La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

sabato 28 gennaio 2023

Le stagioni di Rina








Anche i libri più belli hanno un’ultima pagina, qualche volta anche pagine bianche. E poi la copertina, e si chiude.

Tu le hai vissute tutte, anche le bianche, riempite un po’ di ricordi e un po’ di sogni. E poi, un giorno di gennaio, quando intravvedevi i tuoi novantasei anni, e proprio non avevi nessuna voglia di festeggiarli, lo hai chiuso, il libro delle tue stagioni, settant’anni di storie condivise, venticinque raccontate, le stagioni vissute tutte. Tempi generosi, contraccambiati con generosità.

La primavera nei campi di Comana, terra mitica nel ricordo, il nome vero, Bruna, voluto per la padrona, il nome della vita, Rina, scelto dal babbo, dei mezzadri venuti centovent’anni prima da Cerreto Guidi, i Lazzeri. E poi la fuga dal podere, la vita del bracciante, e della miseria per tutta la famiglia. Con l’allegria della miseria, raccontavi dopo esserne uscita, le feste degli anni Trenta, il mare trovato sull’Arno, e a undici anni in fabbrica. Anche quella una festa, il primo salario. E poi la guerra, le bombe, in una campagna che raccontavi senza conoscere le arti del romanzo. Mitica Comana del ’44, nel tuo racconto. E poi l’amore vero, per il fascinoso reduce. Un matrimonio povero, un giorno a Genova per il viaggio di nozze, ma la vita riprende dopo la guerra e si è in due, una soffitta che diventa un regno. Così raccontavi la tua casa, settantacinque anni sulla piazzetta, ma con il sole che fino all’ultimo ti ha rasserenato. Almeno un po', come dicevi tu. Un po'. Bastava.

Con lui l’estate, tanto lavoro, a tagliare tomaie e smazzare pelli, qualche festa e un po’ di povertà, ma senza rimpianti. Per chi aveva vissuto la miseria, la povertà era già un bel progresso. E c’era vita intorno a voi, intorno a noi, perché era arrivato il figlio. Un’estate lunga, gli anni Cinquanta e poi Sessanta.

E i temporali alla fine dell’estate, come usava allora. Il figlio era cresciuto, faceva studi un po’ strani, archeologia. Ma era il figlio, il senso vero della tua vita, e ancor di più quando nella casa di Castelfranco rimanesti sola, e s’era già fatto autunno.

Lungo l’autunno, sempre più faticosa la vita, solo qualche giorno luminoso fra tanti cupi e nel cader di foglie. Ma le domeniche condivise per trent’anni e più giustificavano tutto. Di domenica in domenica, e qualche sosta di ritorno da Lucca; anzi, molte. Quanta attesa per qualche attimo diverso, per dare un senso al resto. Ma si sa, la vita è fatta di attese, molte deluse, ma non tutte.

E infine l’inverno, dopo qualche allegria di Villa delle Mimose. Gelido, ma con il tempo ancora di qualche sorriso, prima che le pagine stampate poco a poco diventassero bianche.

E ora qui, nel silenzio, a rivivere le tue stagioni, condivise o raccontate.

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