La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

lunedì 24 luglio 2023

L'illusione nella grappa





 Estate, giorni roventi, stanchi ... occorre un'immagine apparsa all'improvviso, inattesa, fresca di colori, ferventi segnalazioni di amici (in questo caso amiche) mai conosciuti, è il bello dei mezzi di comunicazione della rete.

San Vincenzo al Volturno, frequentato un po' di tempo fa, due anni, su vie che arrivavano fino a Matera e poi su su in terre di Lombardia, sempre partendo da Roma, e passavano per Santa Reparata, a Lucca.

Apparizioni multiple, diffuse negli anni, le illusioni del marmo che i fratelli vescovi prodigavano per San Martino, e facevano fare d'intonaco dipinto nella seconda cripta. Il marmo era finito.

O così si pensa, altri no.

Ma rivedere la grappa di San Vincenzo al Volturno, solido terminus ante quem, liquido post quem, perché il pittore di Lucca si distingue, è generoso di grappe e di chiodi, per un attimo risveglia dal letargo estivo, e fa viaggiare nel secolo – sì, meglio largheggiare – che precede e segue gli anni del re Carlo. Tanto vagheggiato, un bluff, avevano ragione gli eruditi lucchesi.

Le grappe di chi ancora vedeva i veri marmi di Roma, e per signorotti longobardi, e anche franchi, preti e vescovi e abati d'ogni genere, li rifaceva con qualche pennellata.

Ma con le grappe, e i chiodi, perché l'illusione è nella grappa.

sabato 10 giugno 2023

Per Silvia (Nutini), dal mare di Fonteblanda



Apri FB, e una voragine all'improvviso ti è davanti ... Silvia, Silvia Nutini, lasempreallegra, vitale, pungente, brillante, non c'è più.

Le parole sono eccessive, inopportune.

Silenzio, come davanti al mare di Fonteblanda nei giorni d'inverno, i più belli, quando s'immaginava di uno scavo che poi ci fu, ed emersero dalla spiaggia della laguna Etruschi dimenticati, e presto obliati.

Ma non prima che Silvia ci raccontasse storie impensate, quando ancora si occupava di ossa e di molluschi eduli, e non degli Stovigli delle Monache e poi di arte.

Sempre più in là. Sempre oltre. Ridente e un po' beffarda.

Pronta a rispondere con battute ancor più incisive alle battute sulle vongole di Fonteblanda, opera preziosa, unica forse, sugli Etruschi del mare del secolo VI avanti Cristo.

domenica 4 giugno 2023

Da Arbe ad Arfoli. Il nodo (di Salomone) con il chiodo




Un amico di Facebook c'illumina con i rilievi di Arbe, e subito riappare la meravigliosa lastra di Arfoli, vista di fuga qualche tempo fa. Il nodo di Salomone, quanti ce ne sono nelle opere romane dei primi del secolo IX, quanti ... ma con il chiodo al centro è faticoso cercarli fra le tavole del Corpus ...

Riappare ad Arbe, con il senmurv nel frattempo frantumato, un dottissimo lavoro di un dotto di Croazia per illustrarcelo, nodo con Salomone con chiodo perno o chissà cosa significa, ma certo è come ad Arfoli, le immagini dell'Adriatico che la bora fa arrivare di Dalmazia in Toscana.

Da Arbe ad Arfoli, con un marmorario virtuoso, che sa replicare da maestro i popolati reticoli degli anni in cui Carlo dominava ... e vuol far capire che replica ma non copia, il ductus del senmurv è limpidamente diverso dal rilievo di Neviđane, arcipelago zaratino, isola di Pasmano, così come astuto è il marmorario di Arfoli, a fare dell'uccello bezzicante un nutritore del pulcino.

Sembrano fratelli i marmorari di Arbe e di Arfoli, degli anni in cui si sapeva replicare ma lo si faceva capire. Perché quella era la bravura dello scalpello negli anni iniziali del secolo XI.

giovedì 1 giugno 2023

La doppia vita di Framarich (ovvero: vagheggiamenti di due giorni di longobarderie, a Grosseto)



Due giorni fitti fitti a Grosseto, a sentir ragionare di Longobardi, e qualcosa ci sarebbe anche da postillare, ma alla fine si vuol solo cambiare argomento ...

Ma lì, di nuovo storie di guerre e di terre fiscali, e l'oro romano che diviene simil-romano, in tremissi buoni di peso ma vieppiù devastati nell'immagine, si può riandare a Giovanni di Efeso e i Longobardi al soldo dell'Impero nei tormenti della fine del VI secolo – antica fissa dai tempi dei Longobardi di Chiusi – e alla sua versione d'argento ritrovata chissaddove in Siria, prontamente traslata in Germania ... ritorno a casa, fanno capire i dotti che l'hanno notomizzata, perché Framarich che dedicò nelle chiesa perduta nelle terre d'Oriente dell'Impero aveva da essere franco. E Karilos gallo ... e così gira gira alla fin fine Karlsruhe è degna sede, sussurra il subconscio.

E perché non longobardo, Framarich? Ci saremmo anche, fra Brückner e Nicoletta Onesti vedova Francovich, e Maria Giovanna Arcamone e Carla Falluomini, lì a Grosseto ... con un po' di sforzo e con i decenni che passano prima che Giona scriva, Framarich potrebbe essere diventato anche Fraimeris, il monaco miracolato da San Colombiano, -ris da -rikaz funziona, nell'Italia padana, già ci rammentava Arcamone, *frama- finito in Fraime- è più complesso ma si può fare, un po' di dittongazione, le conseguenze dell'accento, sì, se ne vedono di più ardue ...

E il pio guerriero di Siria che qualche anno dopo diventa monaco di Bobbio ... andrebbe bene anche come franco, però. Chissà.

Sarà o potrebbe essere, ma una bella storia da romanzare, lavorando di dittonghi ...

sabato 20 maggio 2023

Ildeprand & Ferelapa, Hildericus & Dagileopa. Storie longobarde di mariti e mogli o qualcosa del genere ...





Belle immagini e non solo regala Beweb, con un po' di pazienza, fa ritornare a San Pietro a Vico, campagne di Lucca, molto amato il lato A, ma non meno il B, con la sua storia tormentata, dal Beverini in poi.
La storia di Ildeprand e Ferelapa, nome raro, e subito si pensa a Ferlaupe o Ferilaupa o come si chiamava, la longobarda fiorentina della chiesa perduta, tanto cara a Guido Vannini ... E la data è sicura, circa 800, o quasi, e quel sapore romano nella B e nella R, tutto è romano negli anni che vedono arrivare cripte e reliquie. Chi si fermava a San Pietro a Vico, rifatta dall'Aldobrandesco, nella solenne iscrizione fatta a spese del marmo dell'augustale (si disse in gioventù) poteva trovare un'anticipazione della rinnovata Roma. O chissà.
Si sa, l'archeologo divaga ...
E certo Ildeprand faceva come il duca Gregorio a Chiusi, settant'anni prima, con la sua bella Austreconda, diventata dux anche lei, a celebrare le imprese architettoniche per quei pochi che sapevano leggere. Non come Gregorio, con conti e duchi nominati da Carlo non c'era molto da scherzare, forse ne sapeva qualcosa Allone, scomparso così presto, e Wicheram al suo posto, prima dux e poi conte. E però anche lui associava la moglie Mona nella fondazione di Vetrognano, persa chissaddove ...
Wicheram e Mona, franchi ma un po' alla longobarda, Ildeprand e Ferelapa, Gregorio e Austreconda. E si vorrebbe aggiungere Hildericus e Dagileopa, la meteora spoletina del 739, un po' meno di successo rispetto a Gregorio, perché già il sommo De Rossi era stupito del singolare uso di un secondo nome per un longobardo, e Bruckner prima e la mitica Nicoletta Onesti in Francovich poi ci rammentano che Dagileopa è nome di donna. Dagi- il giorno, -leopa l'amata o qualcosa del genere, tanti nomi di femmine in -leopa, dalle parti di Spoleto, e Benevento. Albileopa la badessa, ma basta sfogliare il Regesto di Farfa ...Gradeleupa, Gualdileupa ... a piacere. Donne del sud, che sapevano amare. O essere amate. O chissà. Quanti chissà.
E dunque Hildericus arrivato a Spoleto si era abbinato a qualche famiglia del loco con Dagileopa, ma non sapeva come presentarla, nella frettolosa iscrizione apposta alla lastra che s'immagina opera del fondatore di Ferentillo, qualche anno prima, Faroaldo, subito trasformata in potente messaggio del nuovo ordine, se aveva ragione Herzig, filologia di tanti anni fa. Lascia in bianco, si vedrà, un'interpunzione un po' sbilenca.
Chissà, l'archeologo deve fantasticare. 



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venerdì 12 maggio 2023

... e far di carta le parole, fra sorrisi perplessi



Eh sì, ben altra cosa le parole di carta, ben altra le immagini che vibrano di toni monocromi su carta patinata ... le parole e le immagini descritte in .pdf possono fare il giro del mondo in un attimo, ma la carta vive, delle luci che riflette o assorbe, delle sue pieghe, mentre le pagine si flettono ...

Sicuramente avresti trovato da ridire, questo era il tuo stile, ma non sulla carta per raccontare per immagini storie antiche, le tue. E tu le raccontavi volentieri, sempre, da ultimo con passione, ricucendo i frammenti con un po' di fantasia. Come fanno gli archeologi. Ti capivo perfettamente, in questi esercizi spontanei.

Tempi tecnici di stampa, ma in tempo per la Festa della Mamma. La festeggiavamo perché non se ne poteva fare a meno, sai benissimo che a me le feste obbligate non piacciono, ma non mancavamo mai. E Paola portava sempre i fiori e tu li apprezzavi ma non sapevi dove metterli. E ritornavano indietro, spesso...

E sempre un sorriso. Come i sorrisi veri, nati dal cuore, alla fin fine un po' perplessi.

Con un sorriso perplesso lo avresti visto, il libretto delle tue storie. E voglio immaginare che così tu lo veda.

lunedì 10 aprile 2023

La Terra di Asilas


 

tertius ille hominum diuumque interpres Asilas,

cui pecudum fibrae, caeli cui sidera parent
et linguae uolucrum et praesagi fulminis ignes,
mille rapit densos acie atque horrentibus hastis.
hos parere iubent Alpheae ab origine Pisae

 

I mille di Asilas, con i seicento Populoniesi di Abas, i mille di Chiusi e di Cosa, guidati da Massicus, formano il nerbo degli alleati etruschi di Enea, nel catalogo virgiliano (Aeneis, X, vv. 163 ss.): tre contigenti pressoché equivalenti – se ai seicento di Abas si aggiungono i trecento Elbani – che con i Liguri di Cunarus e Cupavo, e Ocnus da Mantova, nei quali intravvedere l’antecedente mitico dello schieramento degli Etruschi per la parte di Ottaviano negli anni del Secondo Triumvirato, del ruolo strategico della regione nell’assetto augusteo dell’Italia, dell’impegno dell’imperatore per i ‘suoi’ coloni dell’Etruria centro-settentrionale, la cui tradizione militare era ancora capace di alimentare generosamente le legioni, oltre alle coorti pretorie. Nei trecento di Astyr, da Caere, Pyrgi, Gravisca, parrebbe invece rispecchiarsi il declino demografico dell’Etruria meridionale, pressoché assente nell’evidenza epigrafica dei legionari d’età giulio-claudia. 

Questa sarebbe stata forse la conclusione più efficace per la recensione delle centuriazioni dell’Etruria settentrionale che si propose più di quaranta anni fa: i mille di Pisae, guidati da un Etrusco ‘per eccellenza’, maestro nelle arti divinatorie, come metafora dei coloni non solo della Colonia Iulia Obsequens Pisana, ma anche di Luca, Florentia, Arretium, le coloniae dedotte in tutta la Valle dell’Arno … così come i Chiusini e i Cosani potrebbero comprendere i coloni di Saena e di Rusellae, in una ‘mediazione’ fra realtà contemporanea e coerenza storica, che fa ammettere fra gli alleati di Enea solo città di remotissima origine. Ugualmente, il manipolo ligure potrebbe rammentare che Luni, colonia inserita in età augustea nella Regio VII, Etruria, nel rispetto della memoria dell’antica colonizzazione etrusca riferita anche da Livio, e ormai confermata dal dato archeologico, era però stata fondata su terra conquistata ai Liguri. E dunque nei guerrieri liguri si potevano riconoscere i coloni di Luna … Rimane da chiedersi dove debba essere collocata Volaterrae, colonia augustea dichiarata dal dato epigrafico e dal Liber Coloniarum, ma non è questo il luogo in cui avventurarsi in ipotesi. Forse anch’essa fra gli Etruschi di Asilas, se la sua centuriazione è da cercarsi nel Valdarno, fra Era ed Elsa, dove confina con quelle di Pisae e di Florentia.

Dalla ricerca sulla centuriazione, nata da un’intuizione sul territorio in destra dell’Arno fra Castelfranco di Sotto (la terra natale …) e Santa Croce sull’Arno, e poi ampliata sulle carte al 25.000 dell’Istituto Geografico Militare, partì per chi scrive un itinerario fra le testimonianze monumentali ed epigrafiche della Toscana settentrionale sostanzialmente concluso negli anni Ottanta del secolo scorso, quando l’attività nella Soprintendenza Archeologica apriva la possibilità di accedere a monumenti e dati d’archivio, e poi progressivamente esaurito, se non per improvvise apparizioni: memorabile fu certamente il ‘ritrovamento’ della stele funeraria fiorentina dei Titii, apparsa in una villa del Valdarno Inferiore quando la speranza di vederla, dopo le minuziose ricerche condotte intorno al 1980, era ormai fievolissima; o del monumento funerario di Petriolo di Ponsacco, certamente un colono dell’agro centuriato, in destra o in sinistra dell’Era, di Pisae o della Colonia Augusta di Volaterrae, segnalato all’amicizia e adll’inesausta passione di Daniela Pagni.

Per comodità del lettore – se mai ve ne saranno – si raccolgono di seguito, grazie alla duttilità del pdf, i più significativi dei contributi, usciti quasi tutti su Studi Classici e Orientali e su Prospettiva, per l’ospitalità dei responsabili (Antonio Carlini e Mauro Cristofani), in epoche in cui l’esercizio sadomasochistico della peer review ancora non era stato escogitato, e il direttore sapeva e voleva decidere. Un itinerario che parte da ricerche sull’intero ambito sub-regionale, per poi far tappa nelle singole città, con la consapevolezza che la storia delle città che gravitano nel bacino dell’Arno è assai diversa da quelle del bacino dell’Ombrone: è l’area compresa dalla ricerca sulle stele funerarie, un’indagine che sul finire degli anni Settanta portò lo scrivente a girovagare sul Corpus Inscriptionum Latinarum e nelle chiese o nelle ville in cui monumenti erano reimpiegati, fino a Sinalunga, più ancora che nei musei.

Forse è soprattutto per rivivere quei momenti che si confeziona un pdf …


(10 aprile 2023)





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