Archeologhe che si affaccendano su carboni che generano bitume. Un'immagine singolare, marcopolesca, di un sopralluogo condotto sotto occhi imbarazzanti ... e riflessioni sulle stagioni che passano, sulle immagini che ritornano e si perdono. Dopo quasi ventisette anni nelle stesse periferie di San Concordio, allora per tombe che svelavano storie perdute, credute ma non 'verificate' ... e oggi, al tramonto, asettiche presenze, non più il Figlio della Montagna a sguazzare nel fango, a pulire un dolio dopo l'altro – è il progresso, bellezze! – ma linde figure (un po' troppo ariose, direi) che lustrano muraglie che appena appena hanno conosciuto la quiete della coltre di terra, e di nuovo affrontano il sole. Ma con tutto, nei diversi paesaggi suburbani, rimane il sogno del passato, la smania di cogliere il frammento perduto che ancora ci guida in questo mestiere, dove sempre si è lì lì per cogliere la meta, e la meta è sempre un po' oltre la punta delle dita ... come sull''Urna Greca' di Keats.
Alla prossima concrete immagini, per il momento sogno ... perché l'archeologia è anche sogno, sogno di ritrovare cose perdute. Una volta con le fonti, poi con l'austera sequenza di US (il mitico matrix), oggi con la realtà virtuale ... ma come direbbe al frustrato lover Keats, il bello è proprio nella irraggiungibilità (heard melodies are sweet, but those unheard are sweeter).
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