Giorno d'inverno, inizio d'anno, per ritornare al mare del Portus Cosanus, la volta innumere, ma giorni infiniti dopo l'ultima volta. Ritrovare il suono delle onde di libeccio e le grida di gabbiani, un cormorano audace, le pilae che dai giorni di Augusto sfidano il mare, e i navalia, di nuovo denudati dal mare che li rigenera e li seppellisce, di sabbia e di plastica. Il silenzio rumoroso dei giorni di gennaio, sul mare che ritrova i versi di Rutilio, desolazione e macerie.
Omaggio a Beppe e Renzo, e ai loro compagni dell'autunno dell''83, quando il giovane archeologo visti i ruderi desolati ne volle far scienza, come si diceva allora, e sgombrati i segni dei traffici dell'Ottocento, prima di Puccini e nei suoi giorni, macerie con bolli carbone e moneta di Vittorio Emanuele, conobbe le vasche ritagliate sul tessellatum bianco, e immaginò che avessero visto Rutilio. E di nuovo due anni dopo, e poi ancora, a cercare gli anni del V secolo, trovarli nelle sigillate e nelle anfore d'Africa e d'Italia e nelle pentole d'Oriente; il Mediterraneo dei tempi teodosiani, e dei suoi figli, riflesso nelle terre che trasformavano l'opera di Adriano, la villa maritima mirabile ritrovata nell'Ottocento nelle magnificazioni del Marcelliani.
E Beppe e Renzo, e i loro compagni, venuti da Roselle e temprati non dagli anni tre più due e qualcosa ancora di studi, ma dal cantiere di Roselle, la grande fabbrica dei sogni dei Due Soprintendenti, a ricucire intonaci e tessellati, rinsaldar muri, e poi con gli amici di Murci, gente di muro prestata ai segni del passato.
Trent'anni, l'erbe succulente son di nuovo effimere signore delle vasche che forse vide Rutilio, certo conobbero i marinai del Tirreno per due secoli, e l'opera di Beppe e Renzo e dei loro compagni che poco sapevano di metodo, molto d'impastar calce, come il giovane archeologo oggi vecchio poco di metodi e molto di passione, sfida erbe succulente e il suono del libeccio.
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