Premessa
Il passo di Gentucca.
Un itinerario archeologico
tra il San Francesco e Lucca intorno all’anno 1300
El mormorava; e non so che
«Gentucca»
sentiv’io là, ov’el sentia
la piaga
de la giustizia che sì li
pilucca.
«O anima», diss’io, «che
par sì vaga
di parlar meco, fa sì ch’io
t’intenda,
e te e me col tuo parlare
appaga».
«Femmina è nata, e non
porta ancor benda»,
cominciò el, «che ti farà
piacere
la mia città, come ch’om
la riprenda. ...»
(dante, Commedia,
Purgatorio, XXIV, vv. 37 ss.)
Nella primavera del 2013 i
lavori di restauro e recupero funzionale del complesso di San Francesco erano
ormai alla conclusione, con l’obiettivo – agevolmente rispettato – di giungere
all’inaugurazione e alla restituzione alla città del monumento il 6 luglio.
Anche lo scavo, con una straordinaria sequenza di campagne iniziata fra 2004 e
2005 negli Orti, proseguita nella Stecca, estesa infine dal 2010 pressoché all’intera
area conventuale, si stava avviando a conclusione, con le indagini nel ‘San
Franceschetto’ e negli ambienti attigui, da poco resi disponibili[1].
Appena entrati nell’ambiente
attiguo al ‘San Franceschetto’ – la chiesa eretta da Lazzaro Fondora per la
sepoltura sua e della sua famiglia, nel 1309, e dedicata alla ‘Beata Vergine e
a San Francesco’ (fig. 1) – gli archeologi e chi scrive non potero non essere
attirati da un’iscrizione ormai perduta nell’originale, ma ben leggibile nella
trascrizione d’età contemporanea (fig. 2): «Hoc est sepulcxrum domine Vanne
uxoris quondam domini Ceci Morle militis et domini Sigxerii Morle militis eius
filii et Octoboni Morle item eius filii et domine Mantuccie uxoris et
descendentium ex eis An. D. 1348». L’iscrizione, dunque, era stata collocata
nella parete esterna, orientale, del ‘San Franceschetto’ per segnalare la presenza
della tomba fatta costruire da donna Vanna, moglie del ‘cavaliere’ (miles) Cecio Morla, per sé, per i figli
Sigherio e Ottobono, per donna Mantuccia – moglie di Ottobono[2] – e i loro discendenti; l’anno della costruzione
della tomba è quello della grande pestilenza, il 1348, quando la sensazione
della fine incombente imponeva la realizzazione di una tomba adeguata alla
drammatica urgenza del momento. Probabilmente chi curò la replica dell’iscrzione
Morla attinse a trascrizioni settecentesche – come quelle di Bartolomeo Baroni,
che conserva anche l’arme losangata della famiglia, oggi illeggibile (fig. 3)[3] – piuttosto che all’originale.
L’iscrizione della tomba
Morla si sarebbe confusa con le altre riemerse dai lavori di restauro – quasi
tutte reimpiegate nell’Ottocento per le strutture funerarie della breve
stagione che vide il chiostro del San Francesco ritornare luogo sepolcrale per
eccellenza di Lucca, intorno al 1860 – se subito non si fosse imposta la
memoria dantesca: Gentucca, l’enigmatica figura femminile che incontrerà Dante
e gli «farà piacere» la città di Bonagiunta, è legata ai Morla, sia che – come
vuole una delle ipotesi elaborate già dalla filologia dantesca dell’Ottocento,
sulla scorta di una minuziosa recensione dei documenti lucchesi dei primi del
Trecento – debba essere identificata con una Gentucca Fatinelli andata sposa a
Bernardo Morla, o che sia la figlia di Ciucchino Morla, consorte di Bonaccorso
figlio di Lazzaro Fondora[4]. L’intreccio di interessi fra Morla e Fondora
intorno al ‘San Franceschetto’, fra la chiesa gentilizia dei Fondora e il
chiostro cimiteriale disposto fra questa e la parete settentrionale del San
Francesco che lo scavo del 2012-2013 ha permesso di ricomporre[5], è un ulteriore elemento a favore della seconda
ipotesi, che d’altronde era data per scontata già nel Trecento, se due chiose
anonime a manoscritti fiorentini, recuperate dal Minutoli, dichiarano che
Gentucca «fue moglie di Coluccio Giari di quegli da Fondora». Solo un
contemporaneo poteva sapere che Lazzaro Fondora, il suocero di Gentucca, si
presentava – ad esempio in un atto del 22 dicembre 1306[6] – come «Laçario vocato Giario quondam item Laçarii
de Fondora civi Lucano», ‘Lazzaro detto Giario figlio del fu ugualmente Lazzaro
da Fondora, cittadino lucchese’.
Se dunque Gentucca fu
persona reale, il San Francesco dei primi decenni del Trecento dovette essere
luogo ‘per eccellenza’ della sue frequentazioni spirituali; probabilmente vi fu
sepolta, con Lazzaro/Giaro Fondora e i suoi discendenti, fra le righe di deposizioni
nel San Franceschetto che sono state rispettate nei lavori di restauro del
2013, mentre la cassa funeraria dei Morla – o quella che si apriva ai piedi
dell’iscrizione – fu ampiamente riusata fino al Rinascimento.
Lazzaro Fondora è
personaggio di rilievo nella Lucca degli anni intorno al 1300, a dispetto di un
interesse apparentemente marginale negli studi contemporanei[7]. È sufficiente una rapida rassegna delle carte che
lo riguardano nel Diplomatico dell’Archivio
di Stato di Lucca per rendersi conto dei suoi vastissimi interessi, dal
commercio internazionale che è sullo sfondo di un atto del 1292[8], sino alle eterogenee attività di gestione di
proprietà terriere e di rendite fondiarie che si svolgevano nelle sue case,
site nell’odierna Via Fillungo – allora ‘contrada di San Cristoforo’ – fra la
Loggia dei Mercanti e la Torre delle Ore (fig. 4). Qui, come argomenta Minutoli[9], dovette vivere da sposata Gentucca, nata invece –
probabilmente – nelle non lontane torri dei Morla, oggi in Via Santa Croce,
come rammenta l’iscrizione appostavi (fig. 5), giacché i Morla sono parte della
consorteria degli Allucinghi, e loro chiesa di riferimento era San Benedetto in
Gottella, in cui fu eretta una cappellania in suffragio del defunto Ottobono,
nel 1350[10].
Era però il San Francesco
ad avere un potente ruolo di attrazione su Lazzaro, di famiglia da non molto
inurbata dalla località del contado di Sorbano del Giudice da cui la famiglia
trarrà cognome, Fondora[11]. La costruzione del ‘San Franceschetto’ consacrava
il suo ruolo nella società cittadina e nel rapporto con l’istituzione
conventuale. Nel 1307 Lazzaro, «civis et mercator Lucensis» è associato a fra’
Guiduccio, dei Frati Predicatori, come arbitro in una controversia[12], ma i comuni interessi con i Domenicani non gli impedivano
di completare due anni dopo la chiesa eretta nel ‘braccio della Fratta’ – dove
la famiglia aveva proprietà in cui andranno a vivere i figli intorno agli anni
Venti[13] – apponendo sull’architrave della porta un’iscrizione
che incorniciava con i colori dell’arme di famiglia, ancora leggibili nel
Settecento (fig. 3)[14], il Tau,
simbolo francescano per eccellenza (fig. 6). Pratica delle mercanzia, attività
di ‘intermediazione’ nelle quali talora si intravvedono, in filigrana, prestiti
su pegno mascherati da compravendite o speculazioni, non sono in distonia,
nella prassi del tempo, con la devozione al Santo poverello, punto di
riferimento capace di accomunare i Morla, una famiglia ‘nobile’, come dichiara
il titolo di miles, e il Fondora di
fresco successo. Forse non è casuale che Lazzaro ometta il nome del padre, nell’iscrizione
di dedica, quasi a dichiarare la sua figura di homo novus.
Non occorre dunque una
sfrenata fantasia – appena quella che deve alimentare il romanzo storico – per
immaginare Gentucca nel suo andare per la città fra la casa della famiglia e
San Bendetto in Gottella, passando per San Cristoforo, superare la postierla
della Fratta e le mura erette da meno di un secolo per giungere al San
Francesco mentre si sta completando il grande cantiere della chiesa e del
convento, cui il suocero Lazzaro Fondora aggiunge quello della ‘sua’ chiesa,
primo vero esempio di chiesa ‘gentilizia’ in Lucca, dopo le remote fondazioni
altomedievali[15]. Gli affreschi del lucchese Deodato Orlandi in San
Piero a Grado, di quegli stessi anni, nella scena del cantiere del San Pietro
di Roma (fig. 7) ci fanno apprezzare nello sguardo del contemporaneo i lavori
di costruzione di una chiesa, con lo scalpellino all’opera, gli inservienti
agli argani, il manovale che s’arrampica per dar da bere al mastro muratore con
un bicchiere di vetro e un boccale di maiolica arcaica[16].
Poco resta all’occhio dell’archeologo
delle immagini che si presentavano a Gentucca o che riescono a rivivere nelle
iconografie contemporanee: i muri, le schegge di lavorazione della pietra, i
segni delle attività di cantiere, i boccali di maiolica arcaica andati in
frantumi. Molto ha da integrare, per ricomporre le storie di muri raccontate
dagli strati che li hanno sepolti o ne hanno segnato la costruzione e dalle
ceramiche che vi finirono, o le storie di persone narrate da sepolture e ancora
dalle ceramiche: storie che fra Due- e Trecento sono ‘in verde e nero’, i
colori della maiolica arcaica.
Ma seguendo il ‘passo di
Gentucca’ per le vie della città che ella «fece amare» a Dante, può riapparire,
da trent’anni di attività di tutela e da un cantiere vissuto per cinque, anche
qualche nota della vita di Lucca fra Due- e Trecento, nelle metamorfosi e nelle
anamorfosi urbane, o nei ‘segni’ lasciati nella terra da chi di quegli eventi
fu protagonista, artefice, o vittima. È questo il percorso in cui si vuole
accompagnare chi sfoglierà le pagine che seguono, leggendo astruse sequenze di
strutture o di unità stratigrafiche, o almeno sfogliando i colori degli scavi.
[1] Questo
viaggio archeologico nella genesi e nelle successive vicende del complesso di
San Francesco è stato reso possibile dalla illimitata disponibilità della
Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ad assicurare un livello di eccellenza
per le indagini di scavo, affidate sino al 2011 al gruppo di lavoro condotto da
Elisabetta Abela, composto da Serena Cenni, Maila Franceschini, Silvia Nutini,
Kizzy Rovella, e dal 2012 alla conclusione dei lavori ad Alessandro Giannoni
con la collaborazione di Elena Genovesi. L’impegno della Fondazione non si è
limitato – per l’interesse manifestato dai Presidenti che si sono succeduti,
fino all’attuale Arturo Lattanzi – a garantire la documentazione stratigrafica
delle opere diagnostiche correlate alle esigenze del restauro o dell’adeguamento
funzionale; spesso lo scavo ha assunto dimensioni e sviluppo peculiari dell’indagine
di carattere meramente scientifico, ed è stato costantemente integrato dal
rilievo degli elevati – affidato agli stessi gruppi di archeologi – quando la
correlazione con le sequenze stratigrafiche lo richiedeva. Franco Mungai e il
personale dell’Ufficio Tecnico della Fondazione sono stati sicuri interlocutori
di queste richieste, assecondandole anche in momenti particolarmente
impegnativi per il rispetto del cronoprogramma dei lavori, e hanno trovato
nelle maestranze dell’impresa Giunta Sauro di Capezzano Pianore appassionati
interpreti delle tecniche dello scavo archeologico.
[2] ASL, Diplomatico. Serviti, 1346 ottobre 12.
[3]
Biblioteca Statale di Lucca, Manoscritti,
1015, c. 51 r.
[4] minutoli 1865, passim, in particolare pp. 33 ss.; si veda la sintesi nell’Enciclopedia Dantesca, dovuta a Giorgio
Varanini (1970), facilmente accessibile all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/gentucca_%28Enciclopedia-Dantesca%29/.
[5] Infra, Parte III.
[6] ASL, Diplomatico. San Nicolao, 1306 dicembre
22.
[7] Si veda paoli 1986, pp. 216 s.; donati 2009, pp. 39 s.
[8] ASL, Diplomatico. San Romano, 1292 gennaio
31.
[9] minutoli 1865, p. 50, nota 67.
[10] savigni 2010, p. 173; per l’appartenenza di Ottobono Morla alla ‘contrada di
San Benedetto’, si veda ad esempio anche ASL, Diplomatico. Acquisto Bigazzi, 1322 giugno 22. Probabilmente
Ottobono scomparve nella pestilenza; Sighieri invece sopravvive: ASL, Diplomatico. Serviti, 1358 gennaio 12.
[11] minutoli, l.c. a nota 9.
[12] ASL, Diplomatico. Disperse, 1307 agosto 11.
[13] minutoli, l.c. a nota 9.
[14] L’arme
Fondora è «d’azzurro alla fascia d’oro»: Archivio di Stato di Firenze, Fondo Ceramelli Papiani, fasc. 5613; http://www.archiviodistato.firenze.it/ceramellipapiani2/index.php?page=Famiglia&id=3240.
[15] Si
vedano le annotazioni di paoli
1986, pp. 215 ss.
[16] Per
questo berti 1997, p. 173, con
riferimenti bibliografici; si vedano tuttavia anche le annotazioni infra, Parte III, nota 105.
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