La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico
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venerdì 15 giugno 2012
Le Acque e il Vino. L'avventura di uno scavo (La Scafa di Pontedera, 2010-2011)
Quando gli escavatori iniziarono a tracciare le trincee che dovevano accogliere il sistema di tubature previsto dal progetto di Acque S.p.A. per collegare in rete i pozzi aperti nell’area del Ponte alla Navetta di Pontedera che è indicata, nella cartografia, con il toponimo La Scafa (fig. 1), sarebbe stato difficile prevedere che le strutture e le stratificazioni archeologiche che sarebbero venute in luce avrebbero imposto, di lì a qualche mese, di rivedere molte delle pagine che la ricerca archeologica aveva fatto scrivere sulla storia del Valdarno Inferiore d’età romana e medievale.
Nell’ottobre del 2010, appena iniziato lo scavo, subito un ritrovamento, grazie alla strategia di tutela richiesta dalla Soprintendenza, con disposizioni puntualmente recepite, e alla conseguente costante presenza sul cantiere di un’archeologa, per intervenire con tempestività quando lo sterro dovesse trasformarsi in scavo archeologico: relitti di strutture nei quali fu immediato riconoscere un lacus vinarius d’età romana. Le indagini al Tosso di Capannori, condotte fra 2002 e 2003, mettevano a disposizione un modello perfetto per integrare e rendere leggibile ciò che del complesso romano era sopravvissuto alla sequenza di sedimentazioni ed erosioni con le quali l’Arno modellò le sue sponde, fino alla risolutiva regimazione conseguita negli anni Sessanta del Cinquecento, per volere di Cosimo I, incanalando l’Usciana e rettificando il corso del fiume con il taglio che avrebbe fatto slittare Calcinaia dalla sinistra alla destra del fiume, e avrebbe privato Bientina del ruolo che da millenni svolgeva su una grande ansa.
Il piovosissimo autunno del 2010 si fece sentire, imponendo una lunga sospensione dei lavori in questo settore, mentre a ridosso della strada che da Pontedera porta al nuovo e vecchio Ponte alla Navetta le complesse vicende di questo punto di attraversamento dell’Arno (fig. 2) si manifestavano in un tratto di via di ghiaia che doveva aver preceduto quello ancora registrato nelle cartografie ottocentesche: la strada della Scafa, sostituita nel sistema stradale rimodulato dal ponte ottocentesco.
Nel maggio 2011, con la ripresa e la fase conclusiva dei lavori, il lacus fu finalmente messo in luce, e, grazie alla coinvolgente passione di Sara Alberigi – l’archeologa incaricata da Acque S.p.A. (fig. 3) – fu possibile estendere il saggio anche oltre i limiti strettamente indispensabili per assicurare la compatibilità fra l’opera pubblica e la salvaguardia del dato archeologico.
La prosecuzione dello scavo della trincea, subito a nord-ovest dell’area del lacus, offrì nuove sorprese.
In effetti, i dati già disponibili sul Valdarno Inferiore lasciavano intuire che i potenti sedimenti che spesso rendono inaccessibili queste pianure alla ricerca di superficie sigillano il fitto sistema di insediamenti romani che si distribuiva nella griglia tracciata dai limites (le ‘vie di bonifica’) della centuriazione d’età augustea, ricostruita con certezza fra Arno ed Era sulla sinistra dell’affluente, nel territorio di Pisa – la colonia Iulia Opsequens Pisana che accolse tra il 41 e il 27 a.C., come le altre città dell’Etruria settentrionale, da Lucca a Firenze, i veterani delle guerre civili – ed ipotizzata sulla destra dell’Era per i relitti di limites leggibili fra il Romito e il territorio di Ponsacco, entro i quali ricadeva anche la piccola necropoli del I secolo d.C. intercettata alle Pescine di Treggiaia, nel 2004, dai lavori per la variante dei Fabbri della S.P. delle Colline. D’altro canto, la viticoltura e gli impianti per la vinificazione sono un tratto consueto di questo tessuto di insediamenti rurali, come suggeriva da tempo il lacus ritrovato sotto la pieve di Santa Giulia di Caprona, e – in un contesto certificato dal dato stratigrafico – l’impianto messo in luce fra il 1999 e il 2000 con lo scavo di Sant’Ippolito di Anniano, nel vicino territorio di Santa Maria a Monte.
Il Vino: la prima immagine delle storie sepolte alla Scafa.
Se i resti dell’insediamento rurale d’età romana della Scafa si incasellavano agevolmente nella scacchiera degli agri centuriati già ricomposta, del tutto inattesa ne era, invece, la rioccupazione nei primi secoli del Medioevo.
Quando Sara riuscì a cogliere, sotto il dente dell’escavatore, le tracce di una inumazione, il braccialetto (armilla, nella terminologia archeologica) in bronzo che la defunta conservava al braccio ne dichiarò immediatamente la cronologia: partendo dai ruderi dell’edificio d’età romana erano state tracciate le ‘righe’ lungo le quali, fra l’avanzato VI e il VII secolo, una piccola comunità aveva deposto i suoi defunti.
Iniziava lo scavo vero e proprio, intrecciando le esigenze di mettere in opera le tubature di progetto e l’opportunità di documentare adeguatamente una fase storica sin qui pressoché sconosciuta nel Valdarno Inferiore.
Grazie alla capacità organizzativa dell’archeologa, assecondata dall’impegno delle maestranze dell’impresa Fegatilli e dalla disponibilità assicurata da Acque S.p.A. e dai responsabili del cantiere, venivano progressivamente esplorati, fra giugno e luglio, un significativo tratto del sepolcreto e altri resti dell’edificio romano, con le sue complesse vicende che si intrecciavano a quelle del lacus. Le dotazioni di alcune delle deposizione indagate (dieci in tutto) ne confermavano la datazione alla prima metà del VII secolo; infine, nel Basso Medioevo, fra XI e XIII secolo, di nuovo questo lembo di riva dell’Arno aveva accolto un abitato, seppur riconoscibile solo per gli scarichi finiti nel reticolato di canalizzazioni che aveva inciso la necropoli.
Una storia complessa, alla cui radice la suggestione dell’archeologo vuol porre la peculiare posizione del sito, nel crocevia dei fiumi che formano la rete di acque che innerva il Valdarno Inferiore: l’Arno, l’Era, l’Usciana, che nei rettilinei della bonifica medicea ha cancellato i meandri che ne testimoniavano – con l’idronimo perduto già nell’Alto Medioevo, l’etrusco Arme – assai più efficacemente di quanto non sia oggi possibile il ruolo di terminale del sistema fluviale della Valdinievole e del territorio pesciatino; infine, il quarto dei fiumi che percorrono questo territorio, la ‘Terra dei Quattro Fiumi’, come chi scrive ha proposto di definirla: il ramo di sinistra dell’Auser-Serchio che ancora nell’Ottocento, con gli emissari dei laghi nei quali il fiume si impaludava dall’Alto Medioevo, raggiungeva Bientina, ed oggi sottopassa l’Arno con la Botte voluta per l’ultima, risolutiva bonifica dal Granducato, alla vigilia dell’Unità d’Italia.
Le Acque, dunque, non solo in omaggio alla società dai cui investimenti è nata la ricerca.
Sono proprio le peculiari vicende del sito della Scafa nell’Alto Medioevo a suggerire, infatti, che già in questi secoli il sito avesse occupato il ruolo di punto di attraversamento del fiume da cui trae il nome, e che forse aveva già in età romana, quando la via che da Pisa portava a Firenze, tracciata nel corso del II secolo a.C. sulla sinistra del fiume, doveva biforcarsi con un ramo che seguiva l’Arno attestandosi anche sulla destra; il controllo di questo punto di attraversamento, con le complesse interazioni fra Pisa e Lucca che traspaiono dalla tormentata vicenda dei confini delle due città nell’Alto Medioevo, è la ragione più suggestiva della peculiare vicenda che le trincee di Acque S.p.A. hanno fatto scoprire.
Grazie all’invito di Elisa Possenti, e all’impegno del personale tutto del Centro di Restauro della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana (in particolare di Marcello Miccio per le indagini preliminari, di Araxi Mazzoni per le ceramiche, di Stefano Sarri per i materiali in ferro, di Daniela Gnesin per i bronzi, con Cinzia Innocenti come costante punto di riferimento), è stato possibile già nel settembre 2011 presentare i dati essenziali della necropoli altomedievale al convegno di Trento dedicato appunto alle Necropoli longobarde in Italia, suscitando anche l’interesse della stampa locale che – in particolare Mario Mannucci, con lo speciale dedicato all’evento sulle pagine di Pontedera della Nazione del 7 ottobre (fig. 4) – ha seguito con continuità lo sviluppo della ricerca.
Infine, proprio nelle ultime giornate di lavoro, il ritrovamento di testimonianze delle opere di bonifica agraria dell’Ottocento, con i resti di un ponticello costruito nella splendida tecnica laterizia che qualifica le eleganti opere pubbliche del Neoclassico di questo lembo di Toscana, quasi a coronare una ‘storia archeologica’ che va dall’età romana all’Alto Medioevo, alle vicissitudini dell’insediamento sparso dei secoli centrali del Medioevo che sulle sponde dell’Arno si esaurì solo nel Duecento, con la nascita delle ‘terre nuove’, come, appunto, Pontedera; infine, gli aspetti del paesaggio d’età medievale e contemporanea.
È stato forse l’entusiasmo che, dopo trent’anni e più di attività nella Soprintendenza, chi scrive ancora riesce a cogliere, condividendolo, nelle nuove generazioni di archeologi che nella terra sanno percepire ogni sfumatura di colore, a imporre di dare una tempestiva presentazione delle storie che la pianura a nord-est di Pontedera ha raccontato fra l’autunno del 2010 e la tarda estate del 2011.
Come già lo scavo, Acque S.p.A. ha assecondato anche questo ultimo momento del percorso, contribuendo in maniera risolutiva alla pubblicazione; ma queste pagine nascono essenzialmente dalla passione di chi cerca nella terra, nel fango dell’inverno o sotto il sole dell’estate, le storie di uomini e di paesaggi che i documenti non ci raccontano.
Giulio Ciampoltrini
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