Quando chi scrive intervenne all’apertura del Convegno,
il 23 ottobre 2015, per portare i saluti del Soprintendente, sintetizzare l’attività
svolta negli ultimi decenni dall’istituzione che stava rappresentando,
rassicurare sul futuro impegno per la tutela ma anche nel concorso alla
valorizzazione del patrimonio epigrafico d’età romana della Toscana, certo
non immaginava che di lì a poco la Soprintendenza da ultimo denominata Archeologia
della Toscana sarebbe stata dissolta in quattro sezioni di altrettante
istituzioni pluriprovinciali, preposte alla tutela ‘olistica’ – come
dichiarano i fautori dell’innovazione - del patrimonio culturale, e che le
parole da affidare alle pagine degli atti avrebbero dovuto prendere piuttosto
i toni dell’epicedio.
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Mentre si stendono queste righe, in effetti (fine
febbraio 2016), si è in attesa della pubblicazione formale del decreto
ministeriale che pone fine a più di un secolo di vita dell’istituzione che a
Firenze aveva ereditato il ruolo degli antiquari granducali del Settecento e
della prima metà dell’ottocento, e che grazie all’intimo, intrinseco rapporto
fra museo e ‘attività di tutela’ aveva condotto, negli anni Venti del Novecento,
all’akme della ‘valorizzazione’ del patrimonio epigrafico raccolto in
età medicea e lorenese.
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L’impegno profuso dal Soprintendente Antonio Minto per
presentarlo nella Terrazza delle iscrizioni, appositamente realizzata sopra
il lunghissimo corridoio che ospitava il Museo Topografico, apriva, negli
articolati spazi del Museo Archeologico di Firenze, un dialogo a più voci fra
la Terrazza stessa, il retrostante Corridoio, detto delle Anfore, ma che
assieme a queste accoglieva anche urne etrusche e romane, il Giardino, in cui
statue, rilievi, iscrizioni si alternavano con le ricostruite tombe etrusche.
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Nei severi anni Settanta del Novecento la costruzione
del Minto - come molto del suo pensiero - poteva apparire attardata in cifre
antiquariali, ma consentiva almeno un’esauriente leggibilità di un patrimonio
epigrafico che si apriva sul mondo romano dall’Urbe e dall’Etruria sino all’Africa
e all’Oriente - con le iscrizioni greche - ed era specchio ancora efficace
dalla vastità degli interessi collezionistici d’età granducale.
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Il dramma dell’alluvione del novembre 1966 aveva reso
critica la stabilità del complesso, e quando, per volontà ed impegno del
Soprintendente Francesco Nicosia, si pose mano al drastico rinnovamento del
Museo, la sorte del lapidario granducale, nella veste ‘tagliata’ dal Minto,
era segnata. Nei progetti museali degli anni Ottanta, fortemente condizionati
da una oggi svanita centralità dell’archeologia d’età etrusca, le collezioni
epigrafiche d’età romana non erano certo al centro dell’interesse.
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Tuttavia, il sacrificio della Terrazza e la
trasformazione del Corridoio potevano avere una motivazione: con una
tempestività che allora non era avvertita, ma oggi sembra irraggiungibile, già
nel 1985 gli spazi dell’antico Topografico, esaltati dalla luce e dilatati
nel progetto di Bruno Pacciani, erano agibili per la mostra centrale (Civiltà
degli Etruschi) dell’Anno degli Etruschi, e all’inizio del
decennio successivo (1993) vi si poteva progettare e infine allestire un
percorso espositivo che preludeva, nell’intenzione di chi lo aveva allestito,
alla palingenesi del Museo Topografico.
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Effimere illusioni, se già nel 1997 lo si smantellava in
attesa di nuovi e più strutturati progetti, ora affidati al Polo Museale
della Toscana, nella cui competenza i musei archeologici sono transitati o
stanno transitando con il susseguirsi di rimodulazioni dell’organigramma
ministeriale. Al Polo è deputata, di conseguenza, anche la responsabilità di
restituire la luce al patrimonio epigrafico mediceo e d’età lorenese
acquisito dal Museo Archeologico grazie al sogno di Antonio Minto, e
confinato ai depositi, seppure dopo un’attenta opera di restauro e catalogazione,
che ne ha reso possibile l’estesa presentazione nei Supplementa Italica.
Imagines. Supplementi fotografici ai volumi italiani del CIL.
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Isolate, seppure talora brillanti, erano le iniziative
di valorizzazione del patrimonio epigrafico del museo fiorentino: si può
segnalare l’esposizione degli Elogia Arretina, nel 2000, voluta dalla
passione di Anna Rastrelli e della compianta Antonella Romualdi, che avrebbe
dato prova del suo interesse per la componente epigrafica delle collezioni
granducali nell’intensa attività di curatela delle ‘antichità’ degli Uffizi.
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Decisamente più sistematica la campagna di catalogazione
del patrimonio epigrafico del territorio, fruttuosa soprattutto per le
collezioni private fiorentine (ancora un progetto voluto e realizzato da
Antonella Romualdi), e la puntuale attività di tutela formale delle
iscrizioni emerse dal sottosuolo o, talora, da luoghi di conservazione
rimasti inaccessibili. non solo per indulgenza autobiografica, si deve
segnalare il caso del monumento funerario dei Titii fiorentini (CIL,
XI 1614), riconosciuto nel 2005, dopo un più che secolare oblio, prontamente
tutelato - e proposto all’attenzione degli studi.
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Nel frattempo, tuttavia, con la capillare presenza sul
territorio che ne ha caratterizzato costantemente l’attività - nonostante la ‘sede
unica’ in Firenze - la Soprintendenza concorreva affinché i musei del
territorio, rinnovati o ampliati fra gli anni novanta e i primi del
millennio, dessero adeguato spazio al patrimonio epigrafico, non più nella
forma di lapidario, ma come segmento dell’itinerario archeologico nella
storia del territorio in età romana. Ne sono testimoni, ad esempio, il Museo
Archeologico e d’Arte della Maremma, in Grosseto, con l’organica
prseentazione dei complessi epigrafici della valle dell’Albegna, fra i quali
spicca la Tabula Hebana, e di Roselle - questi contemporaneamente
editi da Stefano Conti nei Supplementa Italica - o, in misura minore,
la sezione archeologica del Museo nazionale di Villa Guinigi in Lucca.
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Dalla catalogazione e dalla presenza sul territorio
scaturisce il contributo che la Soprintendenza ha dato al progresso del
progetto EdR, o a lavori monumentali come quello che hanno appena consegnato
alle stampe Emanuela Paribeni e Simonetta Segenni sulle Notae
lapicidinarum del territorio di Carrara, esempio eccellente del connubio
fra ‘tutela’, ‘ricerca’, ‘valorizzazione’. Sono questi termini che oggi si
vorrebbe scindere in competenze diverse, quando sembrano, piuttosto, solo
definire momenti distinti del processo di conoscenza che nelle giornate del
convegno fiorentino dell’ottobre 2015 si è manifestato in riflessioni sull’attività
svolta e, come è nella natura della scienza, in spunti per nuove indagini.
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La sostanziale estinzione di organici progetti di
ricerca, quale quello dispiegato, non senza mende, ma proficuamente, a
Roselle - per rimanere nella Toscana - compromette la disponibilità di
nuovi materiali epigrafici, ma la crescente conoscenza della rete di
insediamenti e di traffici pone, a chi voglia indagare il mondo antico nella
sua completezza (un’indagine ‘olistica’), nuove occasioni di rileggere
iscrizioni note da secoli, come nelle giornate del Convegno si è dimostrato.
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