Anamorfosi: il termine polivalente che in
zoologia indica una trasformazione repentina, e nella pittura l’effetto ottico
che rende compiutamente leggibili le immagini solo da una particolare angolazione
è già stato applicato alla storia urbana di Lucca, per sintetizzare la sequenza
di trasformazioni che ha investito il quadrante sud-occidentale della città,
dall’età romana all’Ottocento, così come è emersa dai saggi condotti fra 2013 e
2014 per la realizzazione del progetto PIUSS.
Ancor più adatto pare il termine per la
storia che hanno raccontato anni di scavo – dal 2009 al 2012 – nel cantiere del
San Luca, nella periferia orientale dell’attuale agglomerato urbano, tra l’Arancio
e San Filippo, e poi – fino ad oggi – nei depositi e nei laboratori. Ne sono
emerse vicende di mutamenti di paesaggi e di insediamenti, dapprima in un
ambiente dominato dai fiumi, poi dalle strade che ne determinano il complesso
rapporto con un polo urbano così vicino. Solo in questo ‘contesto’ – come si
sarebbe detto un tempo – è possibile trovare il ‘punto di vista’ da cui, per ‘anamorfosi’,
i singoli episodi possono ottenere pienezza di colori e di volumi.
Parte ancor più da lontano la storia delle
ricerche, con gli accordi di programma fra Regione Toscana e Ministero per i
Beni Culturali per la costruzione dei quattro nuovi poli ospedalieri della
Toscana settentrionale, nel 2005, e con l’applicazione sperimentale di una
forma di ‘archeologia di tutela’ sostanzialmente non dissimile da quella che
sarebbe stata strutturata negli articoli 95 e 96 del Decreto Legislativo 163
del 2006, e avrebbe trovato possibilità di concreta attuazione nella circolare
della Direzione Generale per le Antichità del 2012 (10/2012).
Nel 2009, quando prese avvio il cantiere
con la procedura delle opere di bonifica bellica – BOB: B(onifica) O(rdigni)
B(ellici) – erano quindi disponibili una scheda per la ‘valutazione dell’impatto
archeologico’ e una strategia di saggi diagnostici, messe a punto dalla
Cooperativa Archeologia di Firenze d’intesa con la Soprintendenza, e motivate
dai dati desumibili dai ritrovamenti del passato in aree contigue (da San
Filippo a Tempagnano) e dal reticolo della centuriazione, con il possibile
condizionamento sulle infrastrutture e sul sistema di insediamenti già
riconosciuto nella Piana di Lucca.
A dimostrazione che la realtà è di norma più
screziata di quanto possa immaginare la fantasia dell’archeologo, e che gli
algoritmi della predittività archeologica fondati su serie storiche di dati
hanno valore meramente probabilistico, furono le trivelle della BOB, con il
quadrettato di carotaggi disposto su tutta l’area del San Luca, a rivelare che
un complesso intreccio di stratificazioni e di strutture era sepolto sotto il
paesaggio di boschi planiziali di recente formazione e di prati che le
fotografie satellitari consentivano di apprezzare al margine della Via Romana,
lambito dall’espansione del suburbio di Lucca in un connubio talora straniante
di antiche corti e di nuove villette – la penultima ‘anamorfosi’ (fig. 1). I
frammenti ceramici, i relitti di murature portati in luce dalle trivelle,
minuziosamente esaminati dagli archeologi della Cooperativa Archeologia – con l’appassionata,
continua presenza di Domenico Barreca – disegnavano una mappa
straordinariamente più affascinante ed inquietante di quella che le valutazioni
formulate sulla scorta dei dati già acquisiti potevano far immaginare (fig. 2).
Ancor più efficaci furono i risultati della
serie infinita di saggi che la BOB impose per valutare se i ‘segni’
potenzialmente riconducibili a ordigni interrati erano tali, o dovuti ad altre
presenze. Ancora con Domenico Barreca, d’intesa con la direzione dei lavori, fu
messo a punto un metodo capace di contemperare le esigenze di sicurezza –
particolarmente stringenti nel caso della BOB – con quelle di salvaguardia del
patrimonio archeologico.
Le trincee diagnostiche si dilatarono
dunque, progressivamente, nell’autunno e nell’inverno 2009-2010 divennero saggi
su ampia estensione che in alcuni casi – in particolare al margine meridionale
dell’area – portarono all’esplorazione integrale dei contesti (fig. 3), con
opere agricole d’età romana distribuite su tutto il compendio; un lacus vinarius, ancora
d’età romana; una struttura con la straordinaria testimonianza di vita
contadina proposta da un ricco campionario di ceramiche databili al volgere fra
Otto- e Novecento. In alcuni settori fu motivatamente esclusa la presenza di
stratificazioni archeologiche; in altri, infine, vennero acquisiti i dati
indispensabili per progettare nuove ricerche, funzionali ad assicurare la
compatibilità fra le opere di progetto e le strutture archeologiche. Fu in
questo momento che apparve, in un sito di immagini satellitari (Bing Maps), una veduta
obliqua dell’area del San Luca in cui risaltavano i segni di un edificio
sepolto dal solo suolo agricolo, che già le trivelle avevano in parte disegnato
con i frantumi di strutture portati in superficie, e che i primi saggi stavano
ricomponendo nel suo ordito. Una vera e propria ‘anamorfosi’, possibile solo in
un momento ‘magico’ di crescita della vegetazione e con una particolare
angolazione della ripresa aerea.
Con il personale della COSAT, che stava
allestendo il cantiere – conclusa con esito positivo la BOB – e la componente
della ASL 2 di Lucca – piace ricordare il direttore pro tempore
ingegnere Oreste Tavanti e il Responsabile del Procedimento ingegnere Gabriele
Marchetti – fu progettato e affidato l’incarico di esplorazione integrale delle
stratificazioni archeologiche.
Dall’estate all’autunno del 2010, fra
ripetuti episodi di allagamento (fig. 4) e siccità estive (fig. 5), gli
archeologi della Cooperativa Archeologia – coordinati da Domenico Barreca con
Silvia Giannini – misero in luce l’intero ordito del complesso, rivelatosi una mansio d’età romana
capace di essere riconosciuta nella veduta satellitare, grazie anche al manto
protettivo di geotessile (fig. 6), che apparve edificata su un sito già
frequentato fra VIII e VI secolo a.C.; furono scavate strutture d’età medievale
quasi sovrapposte ai resti di insediamenti etruschi d’età arcaica; fu
completata l’esplorazione di un potente sedimento tardoantico. Infine, nell’arcipelago
di stratificazioni che segna, al margine nord-occidentale del San Luca, l’area
più vicina alla Via Romana, affiorò uno scarico con materiali farmaceutici d’età
contemporanea, quasi preludio all’ultima, attuale ‘anamorfosi’ dell’area del
San Luca.
Il rilievo del complesso delle strutture –
in particolare d’età romana – sovrapposto a quello degli edifici del San Luca
non segnalava criticità se non in due punti: la sovrapposizione dell’angolo
sud-occidentale del corpo centrale dell’ospedale al lacus vinarius; l’incrocio
fra la cloaca emissaria della mansio e il corridoio sotterraneo di collegamento del corpo centrale
con l’edificio destinato alle attività amministrative (cosiddetto ‘Economale’).
Nell’ambito dell’attività autorizzativa affidata dalla normativa vigente pro tempore alla
Direzione Regionale per i Beni Culturali, e nel contesto di un progetto
complessivo di valorizzazione del patrimonio archeologico dell’area del San
Luca, fu disposta la ricollocazione del lacus e del segmento di cloaca, rispettivamente al margine
sud-occidentale del complesso, in contiguità dell’eliporto e in prossimità dell’accesso
al Pronto Soccorso, e nel cortile interno. La ricollocazione fu messa in atto
fra 2011 e 2012, con cantieri affidati rispettivamente alla Cooperativa
Archeologia e all’impresa Graziano Nottoli di Lucca. Questa provvedeva infine,
con gli archeologi Alessandro Giannoni ed Elena Genovesi, nell’estate del 2011
e poi nell’anno successivo, a concludere lo scavo: il ritrovamento di un
sepolcreto dell’VIII secolo a.C. investito dal peristilio della mansio e prima ancora
nel III secolo a.C., con il singolare episodio di ‘riuso’ di un pozzetto
funerario, l’esplorazione dei relitti di un insediamento d’età ellenistica e
del pozzo che alimentava la fontana-ninfeo della mansio, segnavano
infine, nell’estate del 2012, la conclusione delle indagini archeologiche, a
quasi tre anni dalle prime attività diagnostiche.
Il progetto di valorizzazione era avviato
già nel 2010, con le attività sui materiali – affidate a Consuelo Spataro, nel
laboratorio che il Comune di Porcari mette a disposizione per l’archeologia
della Piana di Lucca, e ad Araxi Mazzoni del Centro di Restauro della
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana – che trovavano la prima
presentazione nell’autunno del 2011, con la mostra Emersioni. Il nuovo ospedale porta alla luce tremila anni
di storia della Piana di Lucca, allestita
nella Casermetta del Museo Nazionale di Villa Guinigi in Lucca. Prendeva corpo,
già nel 2012, il progetto di un percorso espositivo da allestire nella sala d’ingresso
dell’ospedale. La D’Arch Studio s.r.l., con l’architetto Luciano Lucchesi,
provvedeva alla progettazione dei contenitori e dei pannelli cui era affidata
la sintetica narrazione delle storie emerse dallo scavo, in un percorso a
ritroso nel tempo che incontra il visitatore con le testimonianze d’età
contemporanea – la ‘discarica del malato’ e le ceramiche di una casa della
campagna lucchese fra Otto- e Novecento – e lo conduce sino agli Etruschi dell’Età
del Ferro.
Anche le
pagine che seguono vogliono raccontare questa storia, senza indulgere all’erudizione,
coinvolgendo piuttosto il lettore con ampi spazi per l’illustrazione dei
materiali e per la documentazione di scavo – rilievi, fotografie – dovuta all’eccellenza
degli archeologi che hanno operato sul cantiere, in un contesto oggettivamente
difficile per la sovrapposizione della componente archeologica a quella
propriamente edile.
Il
coordinamento del Responsabile del Procedimento, ingegnere Gabriele Marchetti,
con la collaborazione dell’ingegnere Letizia Caselli, la disponibilità della
COSAT, la duttilità degli archeologi hanno permesso di non sottrarre dati alla
documentazione, senza determinare particolari problemi per il cronoprogramma
dei lavori, con le conseguenze sui costi di realizzazione. L’apparato bibliografico
è ridotto all’essenziale, e privilegia di massima materiali disponibili sulla
rete, semplicemente avviando sui motori di ricerca, come parole-chiave, i
titoli dei contributi. Altre sedi accoglieranno – ci si augura – le severe
riflessioni che impone la massa di dati emersa fra l’Arancio e San Filippo, dai
villaggi etruschi sui fiumi e dagli
edifici romani, medievali, d’età contemporanea, lungo la strada che
portava a Lucca, nel paesaggio oggi segnato – l’ultima ‘anamorfosi’ – dall’Ospedale
San Luca.
Giulio Ciampoltrini
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