Sensibilità crescente per il patrimonio culturale e
normative sempre più stringenti – seppur talora espresse in termini che
richiedono alte capacità ermeneutiche – hanno fatto sì che la tutela delle
testimonianze della storia antica conservate dal sottosuolo (il ‘patrimonio
archeologico’) sia sempre più efficace. Chi, come lo scrivente, opera a Lucca
da trentasei anni nella soprintendenza che, cambiando più volte nome e infine
anche sede, è l’organo periferico dell’Amministrazione Statale incaricato di
questo compito, può serenamente riconoscere di essere passato dal rovistare
nella terra di risulta accumulata nei cassoni dei motocarri pronti al viaggio
in discarica, per salvarne qualche frammento ceramico, come spesso accadeva nei
primi anni Ottanta del secolo scorso, a seguire su Whatsapp le campagne di
scavo preventive o contestuali alle opere di movimento terra, in proprietà
pubblica ma anche privata, affidate a provetti archeologi professionisti. Le
pagine che sul Notiziario della
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, per un decennio, fino
alla soppressione del 2016, hanno dato conto di gran parte dell’opera di tutela
condotta a Lucca e nel territorio sono testimoni, anche nell’esemplare corredo
di documentazione grafica e fotografica, dell’‘eccellenza’ della scuola nata e
maturata a Lucca, nei cantieri di tutela, fin dalla fine degli anni Ottanta.
Se dunque la dispersione di dati storici e di
testimonianze materiali che un tempo doveva essere evitata o almeno
ridimensionata con faticose peregrinazioni in città e ricognizioni nel
territorio, e poi con mediazioni estenuanti, è ormai da considerare episodica,
ristretta nella percentuale di inefficienza che anche i più solidi sistemi
devono accettare, forse più onerosa di quanto poteva essere trent’anni fa è
oggi l’altra faccia della medaglia del lavoro sui ‘beni culturali’: la ‘valorizzazione’.
Termine questo in realtà improprio o riduttivo, che implica una considerazione
mercantilistica del patrimonio storico, da sostituire con un artigianale ‘fare
cultura’; questa sì capace di dare frutti reali, anche in termini misurabili
nelle scale monetarie.
Negli anni Ottanta, in effetti, il tessuto del
volontariato culturale permetteva di raggiungere capillarmente una società
interessata al suo passato, ai monumenti, agli oggetti che lo facevano
riconoscere e percepire come proprio; in senso inverso, proprio in questo
diffuso sentire civile maturava la vivacità dell’associazionismo e la
partecipazione delle istituzioni elettive alla ‘comunicazione’ – come si dice
oggi – di ritrovamenti, di studi, di sogni. È difficile evitare di ripetere che
quel mondo, in cui si progettavano musei comunali, si cercavano – spesso anche
trovavano – fondi per campagne di scavo che vedevano la partecipazione di
volontari e appassionati, e poi conferenze si susseguivano a mostre, è
tramontato. Paradossalmente, la formazione di un ceto di ‘professionisti dei
beni culturali’ ha coinciso con la progressiva scollatura fra società e memoria
del passato; o, meglio, dovrebbe
dirsi, non la ‘memoria del passato’ in assoluto, ma la ‘memoria del proprio passato’. In effetti Egizi
Impressionisti Caravaggio, e nel campo dell’archeologia dei nostri orizzonti
geografici, gladiatori e ‘sangue nell’arena’ conservano o vedono accrescere il
loro richiamo; ma oggi la folla che a Castelnuovo di Garfagnana dei primi anni
Ottanta si accalcava, coinvolta dall’associazionismo locale, all’inaugurazione
della mostra sul Mesolitico della
Garfagnana è un’immagine molto più che vintage.
I quindicenni innamorati (più spesso innamorate) dell’Egitto non curano di una
occhiata le ceramiche degli anni di Tutankhamon trovate a qualche chilometro da
casa loro.
In questa congiuntura, chi ancora crede che la
conoscenza del passato che matura nella prassi di tutela non debba essere
confinata agli archivi e alle cantine delle soprintendenze o di qualche
magazzino sempre più malvolentieri elargito dal Comune di turno, ma ‘ricadere’
nel territorio che illumina, con l’analisi dei materiali, l’elaborazione
storica, la pubblicazione a stampa – ora anche digitale – infine la concreta
presentazione nella fisicità di mostre e musei di ciò che la terra ha
restituito, si trova ad affrontare gli stessi paesaggi desolati nei quali si
muoveva intorno al 1981 o al 1985 quando braccava i motocarri per le vie di
Lucca o percorreva i campi arati della Bonifica del Bientina: «faticose
peregrinazioni» e «mediazioni estenuanti», per ripetere quanto si è appena
detto. Non le vie della città, o i campi, ma gli uffici degli amministratori
locali – oggi sempre più spesso i funzionari in luogo degli eletti – e le
sofferenze condivise con i responsabili dei musei locali. Non sempre è così,
sia chiaro, ma spesso dagli incontri si esce con la consapevolezza di aver
incontrato un mero assenso di facciata.
Se dunque a Lucca, nonostante l’eclissi dell’interesse
per la storia del passato ‘locale’ che ha trovato, in Toscana, una triste prova
nella scomparsa di riviste che avevano per oggetto proprio questo tema – le Microstorie tanto vezzeggiate fra anni
Settanta e Ottanta, riferite al mondo antico o medievale – è stato ancora
possibile continuare a ‘valorizzare’, con mostre pubblicazioni musei, le storie
raccontate dalla terra, moltissimo si deve alla sensibilità della Fondazione
Cassa di Risparmio di Lucca. Istituzioni che altrimenti sarebbero rimaste afone
hanno trovato nel flusso di finanziamenti assicurato annualmente modo di farsi
sentire, di testimoniare alle istituzioni e alla società civile che il dialogo
con gli ‘organi di tutela’ non ha come tema solo la tutela, che la tutela non è
monacale custodia delle memorie sepolte, ma verte anche sul presente e sul
futuro, che nel passato si radicano, inevitabilmente.
La mostra Munere
mortis. Complessi tombali d’età romana nel territorio di Lucca, tenuta al
Museo Nazionale di Villa Guinigi di Lucca nell’autunno del 2010, ancora
testimonia, nella pagina web del MiBACT (fig.
1: http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_269322564.html),
l’inizio di un trittico di eventi espositivi che ha fatto della Casermetta del
Museo – completato nel percorso espositivo in quello stesso volgere di tempo,
dopo un decennale impegno finanziario della Fondazione – il palcoscenico in cui
sono state ‘rappresentate’, fino al 2013, le nuove acquisizioni dell’archeologia
in città e nel territorio. La concorde azione delle due strutture ministeriali
attive su Lucca – per l’archeologia e nella gestione dei musei – non sarebbe
stata possibile senza le risorse della Fondazione, che tanto aveva creduto e
concorso al rinnovamento sia di Villa Guinigi, sia di Palazzo Mansi.
Il lineare percorso espositivo (fig. 2), integrato da pubblicazioni e
dalla ‘comunicazione’ in rete, preparato per la mostra del 2010 è stato
rinnovato due volte: nel 2011 presentando lo straordinario complesso della
tomba ligure apuana di Vagli Sopra, con le dotazioni della Fanciulla di Vagli, scavata e restaurata grazie ancora alle
integrazioni offerte dalla Fondazione ai finanziamenti del Comune di Vagli
Sotto e della Soprintendenza per i Beni Archeologici; nel febbraio 2013
documentando la vita quotidiana e la storia dell’abitato etrusco della Murella
a Castelnuovo di Garfagnana, punto di partenza di un viaggio nella vita degli Etruschi nelle valli del Serchio e dell’Arno
(fig. 3). Se i materiali della
Murella – un crocevia degli itinerari transappenninici del V secolo a.C. –
possono oggi essere apprezzati solo nel volume che corredò la mostra (Gli Etruschi e il Serchio. L’insediamento
della Murella a Castelnuovo di Garfagnana), oltre che nelle pagine web che
puntualmente hanno corredato le mostre in Villa Guinigi (http://www.segnidellauser.it/muneremortis;
http://www.segnidellauser.it/fanciulladivagli/;
http://www.segnidellauser.it/etruschidellamurella), ancora grazie al
supporto della Fondazione il corredo della fanciulla ligure apuana morta ai
piedi del versante garfagnino delle Apuane intorno al 180 a.C. ha potuto far
ritorno a Vagli Sopra, nell’estate del 2013, che ha segnato l’apogeo della
divulgazione della ricerca archeologica nel territorio di Lucca.
Nel luglio di quello stesso anno, in effetti, si
concludeva il percorso di tutela delle testimonianze archeologiche sepolte
condiviso tra Fondazione e Soprintendenza nel grande cantiere del complesso
conventuale di San Francesco. Dopo la prima fase dell’opera di restauro e
recupero funzionale, nella Stecca, completata nel 2009, dal 2010 al 2013 il San
Francesco veniva rigenerato e, nello stesso tempo, raccontava la storia sua e
quella della città di cui, per otto secoli, è stato specchio spesso fedele.
Dalla fondazione negli anni Venti e Trenta del Duecento, alle celebrazioni
delle grandi famiglie cittadine – in primo luogo i Guinigi – sino al
rinnovamento del Quattrocento e alle imprese edilizie degli anni della
Controriforma che hanno conferito al complesso l’aspetto felicemente ritrovato
e reso disponibile nell’estate 2013: questa la storia che quattro anni di scavo
hanno raccontato.
Un racconto grezzo, in dati affidati a schede,
rilievi, fotografie, ad una massa immensa di reperti: su questi si è
concentrata la sinergia fra Fondazione e Soprintendenza, già nel momento
conclusivo dello scavo, per far sì che la sinfonia dei vari strumenti potesse
essere apprezzabile al pubblico dei ‘tecnici’ e a quello di chi, semplicemente,
è curioso del passato della sua terra o dei monumenti che visita. Con la
geniale intuizione progettuale dell’architetto Stefano Dini, e la consueta
fiducia della Fondazione e dei suoi tecnici – e in primo luogo occorre
rammentare Franco Mungai, con i collaboratori ‘anziani’ Angelo Paladini e Marco
Lucchesi – i volumi disponibili sul tergo dell’abside del San Francesco sono
stati rimodulati per divenire lo spazio in cui si potessero rivivere le vicende
del San Francesco nei suoni prodotti dalla terra (fig. 4).
Un progetto di medio periodo, che ormai sta
avviandosi a conclusione: l’inaugurazione del 2013 è stata segnata dal Bianco conventuale delle suppellettili
da mensa con cui gli Osservanti, appena giunti a Lucca nel 1454, vollero dare l’austero
segno del loro stile di vita conventuale (fig.
5); la torrida estate del 2015 ha visto raccontate genesi e metamorfosi del
convento fra Duecento e Trecento, vissute seguendo nella città – idealmente –
il Passo di Gentucca (figg. 6-8), la gentildonna lucchese che
tanto fu cara a Dante e la cui storia si intreccia con quella del San
Francesco, luogo di sepoltura dei Morla e dei Fondora (rispettivamente le
famiglie di provenienza e del marito). Mentre si stendono queste pagine è ormai
pronta la terza mostra, che documenterà il profondo rinnovamento del convento
nei decenni di passaggio fra Cinquecento e Seicento, e le testimonianze della
vita conventuale affidate alla suppellettile da mensa prodotta su commissione
francescana: i Segni e simboli
francescani (fig. 9). Ed è anche
in preparazione il volume dedicato al momento forse più emozionante dello
scavo, con le immagini della tomba scavata nella ‘cappella Guinigi’ – la chiesa
di Santa Lucia – il 1° ottobre 2010 (fig.
10): la ‘Signora con l’Anello’, forse una delle mogli di Paolo Guinigi,
punto di partenza, grazie all’anello d’oro con diamante e al sigillo in piombo
papale che l’avevano accompagnata nella tomba, di una brillante indagine di
antropologia forense che ha permesso a Gino Fornaciari di ipotizzare che in una
delle tre ‘signore’ interrate ai lati dei cassoni familiari dei Guinigi si
debba riconoscere Ilaria del Carretto.
Rimane da scrivere l’estremo capitolo: la vita del
convento tra Illuminismo e Restaurazione, fino alla scomparsa nella città
post-unitaria, una storia che vede ancor più serrato il convergere dei segni
nella terra e dei documenti, e che chi scrive spera di poter raccontare ancora
una volta avendo come sfondo la vivace città del tardo Settecento e del nuovo
volto neoclassico. Vent’anni di ‘tutela’ fanno leggere il secolo che si
conclude con la fine di Lucca come città-stato in una prospettiva ‘dal basso’,
dalle cantine di edifici privati e dagli scavi nelle grandi opere pubbliche.
Non meno entusiasmante e impegnativa per l’archeologo,
e foriera di preziosissime acquisizioni, è stata anche la campagna di
interventi che ha preso avvio – un passaggio di staffetta – nella primavera
2013, quando alla conclusione del restauro del San Francesco si è dato inizio
ai lavori che hanno innovato la vita del circuito delle mura.
Il complesso formato dall’ottocentesca Casa del
Boia, dal Baluardo San Salvatore e dal torrione cinquecentesco che vi è
inglobato – il Bastardo – ha visto lo splendido recupero funzionale dei volumi
sedimentati in cinque secoli di storia arricchirsi delle acquisizioni
archeologiche. Nuova luce per le successive trasformazioni di questo lato delle
mura, e, soprattutto, occasione compiutamente colta per apprezzare nella loro
fisica struttura le ‘mura dei borghi’, sin qui marginali nell’evidenza
archeologica e monumentale, divenute invece singolare documento della ritrovata
vitalità del Comune di Lucca dopo il ritorno della Libertas, nel 1370 (fig. 11).
La documentazione integrale della trecentesca torre inglobata nel Bastardo –
conservata nel percorso che, opportunamente strutturato, farebbe del Baluardo
San Salvatore il più esauriente itinerario nella storia delle mura di Lucca fra
Tardo Medioevo e Rinascimento – è stata presentata in un’appassionate giornata
di studi nella Cappella Guinigi, ed è confluita nel volume degli atti – Le mura e il palazzo. Lucca fra Cinquecento
e Seicento: un itinerario archeologico – la cui presentazione, il 9 ottobre
2015 (fig. 12), è stata occasione
per informare tempestivamente il pubblico lucchese dei ritrovamenti che, con le
indagini condotte in sinergia fra Fondazione, Comune di Lucca, Soprintendenza,
hanno significativamente integrato il quadro delle conoscenze sulla cerchia
urbana fra XII e XV secolo.
‘Vocazione alla comunicazione’, intesa come momento
ineludibile della crescita culturale: questo è, dunque, il filo che serra tanti
anni di collaborazione fra il San Micheletto e l’ufficio della tutela
archeologica.
Se è inopportuno fare nomi, in una strategia
collettiva e condivisa, di certo chi scrive non può dimenticare il personale
apporto del presidente dott. Arturo Lattanzi, anche per risolvere difficoltà
solo apparentemente marginali nel percorso di ‘comunicazione’; non si può
dimenticare che la conclusione del percorso archeologico allestito nella sala
dell’Ospedale San Luca, nel novembre 2014, conseguito con l’impegno scientifico
della Soprintendenza e un considerevole sforzo finanziario della ASL 2 di
Lucca, sarebbe rimasta priva di una pubblicazione che desse conto dei risultati
del quinquennio di attività di tutela condotta all’Arancio. Fu grazie al
contributo prontamente concesso che poté essere completato l’allestimento e
dato alle stampe lo snello volume (fig.
13) che si è proposto di raccontare tremila anni di storia della Piana di
Lucca attraverso i materiali esposti nel San Luca. E perché il sarcofago in
piombo, d’età tardoantica, emerso ancora nel ciclo di opere connesse al San
Luca, nel 2014, ormai in avanzato stato di restauro a Firenze (fig. 14), possa trovare collocazione
pubblica – nello stesso San Luca, si direbbe – non resta che sperare che ancora
nei tempi prossimi, seppur sempre più difficili, il dialogo fra istituzioni
possa continuare, nella reciproca apertura che ha caratterizzato questi anni.
Bibliografia
Munere
mortis. Complessi tombali d’età romana nel territorio di Lucca, a cura di Giulio Ciampoltrini, Bientina 2009.
Giulio Ciampoltrini, Paolo Notini, La Fanciulla di Vagli. Il sepolcreto
ligure-apuano della Murata a Vagli Sopra, Bientina 2011.
Giulio Ciampoltrini, Silvio Fioravanti, Paolo
Notini, Consuelo Spataro, Gli Etruschi e
il Serchio. L’insediamento della Murella a Castelnuovo di Garfagnana,
Bientina 2012.
Bianco
conventuale. I servizi da mensa del San Francesco in Lucca fra XV e XVI secolo, a cura di Giulio Ciampoltrini, Lucca 2013.
Il passo
di Gentucca. Il San Francesco di Lucca nel Medioevo: un itinerario
archeologico, a cura di Giulio
Ciampoltrini e Consuelo Spataro, Lucca 2014.
Anamorfosi
di un paesaggio. Gli scavi nell’area dell’Ospedale San Luca e la storia della
Piana di Lucca dagli Etruschi al Novecento, a cura di Giulio Ciampoltrini, Pisa 2014.
Segni
francescani. Il complesso conventuale di San Francesco in Lucca fra Cinquecento
e Settecento: un itinerario archeologico, a cura di Giulio Ciampoltrini e Consuelo Spataro, Bientina 2015.
Le mura e
il palazzo. Lucca fra Cinquecento e Seicento: un itinerario archeologico, a cura di Giulio Ciampoltrini, Bientina 2015.
Giulio Ciampoltrini, La ‘Signora con l’Anello’. Il complesso conventuale di San Francesco e
Lucca nell’autunno del Medioevo (1370-1490): un itinerario archeologico, in
corso di stampa.
Didascalie alle figure.
Fig. 1. La pagina web per la mostra Munere mortis di Lucca nel sito del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Fig. 2. La mostra Munere mortis nella Casermetta del Museo Nazionale di Villa Guinigi
in Lucca.
Fig. 3. La mostra Gli Etruschi nelle valli del Serchio e dell’Arno nella Casermetta
di Villa Guinigi.
Fig. 4. Gli spazi espositivi per l’archeologia del
San Francesco nell’area absidale della chiesa.
Fig. 5. La mostra Bianco conventuale: veduta dell’allestimento negli spazi espositivi
del San Francesco.
Fig. 6. Il
passo di Gentucca: copertina del volume per la mostra negli spazi
espositivi del San Francesco.
Fig. 7. La mostra Il passo di Gentucca: veduta dell’allestimento.
Fig. 8. La mostra Il passo di Gentucca: altra veduta dell’allestimento.
Fig. 9. Boccale con stemma francescano e data 1713
dallo scavo del complesso conventuale di San Francesco.
Fig. 10. La
Signora con l’Anello: copertina del volume.
Fig. 11. Lo scavo del Bastardo/Baluardo San
Salvatore: veduta.
Fig. 12. Locandina dell’incontro Lucca, le mura, l’archeologo, Cappella
Guinigi, 9 ottobre 2015.
Fig. 13. Anamorfosi
di un paesaggio: copertina del volume per gli scavi dell’area dell’Ospedale
San Luca.
Fig. 14. Antraccoli, lavori per la viabilità di
accesso all’Ospedale San Luca: sarcofago in piombo in corso di scavo.