Un anno passato (anche) a ricucir intrecci di croci e cerchi che s'incorniciano di tralci e infine nastri, puri nastri e foglie che sono frecce, per un anno di Segni dell'Auser.
La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico
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domenica 30 dicembre 2012
venerdì 28 dicembre 2012
Un tremisse per l'ultimo viaggio
Il tremisse di Pieve San Paolo o dintorni, trovato ai primi dell'Ottocento per il Bertini salvato da una tavola di incisioni infinitamente elucubrata, dorato dall'archeologo antiquo per La Croce e il Tremisse, un viaggio sognato nella Lucca del secolo VIII infinitamente vagheggiato, preparato in tutti i colori che chissà quando o se si farà, per il viaggio estremo di Giuliano Marchetti, estremo cultore della zecca di Lucca, undici secoli di L V C A in tutte le varianti, più sigle; e per il viaggio estremo di Marina Brogi, preziosa custode delle memorie di Palazzo Guidiccioni, presenza leggera e luminosa in sale conosciute in anni intensi e in anni di stanchezza.
Amici che partono, ancora, in un anno di partenze e di dolore.
Amici che partono, ancora, in un anno di partenze e di dolore.
mercoledì 26 dicembre 2012
La doppia morte di Maria Caterina Antelminelli (Il Segreto di Ilaria, ancora)
Ritrova antiche questioni di metodo, Lachmann e dintorni, l'antiquo archeologo, nei giorni dell'antropologia avanzata, dacché le Tre Donne intorno al cuore dell'avello de' Guinigi, accanto all'altare di Santa Lucia, dopo i suoni e i colori del Sercambi ritrovano anni e dolori, artrosi e segni dei parti, nel bacino sfinito, per le magie del paleopatologo.
Il Diamante e i Fiori, dopo due anni, ritornano nel frastuono della rete, per qualche giorno, e per qualche ora gli ardui scaffali del KHIF, da esplorare con scarpe adatte salendo nelle vette dove la sorte dell'alfabeto ha messo Jacopo che fu senese ma anche lucchese, danno emozioni dimenticate, gli anni in cui con giovanile entusiasmo i maestri della Normale, inutili per quasi tutto quel che la vita ha offerto fuor che per il metodo, docevano di non fermarsi mai alla nota a pie' di pagina, oltre, oltre, sino alla fonte.
E dunque se la prima tomba, a lato dell'avello, è di giovinetta, perché non riandare alla prisca fonte, Urquelle per Ilaria e per Jacopo, congiunti nella storia assai più di quanto furono Ilaria e Paolo, storia d'amore divinata in qualche riga dal cronista di famiglia, mentore del signorotto di Lucca innamorato di gioielli e balasci ...
E dunque l'archeologo antiquo, mai appassionatosi d'Ilaria e di Paolo né di quegli anni torvi, guerra sangue peste fame morte dovunque, se non nel verde e nero dell'estrema maiolica arcaica, fiori lanceolati che sembran armi, rilegge il Vasari e la moglie di Paolo senza nome, e nello scaffale supremo trova Giovanni Giuseppe Lunardi, antico e più fresco, subito sotto, Paolo Pelù e la sua indagine.
E dunque se non Maria Caterina postuma figlia di Giovanni detto Vallerano Antelminelli, benignato dall'imperatore ancora negli anni Ottanta, elisa dal Sercambi, chi altra in quella tomba subito a lato dell'avello dei Guinigi, ma fuori, per Paolo sterile se non di ricchezze e d'intrecci familiari; lì messa per avallare la tomba da costruire dove le glorie degli Antelminelli si trasmutavano in quelle dei Guinigi anche nel segno della morte, immagina l'archeologo memore delle antiche lezioni sui segni del potere.
E dacché Sercambi ci illustra obliquamente che divenuto Paolo signore Caterina moriva anche nella memoria, e altre storie di donne annodavano il Guinigi e la sua città, donne di clausura rapide a far figli e a lasciar campo a nuovi intrecci, perché il monumento immaginato per Caterina non poteva diventar di volta in volta segno di Ilaria, e di Jacopa, se Piagentina era un po' scomoda per la lentezza dei marchigiani nel pagar dote e anticipi di cassa del signore di Lucca e del suo forziere ..
Tre scheletri per quattro mogli e per una tomba, la doppia morte di Caterina, ultima della genia di Castruccio, morta al momento giusto e morta nella memoria di un monumento che – a legger bene il Vasari, o solo a leggerlo – era per la «moglie che poco inanzi era morta» di Paolo. Vuota, aperta per tutte e per nessuna.
Il Segreto di Ilaria, il Segreto della Vita e della Morte, nel marmo che Vasari ascrisse a Jacopo perché era degno del maestro (o il maestro degno del marmo?).
mercoledì 19 dicembre 2012
Tra imago mortis e scene da un matrimonio
Prendere un rilievo di tomba lucchese, chiesa di Santa Lucia, ovvero cappella Guinigi nel San Francesco, in severo bianco e nero ma quotato a colori, completarlo dei colori di Masaccio, Firenze, tomba con Trinità, tornare a Lucca, nei colori delle lampade, scendere nel particolare dell'Anello & Sigillo, immaginarlo al dito della dama di Firenze finita a New York (grazie Met per le immagini splendide, la bibliografia esauriente, le mostre efficaci e sontuose, e il catalogo quasi gratis), rivedere l'imago morti (ymago, alla quattrocentesca) nella scena di uno sponsale alla finestra, enigmi del Primo Rinascimento, vagar nelle sale digitali dell'ospitale Met per cercare, nel tocco rarefatto del Tardo Gotico e nell'opulenza dell'aristocrazia fiorentino-biblica, i giorni sontuosi del signorotto di provincia cantato dal Sercambi, i suoi matrimoni con principotte di campagna, ricche quel che basta, di schiatte avvezze al sangue di storie tremende, come quelle dei Trinci di Foligno, pronte a sfinirsi di gravidanze per lasciar occasioni di nuove doti (fa capire il Bongi ...).
Sogni di un archeologo, che ritorna, dopo due anni, all'Impresa del Diamante, avendo letto le croniche del Quattrocento, gli inventari lumeggiati dal Bongi, i cataloghi di gemme d'Oltralpe, e che vorrebbe ritrovare nell'anello dell'Impresa uno
diamante puncta legato in verga
d’oro, smaltata alla parigina. E chissà se è così ...
mercoledì 12 dicembre 2012
Gli svaghi delle guaite di Garfagnana
Guaita, guaita male: non mangiai ma' mezo pane.
A differenza dei loro male avventurati colleghi di Travale, festosi solo nel ritmo, non si sa qual pane ricevessero gli uomini di Piazza al Serchio e dintorni che salivano alla guaita del Castello del Vescovo e dei suoi consorti, diviso per tre sul doglione della Rocca di Sala, possente cuneo fra le acque genitrici del Serchio, o roccia spezzata dalla forza loro, a scelta.
Un po' di vino, si direbbe dai boccali, un po' di zuppa, per le olle delle paste di Garfagnana che Paolo e Silvio or molti anni sono estrassero dalla rupe, con le vestigia dei Liguri-Apuani e prima ancora degli anni intorno al 1100 a.C. o giù di lì, il Bronzo Finale dell'Alta Valle, le due rupi della Capriola e del Castelvecchio, la terza di là dal giogo, ormai in Lunigiana. Storie tutte narrate, qua e là, presto dimenticate, ma la terza dovrà pur esserlo, per rispetto della fatica loro e degli inciuci degli anni del primo Federico registrati da pergamene oblique e ambigue, o da una cisterna un po' sfatta e dal rifugio degli uomini di Sala e Livignano, nelle ore della guaita, casupola a ridosso di un muro alto quel tanto che bastava a rammentare ai viandanti verso Lombardia o Toscana il vescovo remoto e il suo potere, e motivare le fatiche della guardia. Nitidi segni dal cielo, tagliati a perfezione, forse un po' troppo.
Ma si svagavano, di certo, ci racconta il minimo dado che gli archeologi han tratto dalle terre sfatte, e giocavano (s'immagina) le monete con la F e con la H, e quelle venute di Lombardia.
Notti del 1190 o 1220, fatiche inutili, forse, affidate non ai versi non trascritti dal notaio di Maremma, ma alle storie scritte nella terra, decifrate da Paolo&Silvio.
mercoledì 5 dicembre 2012
Storie di famiglie e musica
Rotta al punto giusto, lucente quel che basta, colori squillanti fra segni netti e profondi della stecca, l'arme dei Ghivizzani, per chissà qual ghiribizzo del fato, riappare dalle terre e dalle cassette ammucchiate, invertita rispetto alle meraviglie ottocentesche del Ceramelli Papiani, «partito: nel 1° palato di sei pezzi d'argento e d'azzurro, al capo del primo caricato di un leone leopardito del secondo; nel 2° d'argento, all'aquila dal volo abbassato di nero, coronata d'oro, uscente dalla partizione..» A dire il vero con la punta del graffito il leone leopardito sembra piuttosto un cagnolone, ma i colori son quelli.
Seconda metà del Cinquecento, forse agli inizi, e siamo agli anni del Ghivizzani Giovanni Battista, da cui sorse Alessandro oggi obblïato anche dalla toponomastica stradale, unica memoria delle glorie municipali, ma non dai redattori della Treccani, che ce ne narrano storie ed eventi ed avventure, Firenze le corti della terra di qua e di là del Po, Monteverdi, Lucca andata e ritorno.
E sarebbe bello capir di ceco, per sentirne i suoni, navigando sul web della Boemia, o chissà dove. Ma ci si può contentar di Caccini suo suocero e Monteverdi, per ritrovare nei colori della terra i suoni delle corti di qua e di là dell'Appennino.
domenica 2 dicembre 2012
Le monache degli stovigli
L'epoca non è proprio quella, ma insomma più o meno le estasi monastiche e il servizio da tavola scodella piatto boccale bicchiere panino zuppa e un po' di vino son quelli, e dunque per gentile omaggio del museo di Mosca, le Monache a tavola del Magnasco per la mostra lucchese, oligocromia guizzante di rapidi tocchi del Lissandrino, per dar passione e spazio al barocco da vivere con qualche sonata per violino di Vivaldi.
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