La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

giovedì 14 giugno 2018

Il saluto dell'archeologo, quando fiorisce l'acanto





Un giorno di giugno, sospeso tra primavera ed estate, l'ombra del tasso, saluti di amici e fra amici, quaranta anni di storia su una pagina voltata. Qualcuno vorrebbe anche strappata, ma non è così facile.
Malinconie, come deve essere quando il tempo passa, attesa dell'altro, come ha da essere. Amici che ringraziano, che incoraggiano, ed è vero che l'archeologo della Soprintendenza, come Anteo, si nutre dalla terra, sollevato si deve trasmutare, per non finire stritolato dalla erculea stretta del Passato.
Ma è in fiore l'acanto del dromos della tomba rifatta, con tempio rifatto sullo sfondo, la più archeologica delle verdure, di certo, da osservare nelle spighe degne dell'Ara Pacis e degli Horti Sallustiani. Il tasso e l'acanto, antinomia vegetale, metafora, metafora!
C'è da perdersi nel policromo guizzare dei fiori, fino a tornare a Lucca, nel gioco di citazioni della taglia guidettesca di Santa Maria davanti alle mura romane, e qui l'archeologo si ritrova nella cornice di Volterra amata da Fiumi, Rosetten-Blattgarben-Rapport senza rosette, ma sono un po' più in là.
E anche sollevato da terra l'archeologo-Anteo riesce a respirare.

martedì 29 maggio 2018

I gladiatori di Acquapendente, l'anfiteatro di pietra. Cartoline per Lucca



Si va per la via che fu Cassia, rifece l'imperatore, poi vide pellegrini di Francia ed oltre. Sulla via la città lasciata, amori che finiscono perché così ha da essere, forse amori impropri, non richiesti, asimmetrici.
Ma una cartolina, alla città dell'anfiteatro della colonia, del parlascio dei vescovi degli imperatori e del comune, alla Piazza del Mercato della Duchessa, si può ben spedire.
Con i gladiatori tagliati nella pietra del vulcano, neri e asciutti, guerrieri, del giardino un po' dismesso da Acquapendente, da far giostrare nella danza di morte fra le pareti di pietra dell'anfiteatro di Sutri.
Andar lontano per sentir vicino.

lunedì 7 maggio 2018

Fiori di pietra, fiori nel vento





Per la decima volta dacché si aggiungono note e pensieri a questa serqua tornano a fiorire i Gigli dell'Auser. Forse stanchi dal freddo, forse dal caldo, forse i bulbi sono provati, o forse solo c'è da attendere un po', perché divampi il giallo sulle ultime acque dell'Auser. Forse, chissà, ora che i sogni dei gigli dell'Auser si sono dissolti, ma non le pagine scritte. O forse anche questa è illusione.
Restano i fiori di pietra rimuginati chissà quanto, il fiore di facciata, il fiore di pilastro, nella chiesa rivestita da un tardo amico di Biduino e dei Romani, fine cesellatore di kyma lesbio, ad emulazione del maestro, nel cassettone divenuto paramento di facciata.
Ma ora che in viaggio per Volterra, e raggiunta la Via Appia, davanti al sepolcro di Marco Servilio Quarto i fiori romani di Santa Maria foris portam hanno trovato il loro tempo, anche il giallo dei gigli dell'acqua dell'Auser è quello di dieci anni fa.

lunedì 16 aprile 2018

La bilancia di Augusto (BANNA-Schälchen im Ausertal). Ovvero: la bilancia della fattucchiera


Nulla si butta, anche se servono più di trent'anni e una navigazione improvvida nella rete per illuminare il mistero a lungo coccolato dei piattelli stampigliati del Bottaccio, ager di Lucca, genio di Augusto, tutti più giovani, anni Ottanta del secolo scorso.
Tanto occorre perché disvelino lor storie i piattelli della bilancia giunta dal Reno sull'Auser, I secolo d.C., di certo, un po' prima no, un po' dopo forse, officina di BANNA, gallico nome per manufatti chiariti da ritrovamenti dove il Reno nasce, o quasi, nei Grigioni. BANNA-Schälchen, i 'piattelli di Banna', per bilancine di precisione, da misurare sostanze di vita o di morte. Da spacciatori, si direbbe oggi, per i più composti da preparazioni farmaceutiche sperimentate dai legionari nelle fredde giornate di guarnigione, o per sanare i tagli delle germaniche spade.
Ma Augusto insinua di fattucchiere che, alla moda celebrata da Tibullo e Properzio e Ovidio, si infrattavano fra le erbe palustri dell'Auser, per trarne, celate ad occhi indiscreti e malamente curiosi, le pozioni d'amore, i veleni di morte o chissà. Le erbe di Medea, tritate fresche fresche. Certo celate, perché il luogo era derelitto, fra le canne del fiume, chissà.
Sarebbe piaciuta a Petronio, l'invenzione di Augusto.

domenica 18 marzo 2018

Il cavallino di Daniela (la protome della Granchiaia)




A Este, una mattina di primavera, le storie delle comunità semiurbane o paraurbane sul fiume perduto, un po' di sentore dell'Auser e dei contadini etruschi e romani, solo un po', ora che il fiume domestico si rigenera anche con le acque delle Apuane e dell'Appennino.
E appare in una vetrina il rhyton a protome equina, anni dei bicchieri di Aco dichiara il cartello, e certo molto dell'ellenismo che nacque dal sontuoso modello achemenide, il bere dei Traci, rammentando i loro cavalli, e i rhyta attici.
E appare Daniela, con il suo enigmatico cavallino della Granchiaia, terra dei molti misteri. È quello, è quello si direbbe, e certo le protomi bardate dell'Adige ritrovano quella del Chiecina, passando per l'oro dei Traci e dei Persiani, le ceramiche attiche e apule.
Chissà se è così. Certo sembra. Certo sarebbe piaciuto a Daniela, che con il cavallo bardato vola chissà dove. E a Daniela si dedica l'immagine che ritorna dalla terra dei cavalieri veneti.

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