La storia della fascia di
territorio al confine tra i Comuni di Porcari e Capannori, lungo il Frizzone e
il Rogio, in età medievale, moderna e contemporanea, è raccontata da una
straordinaria massa di fonti documentarie, spesso arricchite da immagini e
cartografie di altissima qualità.
L’area lacupalustre del
Lago di Sesto – che trae nome dall’Abbazia di Sesto – raggiunge la sua massima
espansione nel secolo XI. I documenti di Porcari degli anni Quaranta di questo
secolo segnalano paludi anche a nord di Paganico, con il toponimo Aqualunga. La via Francigena, infatti, non segue l’antico tracciato rettilineo
della via pubblica romana, e descrive un ampio arco proprio per evitare l’impegnativo
ambiente della palude.
A partire dal XII secolo,
per iniziativa degli abitanti del Compitese, inizia un’opera di riconquista
che, con alterne vicende di avanzata o di regresso della linea di sponda del
lago, si conclude con la bonifica degli anni Cinquanta dell’Ottocento, portando
all’attuale assetto del paesaggio. La cartografia dell’Archivio di Stato di
Lucca offre immagini di questa storia, che inizia con le ‘mappe catastali’ dei
primi del Quattrocento e arriva alle minuziose raffigurazioni del Settecento.
La storia della ricerca
archeologica nella Bonifica del Lago di Sesto o Bientina è strettamente legata
a quella della bonifica d’età granducale (anni Cinquanta dell’Ottocento), che
ancora oggi richiede continue opere di manutenzione.
Proprio in uno di questi
lavori, nel 1892, emerse il documento più spettacolare dell’età etrusca: una
tomba che impiega come contenitore cinerario un vaso di produzione ateniese con
decorazione a figure rosse (Teseo e il Minotauro), ed è provvista di un corredo
di oreficerie che ne ribadisce la datazione intorno al 470-460 a.C. Grazie al
Comune di Lucca, il complesso venne acquisito alle collezioni civiche della
città ed è oggi esposto al Museo Nazionale di Villa Guinigi.
Scavi regolari, tuttavia,
vengono condotti solo a partire dal 1981, quando si pose per la prima volta il
problema di una tutela dell’area archeologica nel suo complesso. La
Soprintendenza per i Beni Archeologici per la Toscana, dopo i saggi di
accertamento che portarono al primo ampio provvedimento di tutela (1982), si
impegnò per un decennio nelle ricerche sul sito del Chiarone, in Comune di
Capannori, che testimonia tutta la storia antica di questo territorio, dal 700
a.C. al 250 circa d.C. I materiali sono esposti al Museo Nazionale di Villa
Guinigi.
Le aree archeologiche di
Fossa Nera, in Comune di Porcari, furono individuate nelle ricognizione
condotte negli anni Settanta ed Ottanta del Novecento. La ricerca fu mirata
alle sponde dell’antico percorso dell’Auser,
perfettamente leggibile in una marcata depressione spesso allagata.
Lo scavo, finanziato dal
Comune di Porcari, ha portato alla luce un complesso produttivo eretto nel II
secolo a.C. e più volte ristrutturato, fino all’abbandono intorno al 250 d.C. L’edificio
era stato fondato in un’area già occupata dagli Etruschi nel V secolo a.C.
Il complesso di Fossa Nera
A è un esempio ‘da manuale’ di domus
(casa) adattata alle esigenze della vita agricola. Dall’ingresso (fauces) si accede ad un’area scoperta
centrale (atrium) che prospetta il ‘cuore’
della vita di relazione dell’abitazione (tablinum)
e gli ambienti residenziali (cubicula).
Un ambiente è dotato di una particolare pavimentazione che lo rende disponibile
all’attività di vinificazione (calcatorium
e lacus). Il complesso disposto a sud
del corpo centrale riusale ad una ristrutturazione d’età imperiale ed aveva
destinazione produttiva – forse come ‘magazzino’ – o a deposito di attrezzi
agricoli e bestiame
L’attività di ricognizione
e di recupero condotta a Fossa Nera da Augusto Andreotti ha permesso di
recuperare, in scarichi di terreno rimossi nel corso degli anni Settanta del
Novecento, una massa di materiali che ha consentito di ricostruire il ‘volto’
di un insediamento fiorito intorno al 1200 a.C.
Prima ancora del sistema
di insediamenti etrusco, vissuto con fasi alterne dal 750 al 450 a.C., le
sponde dei rami sepolti dell’Auser avevano visto già intorno al 1500 a.C. la
formazione di abitati ben strutturati, entro aree assistite da fossati, come
hanno rivelato gli scavi condotti nel 1995 durante la realizzazione del
metanodotto nella località del Palazzaccio, sulla destra del Rogio, in Comune
di Capannori.
L’abitato detto ‘di Fossa
Nera’ è strettamente legato alla cultura detta ‘terramaricola’ della Pianura
Padana occidentale. Si può addirittura supporre che sia stato fondatro da ‘coloni’
provenienti da questo distretto. Ceramiche, bronzi, ambre tratteggiano – nella
perdita di tutti i dati stratigrafici – la vita di una comunità attiva sulle
vie che dalla Toscana raggiungono l’Emilia, e che scompare nella drammataica ‘crisi
del 1200 a.C.’.
Il complesso di Fossa Nera
B è il vero e proprio ‘gemello’ di Fossa Nera A, costruito sull’opposta riva
dell’Auser: Lo scavo fu voluto e
finanziato dal Comune di Porcari e dalla Provincia di Lucca, e si concluse nel
2006 con un’impegnativa opera di consolidamento delle strutture messe in luce.
Come per Fossa Nera A, la
storia di Fossa Nera B inizia con la fondazione negli anni della deduzione
della colonia di diritto ‘latino’ di Lucca, nel 180 a.C., e si esaurisce con le
effimere rioccupazioni del III secolo d.C.
Il cuore dell’edificio è
ancora una volta una tipica domus
tardorepubblicana, riconoscibile anche sotto la ristrutturazione del I secolo
d.C. quando venne anche provvista di adeguate pavimentazioni. La presenza di un
angusto vano probabilmente occupato da una scala dovrebbe confermare – assieme
allo spessore delle pareti – la presenza di un piano sopraelevato. Gli ambienti
residenziali sono integrati in un circuito produttivo che occupa l’intero
settore meridionale, con strutture per la vinificazione, la produzione del
formaggio e forse dell’olio (con un torcular),
disposte intorno ad un vasto cortile, cui si accede da un portone.
L’area residenziale di
Fossa Nera B, composta da ambienti in cui è possibile riconoscere il tablinum, posto in asse con l’atrium, una serie di cubicula e – forse – la cucina, ha
conservato lembi di pavimentazioni che testimoniano l’adattamento ad un
edificio rurale delle tipologie tipiche degli edifici di tono ‘medio’.
In particolare, la
pavimentazione in terra battuta dell’atrium,
con scaglie e ciottoli policromi disposti secondo un ordito irregolare, emula i
pavimenti in tessellato (mosaico) o in battuto cementizio con inserti lapidei
policromi, che sono conosciuti anche in edifici urbani di Lucca, e sono in uso
dagli inizi del I secolo a.C. fino all’avanzato I secolo d.C.
Una particolare tipologia
di pavimentazione è quella detta ‘a commesso laterizio’, che nelle
realizzazioni canoniche vede l’impiego di ‘mattonelle’ fittili, di forma
geometrica regolare (di solito rombi o esagoni). A Fossa Nera B l’estesa
pavimentazione in laterizi – che è stata interrata per esigenze di
conservazione – composta da frammenti di tegole, opportunamente ritagliate in ‘tessere’
di forma quadrangolare, come accade anche in altri contesti rurali, realizza il
‘commesso laterizio’ con materiale ottenuto da macerie.
Il Decreto Ministeriale
del 3 giugno 1997 che incluse l’area archeologica dell’ex lago di
Bientina/Sesto fra le “zone archeologiche” tutelate nella doppia valenza,
archeologica e paesaggistica, è uno strumento di salvaguardia per la piana –
compresa fra il Monte Pisano, le Cerbaie, l’Autostrada Firenze-Mare – che
conserva estesi lembi della rete di paleoalvei del ramo di sinistra dell’Auser/Serchio. La millenaria ‘protezione’
assicurata dalle acque del lago ha permesso a queste testimonianze del
paesaggio di giungere sino ai nostri giorni in eccellente stato di
conservazione.
Fotografie aeree e
satellitari e lo stesso profilo del terreno, con le accentuate depressioni
corrispondenti agli alvei fluviali – spesso soggette ad allagamenti –
ricompongono infatti il tracciato dell’Auser
in età etrusca e romana, prima che le crisi ecologiche dellaTarda Antichità
e dell’Alto Medioevo portassero alla formazione del lago, con il caratteristico
aspetto palustre ai margini.
Sulle rive del fiume, per
più di un millennio, fiorirono insediamenti che sono una preziosa testimonianza
della vita rurale d’età etrusca e romana nella Toscana nord-occidentale.
Assieme ai resti degli abitati sono conservate anche strutture del paesaggio,
come la via etrusca del Botronchio di Orentano, realizzata con un terrapieno e
palificazioni.
Dopo che più di un
trentennio di scavi – dai primi saggi del 1981 alle indagini del 2012-3 nel
Botronchio – ha permesso di ritrovare molte pagine di queste storie sepolte, lo
strumento di tutela si propone lo scopo di conservare i resti del paesaggio
antico, nell’intreccio fra insediamenti, manufatti stradali e alvei fluviali, all’interno
di ambiente strutturato dalla bonifica del XVIII e del XIX secolo. Boschi
planiziali di rinnovata vitalità e aree soggette ad impaludamento stagionale,
che ospitano flora e fauna sempre più vivaci, completano un paesaggio in cui
convivono i segni di quasi tremila anni di storia di una pianura interna della
Toscana settentrionale.
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