La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

sabato 27 dicembre 2014

Anamorfosi urbane e ceramiche a colori



Per il resto c'è il Notiziario della Soprintendenza, per vedere a colori le ceramiche delle Anamorfosi urbane di Lucca (perché se non sono a colori che gusto c'è ...)


Contesti stratigrafici e cronologie assolute fra Seicento e Ottocento: contributi dai saggi di Piazzale Verdi

I contesti di Piazzale Verdi offrono un significativo contributo alla definizione della cronologia assoluta dei tipi ceramici in uso a Lucca fra Seicento e Ottocento, grazie alla possibilità, appena esaminata, di raccordare livellamenti e discariche ad episodi – di demolizione o di costruzioni – ben databili.
La us 177, messa in opera dopo la demolizione delle mura medievali, conferma la datazione nel corso dei primi decenni del XVII secolo dei tipi di graffita caratterizzati dalla decorazione araldica stilizzata o da motivi vegetali entro cornici con motivi resi a punta o a fondo ribassato, già riferiti a questo periodo sulla scorta delle associazioni – in particolare con maiolica di produzione montelupina – nei contesti degli Orti del San Francesco e del Cortile Carrara[1].
In questo caso, per contro, è il contesto a consentire la datazione entro il 1640-1650 del grande piatto ascrivibile per caratteristiche tecniche della pasta e morfologia alle botteghe di Montelupo, che esibisce su un campo in cui si affollano tratti in blu e stilizzate “foglie” in arancio un grande fiore in boccio, disegnato da pennellate in manganese e campito in giallo (fig. 27, 1), in cui la suggestione della coeva “Flora” di Cecco Bravo[2] invita a riconoscere il fiore prediletto in questi anni del Seicento, il tulipano, reso con i modi speditivi dei ceramografi montelupini dell’avanzato XVII secolo[3]. Il variegato livello qualitativo delle produzioni di maiolica disponibili sul mercato lucchese del Seicento è emblematicamente suggerito dall’eccezionale presenza di un frammento ascrivibile ad una forma aperta decorata con i motivi del “calligrafico naturalistico” seicentesco delle manifatture liguri, forse albissolesi (fig. 27, 2)[4].
L’incrocio dell’evidenza documentaria e iconografica con quella stratigrafica sembra confermare che l’impianto dell’anfiteatro per le corse dei cavalli – almeno in forme solidamente strutturate – non è anteriore alla metà del Settecento. La stampa che lo presenta nello stato del settembre 1759, poco dopo il progetto promosso da una società nel 1756, e prima dei rinnovamenti certificati nel 1785[5], coincide sostanzialmente con l’evidenza archeologica; i materiali provenienti dai livellamenti che assecondano la formazione del nuovo edificio sono compatibili con il terminus ante quem che la stampa fornisce.
A dimostrazione dell’eterogeneità e casualità degli inerti accumulati e impiegati nelle opere di livellamento, sono vistose le distinzioni fra i vari contesti, in particolare la us 552 e la 176. Le “catinelle” montelupine con “spirali verdi”, fortunate anche a Lucca nei decenni centrali del Settecento[6], attestano la “chiusura” contemporanea dei due sedimenti, ma nella us 552 (fig. 27, 3-4) sono associate soprattutto a residui, che si scaglionano – per rimanere ai capi meglio databili – dai primi del Cinquecento, con il frammento che salva sul fondo bianco la sigla S D (fig. 27, 5) in cui parrebbe arduo non riconoscere le mode certificate dall’analoga sigla su un ‘bianco’ del San Francesco[7], applicata al San Donato lucchese, o con il tondo – ugualmente di bottega montelupina – con cane latrante (fig. 27, 6)[8].
Dal Cinquecento fino ai primi dell’Ottocento le botteghe toscane subiscono a Lucca la concorrenza di quelle liguri, decisamente meno “popolari”. Il successo delle manifatture liguri in questi secoli trova nell’evidenza documentaria, grazie ai dati registrati da Sergio Nelli[9], testimonianze assai più consistenti di quelle offerte dai contesti archeologici, a riprova di un’eccellenza qualitativa che ne esaltava il valore e quindi ne imponeva la registrazione negli inventari domestici; emerge tuttavia anche nelle restituzioni della discarica 552, con minuti frammenti a smalto berrettino (fig. 27, 7) o in “calligrafico naturalistico” (fig. 27, 8-9), uno dei quali salva nel tondo chiuso da una cornice “a quartieri” parte un apparato architettonico (fig. 27, 9) sovrapponibile a quello integralmente conservato da un esemplare albissolese in collezione privata[10].
L’omogeneità con i contesti esplorati negli Orti di San Francesco attesta invece che nella us 176 finì una vera e propria discarica di ceramiche in uso intorno al 1750, con la “catinella” con “spirali verdi” (fig. 28, 1) e la massa di forme aperte di manifattura toscano-settentrionale invetriate su un ingobbio speditivamente decorato da soggetti vegetali e floreali resi con veloci pennellate di verde o di giallo (fig. 28, 2-4), e un ricorso del tutto marginale alla pratica della graffitura[11].
Le unità stratigrafiche che segnano i progressivi adeguamenti e i rifacimenti dell’anfiteatro fra Sette- e Ottocento restituiscono quasi senza eccezione frustuli misti a residui, di regola in proporzione preponderante (fig. 29), talora di più antichi di secoli, come il frammento con fregio che dispiega sulla tesa le cornucopie che compaiono nei “girali fioriti” montelupini della metà del Cinquecento (fig. 29, 12)[12]. Tuttavia, anche in questa veduta “anamorfica” del vivace mercato lucchese d’età neoclassica, che merita una definizione più accurata di quella sin qui ancora essenzialmente affidata alle valutazioni formulate sui dati dagli Orti del San Francesco[13], traspaiono le acquisizioni di tono “medio” (più che medio-alto) dalla bottega empolese del Levantino, da cui giungono i capi in monocromia bianca impreziositi dall’“orlo cinese” in azzurro (fig. 29, 1-2)[14], dai “fiorellini diversi” (fig. 29, 3; 6-7)[15], e forse anche le redazioni di forme aperte decorate sulla tesa con “onde blu e punti neri” (fig. 29, 13), conosciute peraltro anche nella manifattura di Doccia[16]; al Levantino si deve probabilmente ascrivere anche la forma in monocromia con tesa increspata (fig. 29, 9)[17].
La grande forma aperta con “mazzetto fiorito verde” (fig. 29, 4) certifica la perdurante vitalità delle manifatture di Montelupo, che devono ormai competere piuttosto con le produzioni invetriate su ingobbio, provviste di una decorazione altrettanto schematica, resa da frettolose pennellate gialle e verdi che appena fanno intuire il soggetto floreale che intendono presentare (fig. 29, 5)[18]. Soprattutto, le botteghe di tradizione “artigianale” della Toscana settentrionale, attive per maioliche o per ingobbiate, devono ormai affrontare la presenza sul mercato di una produzione dagli aspetti “industriali” come quella albissolese che “firma” con le pennellate in nero – le tâches noires – i capi invetriati di marrone, restituzioni a buon mercato delle forme sin qui proprie delle manifatture di maiolica (fig. 29, 10-11)[19]. Nuovi orizzonti – non solo mercantili, ma anche delle strutture produttive – culturali, indiziati anche dalle produzioni in vetro fuso su stampo (fig. 29, 8) che cominciano ad apparire in questi contesti. (G.C.)


Riferimenti bibliografici

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[1] Ciampoltrini, Spataro 2005, pp. 69 ss.; si veda in seguito Ciampoltrini, Spataro 2009, pp. 200 ss.
[2] Barsanti 2003, p. 577, fig. 684.
[3] Si vedano le parentele con il “Genere 59. Foglia con frutta policroma” di Berti 1998, p. 196.
[4] Si veda da ultimo, con la revisione terminologica in “orientalizzante naturalistico”, Pessa 2011, pp. 63 ss.
[5] Rispettivamente Lucca iconografia della città 1998, n. 184, p. 118; n. 189, pp. 119 s. (G. Bedini).
[6] Ciampoltrini, Spataro 2005, p. 82; per il tipo Berti 1998, pp. 215 s., “Genere 72”.
[7] Da ultimo Ciampoltrini, Spataro 2013, pp. 43 s.
[8] Per il tipo a Lucca Ciampoltrini, Spataro 2013, p. 33, tav. X, 1.
[9] Nelli 2007, in particolare pp. 330 s.
[10] Barile 1965, tav. XXI, 1.
[11] Per queste produzioni, dopo Ciampoltrini, Spataro 2005, pp. 78 ss., si rinvia a Ciampoltrini, Spataro 2007, in particolare pp. 179 ss.
[12] Per questo Berti 1998, pp. 126 s., “Genere 32”.
[13] Ciampoltrini, Spataro 2005, pp. 93 ss.
[14] Per questo Moore Valeri 2008, p. 46; per Lucca, si vedano i cenni di Ciampoltrini 2008, p.
[15] Moore Valeri 2008, pp. 38 ss.; per Lucca, oltre a Ciampoltrini, Spataro 2005, p. 95, si veda Ciampoltrini, Spataro 2009, p. 222.
[16] Moore Valeri 2008, pp. 44 ss.
[17] Moore Valeri 2008, pp. 41 ss.
[18] Si veda rispettivamente Berti 1998, p. 217, “Genere 75”; Ciampoltrini, Spataro 2007, pp. 183 ss.
[19] Ciampoltrini, Spataro 2005, p. 95; Ciampoltrini, Spataro 2009, p. 222.

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