La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

martedì 10 novembre 2009

Nostalgie di primavere 'romane': Marziale a Massaciuccoli




Giulio Ciampoltrini

La villa: gli ‘ozi scomodi’ dei Venulei

Daphnonas, platanonas et aerios pityonas
Et non unius balnea solus habes,
Et tibi centenis stat porticus alta columnis,
Calcatusque tuo sub pede lucet onyx,
Pulvereumque fugax hippodromon ungula plaudit,
Et pereuntis aquae fluctus ubique sonat;
Atria longa patent. Sed nec cenantibus usquam
Nec somno locus est. Quam bene non habitas!

Un epigramma di Marziale (XII, 50) è la miglior guida ai resti della villa che si dispone sul fianco del terrazzo in cui sorge l’antica pieve di Massaciuccoli: «Possiedi boschi d’alloro, di platani, di pini, e bagni adeguati non certo ad una sola persona, e per te s’innalza un portico di cento colonne, e sotto i tuoi piedi splende l’alabastro, e l’unghia fuggitiva fa risuonare un polveroso ippodromo, e dovunque scroscia acqua corrente; si aprono atri immensi. Ma non c’è posto per mangiare o per dormire. Come vivi male!».
Se Antonio Minto, nell’ancor fondamentale edizione del monumento sottolineava «la mancanza di tracce sicure ed evidenti della villa stessa», interrogandosi sul ruolo del complesso, Marziale offre una risposta assai più vivace di quelle avanzata di recente rivalutando i dati degli scavi settecenteschi nell’area della pieve. Nella straordinaria tela – oggi al Museo Nazionale di Villa Guinigi in Lucca – in cui si vollero eternare, a grandezza naturale, gli oggetti ritrovati nel 1756 e lo scavo stesso, è possibile riconoscere i resti di ambienti riconducibili alle pratiche della villa quotidiana, nel contesto sontuoso oggi apprezzabile dalla qualità delle pavimentazioni in opus sectile e in mosaico; nelle dotazioni di terrecotte architettoniche; nell’apparato decorativo che comprendeva anche statue imperiali. La presenza di ambienti di servizio, qualificati dalle pavimentazioni in laterizio (opus spicatum) incontrate dal Settecento al Novecento, nei saggi condotti a varie riprese, sembra indicativa del carattere ‘funzionale’ dell’area.
La datazione di questo settore del complesso in un arco di tempo compreso fra gli ultimi di Augusto e quelli di Claudio (10-40/50 d.C.) apre anche una finestra sulla storia della villa di Massaciuccoli, scandita fin dalla fondazione in due corpi di fabbrica, distribuiti su due terrazze; l’inferiore, come indicano concordemente tecniche edilizie, tipologie architettoniche, le dotazioni, e – infine – i saggi eseguiti a più riprese, da ultimo nel 1991 – raggiunse l’aspetto attuale con l’impianto che in età tardoneroniana o flavia (60-90 d.C.) seppellì le strutture della prima fase, per subire in seguito gli adeguamenti leggibili soprattutto negli elevati.
È dunque negli anni di Marziale che, con una finissima tecnica del laterizio, memore delle esperienze maturate nei cantieri di Roma che in area regionale trovano stringenti analogie solo nelle terme pubbliche di Pisa, viene eretto il movimentato complesso della terrazza inferiore di Massaciuccoli, monumentale attestazione degli ‘ozi scomodi’ oggetto della garbata ironia di Marziale.
Oggi, forse, l’oliveto che abbraccia i ruderi può dare solo una pallida immagine dai boschi in cui si intrecciano allori, platani, pini, ma il settore termale della villa di Massaciuccoli risponde in pieno alle esigenze dell’anonimo destinatario dei versi di Marziale.
Il quadrante occidentale del complesso, infatti – in buona parte perduto – prevede, secondo il percorso ‘canonico’ delle terme, una latrina (ambiente Q), provvista di cloaca per lo smaltimento dei liquami, distinta da un corridoio (N) dall’ambiente R (riscaldato dal contiguo praefurnium, anche con la caldaia di cui furono riconosciute le tracce nei saggi 1991). Questo è il primo vano dell’area termale – fortemente lacunosa – la cui imponenza oggi si palesa soprattutto nella vasta sudatio Z: una vera e propria sauna, grazie al pavimento alloggiato su suspensurae formate da poderosi pilastrini, capace di diffondere senza perdite il calore prodotto dalla caldaia posta quasi al centro del vano. La lastra di piombo alloggiata nel pavimento, riconosciuta negli scavi del 1770, contribuiva ad innalzare la temperatura dell’ambiente e a favorire l’evaporazione dell’acqua gettata sul pavimento di marmo. L’ambiente è apparentabile al cosiddetto heliocaminus di Villa Adriana, in una seriazione tipologica che comprende anche il vano 1 delle terme della villa di Domiziano a Sabaudia, e la villa di Bocca di Magra.
Il portici e i colonnati, l’ippodromo, non sono attestati a Massaciuccoli. Delle pavimentazioni in opus sectile che dotavano gli ambienti di rappresentanza della villa – visti nel Settecento e in minimi avanzi ancora dal Minto – non restano ormai che le tracce nella base cementizia che accoglieva il ‘lucente onyx’, ma lo scrosciare della acque era elemento essenziale della vita nella villa, il cui ‘cuore’ – almeno nella fase della costruzione – è stato riconosciuto nel ‘triclinio-ninfeo’ formato dal vano absidato H (il triclinio) e dalla grande vasca I, in cui l’acqua scendeva a cascata dalle cisterne inglobate nella sostruzione del corpo superiore della villa: elemento fluttuante, scintillante, sonoro, del prospetto architettonico esaltato dalle nicchie e dalle sculture che queste incorniciavano, e dilatato da ambienti laterali (O, F), originariamente aperti.
Il ‘triclinio-ninfeo’ H-I, presto forse ridotto a un mero frigidarium del complesso termale, nell’impianto originale immette nel settore termale, a ovest, con il corridoio N e attraverso il vano X (forse ambiente conclusivo del circuito dei balneum); dà accesso ad un vano ‘riservato’ (Y), con movimentate pareti convesse, forse con un ruolo ‘stagionale’, grazie al riscaldamento assicurato dall’aderenza alla sudatio Z.
Infine, a est si apre in una serie di ambienti di non facile definizione (A, B), probabilmente con il ruolo di ‘accoglienza’ e di rappresentanza cui erano consone anche le (perdute) pavimentazioni marmoree e musive. Sono forse questi l’equivalente degli atria longa di Marziale, aperti dapprima all’esterno, sul lato orientale del complesso, divenuti poi anche punto d’arrivo della scalinata monumentale (D) costruita per il collegamento con la terrazza superiore.
I due nuclei del complesso (le terme, non unius balnea; il ‘triclinio-ninfeo’ con i relativi annessi, che dilatano a tutto l’edificio la scenografia e il suono delle acque: Et pereuntis aquae fluctus ubique sonat) sono assistiti da strutture di servizio, indispensabili per assicurare l’alimentazione del riscaldamento, o l’andirivieni dei servi (U, V, G ?).
Il locus ... cenantibus o somno, come si è detto, dovrà essere cercato nella terrazza superiore: la scalinata P, che consentiva un accesso autonomo alla latrina Q e alle terme, e la poderosa sostruzione a pianta ellittica che tuttora forma il lato occidentale della terrazza superiore, sono un eloquente indice, assieme ai dati dello scavo 1756, del tono che anche questo settore della villa doveva avere.
È evidente tuttavia che non è quello residenziale il vero scopo della villa di Massaciuccoli, come non lo era per l’interlocutore di Marziale. La ‘rappresentanza’ è la vera destinazione dell’edificio, l’accoglienza dei pari grado del proprietario, in una cornice monumentale che esalti la vita di relazione – tanto con le terme che con il ‘triclinio-ninfeo’ – in un contesto in cui il soggiorno può anche essere breve.
L’identikit dei proprietari di Massaciuccoli si arricchisce di particolari: una grande famiglia, che fra gli ultimi anni di Nerone e quelli flavi trasferisce nell’ager Pisanus tecniche (il laterizio) e tipi architettonici (lo pseudo-heliocaminus, il ‘triclio-ninfeo’) dell’Urbe, in una sontuosità di realizzazione esaltata dalle dotazioni di marmi per pavimenti e rivestimenti, e dagli arredi scultorei. Il frammento – oggi al Museo Archeologico Nazionale di Firenze – della fistula in piombo ritrovata nel 1770, con la siglato L∙L∙VENULEIOR∙/ MONT∙ET∙APRON∙ potrebbe dunque non darci solo il nome dei proprietari dell’officina in cui furono fuse e preparate le condutture per l’apparato idrico della villa, ma anche il nome dei proprietari.
L. Venuleius Montanus e L. Venuleius Apronianus – rispettivamente padre e figlio – sono noti anche da una dedica alla Dea Bona dal territorio di San Miniato, oltre che da un sottile, ma solido corpus di documenti epigrafici: il primo è proconsole di Ponto e Bitinia sotto Nerone, il secondo consacra l’ascesa sociale della famiglia, ottenendo il consolato nel 92; suo figlio (naturale o adottivo) è L. Venuleius Apronianus Octavius Priscus, console ordinario nel 123, suo nipote – verosimilmente – l’omonimo console nel 168, con cui la famiglia si estingue, o, comunque, scompare.
La storia della villa di Massaciuccoli potrebbe dunque essere letta sullo sfondo dell’ascesa della famiglia, dalla natia Pisa ai fastigi della grande aristocrazia senatoria: la fondazione con il Montanus, all’inizio della carriera senatoria, nell’età claudia; l’esaltazione del ruolo della famiglia, in un sito forse appartato, ma contiguo ai crocevia stradali e marittimi del Tirreno settentrionale, con la costruzione del complesso monumentale negli anni in cui Montanus seguiva i primi passi della carriera del figlio, presentandolo a Massaciuccoli, come probabilmente a Pisa con la costruzione delle terme pubbliche, o nel territorio con una dedica ad una divinità importante nella vita agricola: sono gli anni fra il 70 e l’80 in cui dovrebbe ricadere agevolmente la fondazione di un monumento che esprime, come tradisce l’epigramma di Marziale, la ricerca di edifici immersi nel verde, in spazi dilatati, ideali come sfondo architettonico della celebrazione di una famiglia in piena ascesa: gli ozi di Massaciuccoli.

Bibliografia
A. Minto, Le terme romane di Massaciuccoli, Monumenti Antichi dell’Accademia dei Lincei, 37, 1922, colonne 405 ss.
G. Ciampoltrini, Gli ozi dei Venulei. Considerazioni sulle ‘Terme’ di Massaciuccoli, Prospettiva, 73-74, 1994, pp. 119 ss.

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