E ora che Lucca è straordinariamente remota, si può immaginarla ai tempi di Romolo ...
Lucca romulea, la conclusione (per il resto, accedere ai volumi)
«Nella Piana dell’Auser – raggiunta da Volterra seguendo la Valdera con gli abitati indiziati dai materiali sporadici di Montacchita e di Ortaglia, o dalla tomba di San Ruffino di Lari – è il fiume a tracciare la via della colonizzazione, aggiungendo alla comodità delle reti di acque le occasioni agricole offerte da un dosso sottile, ma fertile, come si dimostrerà per secoli. Ricerche di superficie e lo scavo registrano la concentrazione dell’insediamento in punti nodali, che saranno ripetutamente occupati: alla congiunzione dei rami del fiume, nell’area di Isola, dove le ricerche di superficie rilevarono per la prima volta la frequentazione dell’Età del Ferro, cui offre ora una singolare vivacità un erratico frammento di protome equina d’impasto rossiccio, che – edito con riferimenti allo scorcio finale dell’Età del Bronzo – trova finalmente un confronto stringente nelle applicazioni ippomorfe della ceramica villanoviana della Valle del Samoggia; nella grande ansa del Chiarone, nel cuore della Piana; infine, alla periferia di Lucca, dove l’Auser si divide in due grandi rami, per raggiungere l’Arno, a Bientina, con quello di sinistra, Pisa e il mare con quello di destra. In teoria, è questo un luogo eccellente per offrire, seguendo il primo ramo, un’alternativa itineraria da Volterra verso l’Appennino e la Pianura Padana rispetto a quella controllata da Artimino e dalle comunità che si stavano distribuendo nel territorio di Firenze; simultaneamente, con il secondo, per consentire alla nascente struttura urbana di Pisa di parteciparvi.
Proprio per l’evidente centralità del fiume, piacerebbe applicare il modello “romuleo” alla breve storia della comunità tardovillanoviana di Lucca-Arancio, dandole il profilo di una famiglia di avventurosi mossi alla ricerca di nuove opportunità, o di perdenti nei conflitti che la diversa distribuzione della ricchezza inevitabilmente genera, e che in terre vergini cercano occasioni di rivincita. Controllare uno snodo itinerario è – in teoria – uno dei modi più efficaci per il successo, ma non sempre si ha la tempra, o la fortuna, di Romolo, d’altronde figlio di un dio.
Ai fondatori dell’insediamento di Lucca-Arancio, come a quelli di Firenze-Gambrinus, che tentarono un’avventura simile, toccò un’altra sorte, effimera. Più volte si rinnoverà l’esperienza, a Lucca-Arancio: già sul finire del VII secolo, o ai primi del successivo, si cercò di organizzare un’area di vita, tracciandone l’asse con una via di ghiaia, ma con scarso successo. Nel corso del III secolo a.C., ancora vi si forma un piccolo abitato; è questo il momento in cui venne in luce una delle tombe – il Pozzetto 3 – e si provvide a ripristinarla sostituendo il cinerario distrutto con un’olla “nella tradizione del bucchero”, dotata di un corredo ceramico di capi a vernice nera. L’olla, integra, si è rivelata assolutamente priva di resti di combustione, riempita di sola terra, e indica dunque il carattere simbolico della nuova deposizione, probabilmente di “espiazione” per la tomba distrutta.
Si direbbe, concludendo, che occorreva lo spirito “romuleo” dei Romani perché le intuizioni degli avventurosi dell’VIII secolo a.C. avessero solida affermazione e millenario successo: le due città “di fondazione” romana dell’Etruria settentrionale, Luca nel 180 a.C. e Florentia nella prima età augustea, trovano nell’esperimento del Villanoviano una singolare (e forse non casuale) anticipazione.»
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