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Testi perduti (capita)
Gentucca in San Francesco.
La genesi del convento del San Francesco e un percorso archeologico nella Lucca
del Trecento
Accade non di rado che gli
scavi archeologici siano come le telenovelas,
o le soap operas: storie aperte, in
cui c’è sempre qualche nuovo fatto o qualche nuovo personaggio che differisce
la fine della narrazione. Sono, insomma, sequenze infinite di microeventi, che
non trovano mai la conclusione che – dalle tragedie greche ai film
contemporanei – esalta e motiva le vicende sceniche; spesso, anzi, è solo l’affievolimento
dell’audience a imporne la conclusione.
Così anche nella ricerca
archeologica è regola comune che nuovi ritrovamenti altro non facciano che
rendere vieppiù enigmatiche le precedenti scoperte; inopinate novità o
inestricabili grovigli di strati congiurano nel differire l’interpretazione
risolutiva all’epifania – non dal cielo, ma nella terra smossa – di un deus ex machina che sciolga un intreccio
ormai insostenibile. Per lo più, l’attesa è vana.
Non è stato questo il caso
delle ricerche archeologiche che per anni sono state assidue – forse anche
petulanti, talora – compagne di ogni momento del complesso ciclo di lavori che
dal 2008 al 2013 ha trasformato il complesso conventuale del San Francesco da
luogo oscuro dell’ordito urbano di Lucca, reso marginale dalla dismissione
della caserma prima e poi dal declino del resuscitato convento francescano, nel
cuore di un campus universitario che
si integra in un rigenerato quartiere il cui polmone verde è il ritrovato
Giardino degli Osservanti.
Dallo scavo è
progressivamente affiorata una complessa architettura conventuale degna del
monastero benedettino in cui si svolgono le vicende narrate nel Nome della Rosa. Gli spazi del cellarium/cantina, riscoperti nella
Stecca nel primo lotto di lavori, si sono infatti progressivamente integrati
nel chiostro che già nel Duecento era il nucleo portante della struttura
conventuale, articolandosi con la chiesa sul lato meridionale, la sacrestia e
il campanile sull’ala orientale, il dormitorio e il refettorio nell’occidentale,
saldati dall’ala settentrionale del chiostro stesso. I documenti davano, di
volta in volta, le chiavi per l’interpretazione funzionale degli ambienti che
lo scavo disegnava.
Sono stati però gli ultimi
mesi di lavoro, nella primavera del 2013, a fornire i dati risolutivi per far
collimare fonti documentarie e dati archeologici.
Le strutture medievali
venute in luce nell’area occidentale del San Francesco si integrarono in quelle
già esplorate nel 2010-2011 e ricomposero la planimetria degli edifici eretti
dai ‘Disciplinati di San Francesco’. Ancora una volta la datazione archeologica
combaciava con le indicazioni documentarie registrate dal prezioso contributo
di Salvatore Andreucci sulla confraternita, edito nel 1971 nel ‘Bollettino
della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria’. Il chiostro sepolcrale di cui
questa si era dotata – secondo il tipo architettonico apprezzabile soprattutto
nel Camposanto Monumentale di Pisa, ma applicato anche a Lucca, nel chiostro
cimiteriale del San Martino che oggi accoglie il Museo della Cattedrale –
saldava al convento francescano un monumento singolare: la chiesa di San
Franceschetto, o – come suona l’iscrizione di dedica – ‘della Beata Vergine e
di San Francesco’, fondata nel 1309 da Lazzaro Fondora perché fosse luogo di
sepoltura suo e della sua famiglia.
La storia di questa
chiesa, affascinante sia perché primo esempio di chiesa funeraria familiare a
Lucca, sia per la figura del fondatore – Lazzaro Fondora, un self-made man venuto dalle campagne di
Sorbano del Giudice, uomo d’affari di gran successo nei due decenni intorno al
1300 – si illuminò di colori inattesi proprio con gli scavi della primavera
2013. Fu allora, infatti, che riapparve, sul lato orientale del San
Franceschetto, in corrispondenza di una serie di cassoni sepolcrali compresi
nel chiostro conventuale dei Disciplinati, l’iscrizione che segnalava il
monumento funerario della famiglia Morla, datata 1348, l’anno della Peste Nera.
I nomi dei Fondora e dei
Morla si congiunsero immediatamente in quello di uno dei più enigmatici
personaggi femminili della Commedia
di Dante: Gentucca.
Nelle parole di Bonagiunta
Orbicciani (Purgatorio, Canto XXIV,
vv. 34-48) Gentucca è colei che ‘farà piacere’ Lucca a Dante – per il resto
poco tenero con la città – durante il suo soggiorno da esule, probabilmente nel
1308. Un po’ in ombra nella Lucca contemporanea, tanto che non è onorata
neppure del nome di una strada – la più economica delle commemorazioni – la
figura di Gentucca fu al centro di un vivace dibattito filologico che nell’Ottocento,
con le ricerche di Carlo Minutoli su Gentucca
e gli altri lucchesi nominati nella Divina Commedia, del 1865, portò ad
identificarla nella moglie di Bonaccorso Fondora, figlio del Lazzaro fondatore
del San Franceschetto, ben nota da documenti dei primi del Trecento. Le
ricerche d’archivio del Minutoli confermavano che Gentucca era figlia di
Ciucchino dei Morla, un ramo della schiatta degli Allucinghi le cui magioni in
Via Santa Croce sono oggi indicate da un’iscrizione.
Quando si è voluto dar
conto della genesi e delle trasformazioni del San Francesco, seguendone le
vicende architettoniche raccontate dallo scavo tra Duecento e Trecento – dalla
fondazione del 1228 allo scorcio finale del Trecento – si è immaginato di percorrerle
seguendo il ‘passo di Gentucca’, in una visita ideale al cantiere del San
Francesco dopo un itinerario nella città medievale tracciato da trent’anni di
ricerche archeologiche.
Occorre premettere che se
la vicenda dello scavo si è conclusa come la ‘buona pratica’ vuole, con una
pubblicazione di carattere tecnico-scientifico ed una mostra accessibile ad un
pubblico più ampio, l’impresa è stata possibile perché la Fondazione Cassa di
Risparmio di Lucca ha non solo assicurato la piena disponibilità di risorse per
lo scavo e la documentazione, ma anche finanziato le attività sulla massa di
reperti indispensabile ad interpretare le stratificazioni e, infine, l’edizione,
nelle collane della PubliEd s.a.s., oltre all’allestimento della mostra. La
Soprintendenza Archeologia della Toscana, dal canto suo, ha garantito la
direzione scientifica di tutte le attività, e, con il personale del Centro di
Restauro – in particolare con Araxi Mazzoni e Stefano Sarri – la compiuta
leggibilità di reperti frammentari, ceramici e in metallo.
Il 17 luglio 2015 ha
dunque potuto salutare, in un rovente pomeriggio, i due eventi che hanno
celebrato l’ideale ritorno di Gentucca nel San Francesco del Duecento e del
Trecento, un luogo che certamente frequentò, visti gli interessi della famiglia
del marito e di quella paterna.
Il volume Il passo di Gentucca. Il San Francesco nel
Medioevo: un itinerario archeologico presenta l’immagine ‘archeologica’ di
Lucca nel Medioevo – per molti aspetti inedita – visitandone i sobborghi in
costruzione oltre le mura romaniche, le botteghe degli artigiani (vasai,
tintori, tessitori) e ripercorrendo infine la storia della più drastica cesura
vissuta dalla città nella genesi del suo assetto urbano: la costruzione del ‘castello
in città’, l’Augusta. In
straordinaria anticipazione dei castelli signorili che ancora sono tratto
saliente della struttura urbana di città come Milano (il Castello Sforzesco),
Ferrara (il Castello Estense), Mantova (il Castello dei Gonzaga), con questo
fortilizio affollato di torri che proteggevano i luoghi di gestione del suo
potere extra-istituzionale Castruccio Castracani, fra 1327 e 1328, credette di
assicurare il suo dominio; fu in effetti – come dichiararono gli Anziani della
Repubblica decretandone la demolizione – il ‘nido della tirannide’, occupato di
volta in volta da chi si insignorì di Lucca, fino alla ritrovata Libertas del 1370.
Il percorso nella città
del Duecento e del Trecento, fra i limiti segnati da questo evento e dal
completamento della cerchia di mura romanica, intorno al 1220, si conclude nel
cantiere che fu potente polo di riferimento della vita spirituale, ma anche
civile e sociale di Lucca: il San Francesco. Lo scavo ha fatto ritrovare nella
terra le tracce della fondazione, subito dopo i primi documenti del 1228 sull’attiva
presenza di Francescani in Lucca; del rapido completamento della chiesa e delle
strutture indispensabili alla vita conventuale, con attività di cantiere che è
stato possibile riconoscere anche nelle tracce lasciate dalle impalcature dei
ponteggi nel suolo; della costruzione dei complessi dei Disciplinati e del San
Franceschetto; infine, degli eventi che riverberano anche negli spazi
conventuali le trasformazioni sociali della metà del Trecento.
Se Lazzaro Fondora, ai
primi del secolo, faceva erigere la cappella funeraria di famiglia ben al di
fuori del covento, sulla piazza su cui prospettava la chiesa, Francesco Guinigi
volle esaltare nel 1354 il rapporto fra la sua famiglia e i Francescani
innalzando la chiesa funeraria gentilizia – dedicata a Santa Lucia, oggi la ‘Cappella
Guinigi’ – entro all’interno del chiostro conventuale, demolendo parzialmente e
spezzando la sequenza funzionale dell’ala orientale. Il parallelo con la hybris di Castruccio nello sconvolgere l’assetto
urbanistico, in conclamata cesura con ogni tradizione, si impone.
Più sobrio, dichiarato
appena da un’iscrizione, è il rinnovamento della sacrestia, dovuto alla
famiglia dei Del Testa, avvenuto intorno al 1374, con cui si chiude il primo
capitolo della storia architettonica del San Francesco. La datazione dei nitidi
volumi, modulari, degli ambienti conventuali delle origini, in coerenza con l’evidenza
documentaria, è assicurata dalla ceramica restituita dallo scavo e in
particolare dalla maiolica arcaica, con le caratteristiche decorazioni in verde
e nero di boccali e scodelle.
Gentucca e il complesso conventuale di San
Francesco tra testimonianze letterarie e realtà sepolte: il diverso taglio della mostra è evidente sin dal
titolo e dal manifesto che invita chi attraversa i chiostri del San Francesco a
raggiungere gli ambienti espositivi realizzati a tergo dell’abside della
chiesa.
La sola immagine di
Gentucca disponibile nel repertorio iconografico – una cartolina degli anni
Trenta dovuta alla mano dell’acquarellista Vincenzo Barsotti – apre un percorso
che nel dialogo di pannelli e reperti segue le vicende architettoniche del
convento inquadrandole nelle vivaci attività commerciali documentate da
ceramiche di importazione – i ‘colori del Mediterraneo’, dei vasai di Sicilia,
Siria, Africa Settentrionale, Liguria – e in quelle artigianali. I minuti ‘cappelletti’
in vetro per la macchina tessile inventata dal lucchese Borghesano, intorno
alla metà del Duecento, sono un indice archeologico delle manifatture tessili
alle quali la città dovette parte non marginale della sua ricchezza.
Un focus particolare è per la maiolica arcaica ritrovata in trent’anni
di attività archeologica in città, presentata non solo come filo d’Arianna
nelle stratificazioni del Duecento e del Trecento, ma anche come testimone
degli scambi di motivi decorativi fra le varie attività artistiche. Temi
geometrici documentati su tessuti ritornano negli schemi che campiscono boccali
e scodelle, ed una particolare attenzione è dedicata al motivo degli uccelli contrapposti
che compare su un bacino dei primi del Trecento dal San Francesco e nelle
produzioni tessili contemporanee.
Infine, i costumi
sepolcrali, con l’emozionante evidenza della veste di un fanciullo sepolto nel
San Francesco, ornata di damasco in filo d’argento e dei bottoni in bronzo
(detti maspilli) tipici della moda
del Trecento.
Completato il primo
capitolo, un altro se ne sta preparando, con la vita quotidiana tra Cinquecento
e Settecento raccontate dallo scavo, i Segni
francescani. La storia ‘archeologica’ del San Francesco è anche storia di
Lucca, ed impegno condiviso è quello di far sì che divenga patrimonio comune.
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