i Colori del Quattrocento alla fiamminga)




Primavera del '75, e nelle acque dell'Arno si rinnovano gli umori della nuova primavera, un po' di tempo dopo, con i Colori del Quattrocento visti allora nella terra, boccali rotti dalle monache castelfranchesi, agostiniane dei Santi Iacopo e Filippo, oggi nel cuore delle prospettive fiamminghe di Robert Campin, già sonoro Maestro di Flémalle, prezioso arredo degli interni di Tournai negli anni del trasognato Autunno del Medioevo conosciuto dall'archeologo giovane più o meno in quei tempi, nelle pagine di Huizinga, passione imposta ad una generazione.
La potenza della rete, la democrazia americana ce lo offrono in piena visione, al Metropolitan di New York, nel trionfo di girali o foglie di quercia, il puro blu della zaffera piena o diluita sul candore dello smalto illanguidito da paste nivee, mitica zaffera apparsa in quegli anni, per quegli anni, e poche altre volte in tanti anni di indagini nella terra, e di doni della terra, e l'uccelletto meno timido con l'Annunciazione di Bruxelles.
Anni 1430 e dintorni, anni di guerra e di Giunta di Tugio, e le monache di Castelfranco chiuse nelle mura e nella chiesa, nel castello amato e ormai perduto, non solo perché perdute sono le sue mura, a vedere il mondo come la Vergine di Tournai, chissà, e noi a veder loro, nella lente fiamminga, nei colori del Maestro di Flémalle.

venerdì 18 gennaio 2013

Il grande puzzle di Paolo&Silvio (ricordando Mario)







Infiniti frammenti e frammentini dispersi nello strato nero di vita e rosso di fuoco, US 4, salvato dagli Etruschi della Murella, dove ora al suono dell'Esarulo e dell'Auser si mescola quello degli uomini.
Giorni per lucidarli nella terra, memorie di forme curvilinee, più giorni per liberarli dalla terra, e partire con il grande puzzle. E da frammenti e frammentini, per l'acribia di Paolo&Silvio nell'estate, la passione e la tenacia nell'inverno che copre la Garfagnana di neve, farne forme vitali, decorazioni di pure linee rette, appena inquinate da uno zigzag che solo l'ombra fa risaltare (forse).
Il cuore pulsante di una casupola o capanna o casa degli anni intorno al 1500 a.C., un po' prima forse, un po' dopo meno probabile, dicono scodelle e catini della Pianura Padana, dal Mincio all'Appennino, Lavagnone, Barche di Solferino, fantasiosi e fascinosi nomi di siti noti solo all'archeologo del Bronzo Medio, appena passato l'Antico, e la grande scodella, quasi un braccio di diametro, con le sue geometrie, basculante per le prese canaliculate con margini appena rilevati, ritrova vita nell'enigma del lacerto e nel sogno del viandante che venuto dalla Bassa Padana per i passi dell'Appennino qui trovava una bella zuppa, preparata nell'acqua dell'Auser. Apparizioni a chi cerca la vita nei segni sepolti nella terra, di certo anatema dei sommi studiosi del profilo fratto angolo tra carena labbro fondo.
E un anno e un giorno dopo che Mario, compagno di giorni remoti nell'impresa della Murella, non è più tra noi se non con la sua vitalità e il suo sapere, in attesa di celebrarlo come all'accademia si conviene, gli amici della Murella gli dedicano, per quel che può valere nella memoria di chi lo piange, le pure geometrie di un pendulo vaso dell'Età del Bronzo.

martedì 8 gennaio 2013

Due alla quinta





Tanti son gli anni passati nell'orizzonte segnato dalle due Panie che furono una e dalle Pizzorne, che forse furono il Monte Grominio, e nelle terre che s'impregnano dell'acqua dell'Auser e del cielo quando il cielo è pulito dalla tramontana. Due moltiplicato cinque volte, sono gli anni che distinguono i primi giorni di un inverno trascorso, nei giorni che preparavano maggio e la festa dei gigli d'acqua, a seguire i Segni dell'Auser su immagini dal cielo in bianco e nero, e ritrovare gli Etruschi e i Romani che vi navigarono, da questo inverno, ancora a cercar storie raccontate da relitti della vita che fu, fino a che l'azzurro non si perde nel rosa delle nevi apuane.
Due o tre volte cambiato il nome dell'istituzione, nata per la scienza e divenuta serva della Carta e della Procedura, non si sa più quante volte cambiato il nome, ispettore titolo odiato, poi finalmente archeologo in tutte le sfumature e gradi, infine funzionario, che forse e senza forse è anche peggio di ispettore, segno di una burocrazia aliena alla Poesia dei Segni della Terra, e forse anche alla loro Storia.
E le rosee nevi delle Apuane, anch'esse burocratiche metamorfosi della Pania, che vedono la terra della Fanciulla di Vagli e degli Etruschi di Piari, dei Liguri Apuani del Monte Pisone e delle Carbonaie, e più in là della città figlia di Roma e di Pisa, con duemilaequasiduecento anni di strati assommati in colori infiniti come quelli del tramonto, castelli e pievi un po' dappertutto, fino all'Arno nutrito dall'Auser, Etruschi in tutte le fasi e salse Romani più o meno altrettanto, spruzzate abbondanti di Medioevo Rinascimento e perché no anche memorie del contemporaneo, scandiscono le ombre del tramonto.

lunedì 7 gennaio 2013

I colori e i suoni di Umbrina






Si naviga un giorno intero per le terre di Lucca, fra nebbie e cupezze di gennaio, cercando suoni e luci per i muri di cotani dei secoli XI e XII, e al tramonto si ritorna, vent'anni dopo, quasi persi in una periferia senza senso e senza cartelli, al sarcofago della madre badessa di Pontetetto, Umbrina. Suggestione struggente, nel nome e nella forma, dei Romani antiqui – se non questo, cos'altro è Romanico! – in versi fusion di stili linguistici e di sistemi grafici, capitale all'antica e memorie di unciale, per la coeva di Matilde, con vita non celebrata da Donizone, ma da qualche carta e dai segni tracciati nella bianca pietra dei monti di Lucca, anno 1124. Anni e anni ristretti in pochi versi, epigramma non facile che vale cento pergamene di compravendite affitti o affidamenti.
Nelle luci bluastre di una periferia stanca le rime per Umbrina si fondono nelle cifre ottocentesche delle tavole matildine dei Monumenta Germaniae Historica, verde blu rosso, gesti esaltati e ridondanti segni del potere, e risuonano nelle stilature che celebrano i ricorsi di ciottoli sui muri visti dove furono la zecca – sezioni prospetti piante nel limpido tratto di Serena, di Elisabetta, di Maila – e i luoghi del potere indagati nelle luci gialle delle cantine o sotto soli stanchi, scena per gli attori delle miniature di Donizone, marchesi contesse vescovi eccetera, e i loro sgabelli minacciosi di teste ferine.
Altri colori s'aggiungono alla lustra fatimide (o forse di Spagna, ricorda Graziella), che dichiara negli anni di Gerusalemme e del primo Comune quelli delle case costruite a petra et calcina, sale con camino o con solaio, per antica aristocrazia longobarda o nuovi mercanti e artigiani, e della badie benedettine.
 

martedì 1 gennaio 2013

Il segno del pozzo


È facile navigare per le trame della rete, googlare la Gazette Archéologique, numero 7, anno 1880, vederla comodi, schermo pieno, per virtù francese a gloria dell'archeologia della Terza Repubblica, combattiva antagonista di quella d'oltre Reno (e d'Alsazia, in quegli anni); e altre cose occupano l'itale menti, in questi giorni (direbbe il vate astigiano, vagando per Firenze).
Riappare la situla allora fresca di terra emersa dalle tombe dei Tirreni guerrieri e navigatori dell'Egeo di Telamon, Talamonaccio scavato da Strozzi e Vivarelli, acquisto per Cracovia del principe Czartoryski, benevolo alla sua patria oppressa e alla scienza; e ancora là attende il sogno di Tyró e dei suoi figli, di Poseidon/Nethuns, Laomedonte, Eracle e Troia, storie intrecciate in cui la moglie dei navigatori tirreni, andando al pozzo con il prezioso ovoide di bronzo, vedeva eventi remoti e oscuri, o la sua storia. Riconoscimenti, attese, il mare, vita di donne che vedevano partir triremi per agguati a Rodi, vittorie e preda o morte, e i Romani alle porte; e intanto attingere acqua al pozzo, con il prezioso segno di virtù femminee offerto alle loro doti. O così sogna l'archeologo che dalla vetta del poggio che domina il mare e la terra qualche volta, in anni perduti nelle nebbie dell'inverno, cercava immagini perdute.
Ed ora la storia di Tyrò, cesellata sulla situla di Talamone o incisa nello specchio di Perugia, affiora per dar vita ai pozzi dell'Etruria sull'Auser, acqua di terra da attingere con le brocche nel bucchero dai toni del blu o con il legno scavato che altri trovarono sono ora trent'anni, e l'erudizione può avere i suoi tempi.
Ma dipingere con le immagini della situla della donna tirrena venuta forse da Orvieto al mare, negli anni dei pirati tirreni che andavano a Rodi, per gli agguati alle navi sulla rotta che avrebbero ritrovato cavalieri con la Croce di Malta o la Croce di Santo Stefano quasi duemila anni dopo, è facile. Ed è il segno dei Segni dell'Auser, per l'apparire di un Anno Nuovo.

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