mercoledì 23 dicembre 2015
Il passo di Ilaria: sogni gotici di fine anno (per chi attraversa il Baluardo)
Si guarda all'autunno, nell'inizio d'inverno, seppur con qualche colore di primavera, e ai giorni d'estate, quando la torre esagona, svettante di mattoni freschi di fabbrica apparve nella terra del Baluardo e all'ottobre, che fu narrata nella sua storia cantata dalla terra.
E ora che chi sottopassa l'arborata cerchia, uscendo sulla sinistra, entrando sulla destra, a piacere, mira il magico esagono, uscendo da una luce per ritrovarne un'altra, nell'anno del passo di Gentucca, in verde e nero, lieve s'affacci il passo di Ilaria, con i gotici colori di Tommaso da Modena, e le gotiche bellezze delle sua infinite vergini del Martirio di Sant'Orsola.
domenica 29 novembre 2015
Le geometrie dei colori del cielo
Andirivieni di strati cassette storie, segni francescani e scodelle colorose, con qualche girandola, il vortice che alla fine si appalesa, e stilizzati fiori, bicromi o acromi, dopo il rigore del bianco conventuale.
E fra questi, con la zaffera di Toscana, le informali geometrie di Valenza, arabeschi ghirigori di memoria medievale, nel Quattrocento avanzato, si direbbe.
Loza azul per la mensa francescana di Lucca, il cielo e le acque del Mediterraneo nell'autunno del Medioevo; e poi, finita la zuppa, alzar la testa a rimirare Baldassarre di Biagio che sparge sulle pareti i sapori del Rinascimento.
E fra questi, con la zaffera di Toscana, le informali geometrie di Valenza, arabeschi ghirigori di memoria medievale, nel Quattrocento avanzato, si direbbe.
Loza azul per la mensa francescana di Lucca, il cielo e le acque del Mediterraneo nell'autunno del Medioevo; e poi, finita la zuppa, alzar la testa a rimirare Baldassarre di Biagio che sparge sulle pareti i sapori del Rinascimento.
sabato 7 novembre 2015
Il cavallo senza cavaliere
Tre frammenti in tre US (la moltiplicazione e la divisione), tre mesi o forse più di scavi, il retro di un convento, per ricomporre da masse infinite di piattelli e scodelle e da maldischiena per scassettamenti multipli ed iterati per tre anni, un terzo di piatto. Montelupo, decenni avanzati del Seicento, anni di peste di promessi sposi di bravacci. Ma anche di qualche santo.
Cavallo simpatico, grosso, occhioni languidi, paesaggi dei colori surreali verdegialloblu del protobarocco straniato dei contadini di Toscana, il pop e il plebeo degli anni del Furini, un altro mondo ...
Ma grande è la metafora, suprema, i tre frammenti tre e gli altri dieci chissà dove sono finiti, per l'incedere del cavallo biondo, mantello sauro, o baio, diranno gli ippologi, forse; e senza cavaliere.
Cavallo simpatico, grosso, occhioni languidi, paesaggi dei colori surreali verdegialloblu del protobarocco straniato dei contadini di Toscana, il pop e il plebeo degli anni del Furini, un altro mondo ...
Ma grande è la metafora, suprema, i tre frammenti tre e gli altri dieci chissà dove sono finiti, per l'incedere del cavallo biondo, mantello sauro, o baio, diranno gli ippologi, forse; e senza cavaliere.
sabato 31 ottobre 2015
La Vergine di Granada (a Lucca)
Da terra di morti con fatiche e passioni infinite, da grumi che si dissolvono nella curiosità dell'archeologo, riappare una storia lucchese del Settecento, seconda metà, segni tardobarocchi di Spagna tradotti nel cesello romano (dichiara l'esergo), certo da stampe di devozione.
Nuestra Señora de las Angustias de Granada, una dopo l'altra lettere ritrovate dichiarano l'immagine, e Google risolve il 'chi è' in un volo di battute. La Vergine delle Angosce, o come si abbia da tradurre, divenuta Vergine della Consolazione per chi si fece seppellire in San Francesco, negli anni dell'Illuminismo che per lui dovevano essere soprattutto di sofferenza, il Cristo Deposto sul grembo della Madre, la Croce, e gli Angeli.
Immagine splendida, appena appena consunta dalla devozione, per il giorno.
Nuestra Señora de las Angustias de Granada, una dopo l'altra lettere ritrovate dichiarano l'immagine, e Google risolve il 'chi è' in un volo di battute. La Vergine delle Angosce, o come si abbia da tradurre, divenuta Vergine della Consolazione per chi si fece seppellire in San Francesco, negli anni dell'Illuminismo che per lui dovevano essere soprattutto di sofferenza, il Cristo Deposto sul grembo della Madre, la Croce, e gli Angeli.
Immagine splendida, appena appena consunta dalla devozione, per il giorno.
martedì 6 ottobre 2015
I colori di Marti (per Daniela Pagni, qualche giorno dopo)
Si dovevano ritrovare i colori di Marti, novembre 2002, cielo disperatamente azzurro e il rosso fulgido del mattone pisano, per Daniela, che l'ultimo giorno di settembre se ne è andata, forse nel suo stile, chissà.
E nel volgere di una telefonata, Ruggero e le condivise amicizie e le condivise passioni e i condivisi lutti, nel segno dell'azzurro di Marti e della Terra dei Quattro Fiumi, sogno dissolto, tutto ritorna.
Balbata e la via romana, sognata genialmente, ogni segno della storia nella terra fra Chiecina e Ricavo, ma anche oltre, Scannicci e gli Etruschi e le Melorie, la ricerca del muro del Bastione, la sua storia che solo Monica e le sue amiche potevano chiarire, ma Augusto e Ruggero e altre amiche raccontarono, e poi la via e la fornace, i giorni di Varramista e di Montopoli, gli Etruschi della Granchiaia, il Bronzo Finale di Monte Formino e l'enigma del Priapo, un po' risolto, ma non tanto da soddisfare la curiosità di Daniela, la sua sete di sapere. Sempre pronta a porre due nuove domande per ogni risposta data, e a dubitare di questa. E le telefonate infinite, i perché e i percome, sempre pronta a fare da regista ad operazioni impossibili. Perché nulla trovava impossibile alla sua passione.
Il magico verde dell'autunno, nel sole che guarda lontano il mare, il campanile di Marti, il rosso del Bastione e il rosso della Pieve. Nov 2002, dice la stampa.
venerdì 25 settembre 2015
La città di Gentucca (un po' dietro l'angolo, in San Francesco)
Si deve scendere in basso, nel Giudizio Universale di Deodato, per trovare, dannati a destra ed eletti a sinistra – re vescovi abati monaci profeti e quant'altro – il popolo della città di Gentucca, nudi cadaveri, resurrezione della carne da discoverti avelli, casse viste per i Morla, un po' dopo. E anche defunti abbigliati, vesti perse nella terra se non per i fili del damasco e i maspilli di bronzo; rispetto per fanciulli troppo presto sottratti alla città forse non più di Gentucca, in quegli anni, ma dei Signori e dei Pisani.
Dalla terra, come gli uomini e le donne della città di Gentucca, la fatica degli scavi e l'impegno degli archeologi fa riemergere, narrate in pagine 144 tutte a colori, benignamente offerte ai pellegrini in San Francesco, storie del Trecento, voltato l'angolo, nel secondo chiostro.
sabato 19 settembre 2015
Storie di piombo, storie di carta
Dall’estate del 2014 è in corso un
impegnativo intervento di ‘archeologia preventiva’ nell’area in
cui è in corso di completamento il segmento orientale della viabilità d’accesso
all’Ospedale San Luca, fra San Filippo e Antraccoli.
La fitta sequenza di ritrovamenti
avvenuti nell’area dell’Ospedale – presentati nel percorso espositivo allestito
nell’atrio oltre che nel volume Anamorfosidi un paesaggio. Gli scavi dell’area dell’Ospedale San Luca e la storia della Piana di Lucca dagli Etruschi al Novecento – ha infatti imposto l’apertura
di una serie di saggi e il successivo scavo sistematico, tuttora in
corso, delle presenze archeologiche individuate, come premessa imprescindibile
alla costruzione della strada.
Lo scavo archeologico è condotto
con la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologia per la Toscana,
ed è affidato al gruppo di lavoro selezionato dal Comune di Lucca, diretto da
Alessandro Giannoni, con la collaborazione di Elena Genovesi, Ilaria Rinaldi,
Enrico Romiti e il prezioso supporto di uomini e mezzi del Centro
Pavimentazioni Stradali. Gli oneri dello scavo sono interamente a carico del
finanziamento del lotto stradale.
Le infrastrutture di servizio, le
opere agricole, i sepolcreti che sono in corso di scavo da ormai più di un anno
si stanno profilando con particolare consistenza, e integrano in misura
significativa le evidenze archeologiche già messe a fuoco nella vicina area
dell’Ospedale. Non è mancata la sorpresa, tuttavia, quando si è iniziato lo
scavo di due tombe d’età romana venute in luce nella prima fase delle indagini
e sotto la protezione detta ‘a cappuccina’ – formata da tegole poste a 45° – di
una di queste è affiorato un sarcofago in piombo.
L’impiego di questa particolare
classe di contenitori funerari non è raro, in assoluto.
La pratica di proteggere le salme
affidate al terreno collocandole in una cassa formata da lamina di piombo
opportunamente ripiegata e saldata, sigillata da un coperchio costruito nello
stesso modo, fra III e IV secolo d.C. si diffonde infatti nelle province
occidentali dell’Impero Romano dal Medio Oriente, dove era già ampiamente
attestata in Siria e in Palestina, anche con una produzione arricchita da
decorazioni. L’uso è citato anche in alcuni casi di sepolture di martiricristiani delle persecuzioni degli anni intorno al 300 d.C. e vi si ricorrevaanche quando si progettava di trasferire la salma in luoghi remoti da quellodella morte, data la protezione garantita dal contenitore in piombo – un po’
come le casse zincate dei giorni nostri. Nelle province occidentali dell’Impero
Romano un recente censimento registra più di 600 casi, fra Spagna, Francia,Belgio, Gran Bretagna, e anche nell’Italia Settentrionale non mancano
attestazioni, seppure meno frequenti. A Roma e nell’Italia peninsulare,
invece, i ritrovamenti di sarcofagi in piombo sono rarissimi, tanto che lo
scavo di due esemplari a Gabi, nella campagna romana, ha suscitato un notevole
interesse mediatico.
In Toscana la pratica era sin qui
addirittura sconosciuta, se non per antiche e spesso enigmatiche o ambigue
memorie di ritrovamenti di sarcofagi in piombo. Fra queste spicca la citazione
del ritrovamento di un contenitore in piombo, avvenuta nel 1477 fra Firenze e
Fiesole, nell’area sepolcrale menzionata in opere manoscritte di umanisti
soprattutto per il ritrovamento dell’iscrizione della Remnia Primigenia, una
‘fabbricante di corone’.
I pochi dati sin qui disponibili
confermano che la tomba con sarcofago in piombo dovrebbe essere datata intorno
al 400 d.C. Il ritrovamento nello scavo di Antraccoli-San Filippo, quindi,
getta nuova luce su un periodo – la Tarda Antichità, cioè gli anni compresi fra
il 300 e il 500 circa d.C. – in cui Lucca era divenuta una piazzaforte sullevie che dall’Italia Settentrionale portavano a Roma, disegnando un sistema stradale che per molti aspetti anticipa la medievale Via Francigena. Si può
immaginare che siano state le necropoli delle città dell’Emilia da cui partiva
la strada transappenninica che si concludeva a Lucca ad offrire il modello,
giacché è proprio questo territorio a presentare, per il momento, la massima
concentrazione di sarcofagi in piombo in area italiana.
La rimozione e il trasporto del
sarcofago sono stati realizzati secondo il progetto messo a punto da Stefano
Sarri, del Centro di Restauro della Soprintendenza, che curerà anche l’apertura
della cassa e il successivo restauro.
Ovviamente è nei progetti che il
ritrovamento vada ad arricchire il percorso espositivo nell’atrio del San Luca,
aperto in veste provvisoria nel novembre 2014, e che verrà prossimamente
integrato con nuovi reperti, che ne faranno un vero e proprio museo
archeologico di questo lembo del territorio lucchese.
venerdì 11 settembre 2015
Chiare e fresche acque del Serchio (ritorno a Bacciano)
Quanti anni, 16 17 18, per ritornare a Bacciano, guglia di pietra con vista fiume e accesso al ponte, magica immagine di acque gorgoglianti sulle ghiaie del Serchio nelle fotografie perfette di Paolo con Silvio.
Casetorri di signori di ponti e di strade, che arrotondavano con coniazioni di comodo, albergavano e taglieggiavano viandanti sulle vie che dal fiume vanno al mare (alla via Francigena, si decanta).
Nella luce di acque che sfiorano pile di ponti medievali, quiete nell'ombra, anche le pentole infinite di Isola Santa, zuppe minestre e un po' di spezzatino per prepararsi all'ascesa al Mosceta, rifocillarsi in discesa, divengono poesia di giorni di Garfagnana, A.D. 1200 (come si direbbe oggi).
lunedì 31 agosto 2015
Priapo con comparanda
Cinque anni, un po' di fatica, molti dubbi, e poi cosa c'è da perdere, e l'erudizione del Settecento travolta dai vantaggi del web, da bei volumi di mostre elleniche, con fallici altari di Tracia, si trasforma in pagine da leggere in rete, ché la carta ha da essere risparmiata.
Ma per i giorni vissuti fra Chiecina e Ricavo, per gli amici, che ora sono tutti stanchi, poche parole.
Ma per i giorni vissuti fra Chiecina e Ricavo, per gli amici, che ora sono tutti stanchi, poche parole.
giovedì 20 agosto 2015
Gentucca in San Francesco, tra il Poeta e i cavalieri di Germania (molto di moda)
Ritornano i giorni di Gentucca, in San Francesco, passeggiate nell'archeologia di una città fra Duecento e Trecento, passioni senili e giovanil baldanza.
E giacché son di moda, come nel Duecento e nel Trecento, i cavalieri tedeschi, folgorante braccio ghibellino contro i fanti di Firenze e di Lucca a Montaperti, dono (a caro prezzo) di signori di Lombardia al Signore di Lucca nel giorno dell'Altopascio, il passo di Gentucca, lasciato il dolce conversare con il Poeta, trascorso qualche anno dopo, si muove verso il nido della tirannide di Castruccio, torri e mura per assicurare la signoria sulla città ostile, invenzione (forse) del duce lucchese, esempio per Visconti Gonzaga e Terre d'Este, il Castello in Città.
Marmo di tombe di cavalieri, un po' impolverate, un po' obliate (ma non troppo: messe in un angolo della memoria), molti cavalieri venuti di Germania, qualche sodale d'Italia, nella fortezza croce dei Lucchesi, affidata a Pisani del contado, buoni a rompere un po' di maiolica arcaica rigorosamente made in Pisa. Niente da lasciare alla città dominata, se non l'odio e un po' di cocci rotti, reliquie religiosamente raccolte seicentocinquant'anni dopo. Tracce dell'Augusta, il segno di potere di Castruccio, l'aquila che ancora veglia sulla Porta a San Romano, con il sonno di ferro dei cavalieri.
E incontri di gentildonne e poeti, clangore di armi, immagini di tombe e segni della terra in San Francesco, monocromi e bicromi, da lumeggiare con i colori del Codex Manesse, bel regalo di Heidelberg, visto che la Germania è di gran moda. Per Deodato e le sue languide damigelle altri giorni.
venerdì 7 agosto 2015
Il rifocillo di Gentucca (in verde e nero, in San Francesco)
Vesti sfarzose, damascate, figurate, volti severi, gentildonne di Giudea travestite da Lucchesi dell'anno 1300, e come loro s'immagina l'interlocutrice preziosa di Dante, la guida attesa e vagheggiata nell'archeologia in verde e nero di Lucca, nella Stanza di Gentucca del San Francesco. Poesia di espressioni perse nel tempo, ambigue, come le parole di Buonagiunta nei versi del Purgatorio.
E brocche e coppe del rifocillo della puerpera attendono – non nel giallo d'oro che emula il bronzo delle donne di Deodato ma in verde e nero – il viandante del tempo, appena dietro l'abside della chiesa.
mercoledì 5 agosto 2015
Gentucca e le eleganti lucchesi del Trecento (tra Deodato Orlandi e il verde e nero)
Generosi contributi per Wikipedia, per trovare ricca di colori l'opera migrata di Deodato Orlandi, immagine di Lucca e dintorni degli anni di Gentucca, di suo suocero Lazzaro Giaro per gli amici, il Fondora, anfitrione di Dante (di certo). Tutta la società del primo Trecento, nelle luci dei tessuti policromi, di una tavoletta a Berlino, e il pallore estenuato di Gentucca e della silente mostra nel San Francesco si fa calore di vita anche nel neroverde della maiolica arcaica.
martedì 4 agosto 2015
Il vento dell'estate a Fossa Nera di Porcari
Luci e vento d'estate a Fossa Nera, un giorno d'agosto, il suono del bosco di pianura, l'ombra esigua e tenace da cui escono rigenerati antichi ruderi. Il sottile suono dell'Auser, per rari cartelli e paesaggi che rinnovano i versi delle Georgiche.
martedì 21 luglio 2015
Gentucca e il San Francesco di Lucca. L'inizio di una storia
Premessa
Il passo di Gentucca.
Un itinerario archeologico
tra il San Francesco e Lucca intorno all’anno 1300
El mormorava; e non so che
«Gentucca»
sentiv’io là, ov’el sentia
la piaga
de la giustizia che sì li
pilucca.
«O anima», diss’io, «che
par sì vaga
di parlar meco, fa sì ch’io
t’intenda,
e te e me col tuo parlare
appaga».
«Femmina è nata, e non
porta ancor benda»,
cominciò el, «che ti farà
piacere
la mia città, come ch’om
la riprenda. ...»
(dante, Commedia,
Purgatorio, XXIV, vv. 37 ss.)
Nella primavera del 2013 i
lavori di restauro e recupero funzionale del complesso di San Francesco erano
ormai alla conclusione, con l’obiettivo – agevolmente rispettato – di giungere
all’inaugurazione e alla restituzione alla città del monumento il 6 luglio.
Anche lo scavo, con una straordinaria sequenza di campagne iniziata fra 2004 e
2005 negli Orti, proseguita nella Stecca, estesa infine dal 2010 pressoché all’intera
area conventuale, si stava avviando a conclusione, con le indagini nel ‘San
Franceschetto’ e negli ambienti attigui, da poco resi disponibili[1].
Appena entrati nell’ambiente
attiguo al ‘San Franceschetto’ – la chiesa eretta da Lazzaro Fondora per la
sepoltura sua e della sua famiglia, nel 1309, e dedicata alla ‘Beata Vergine e
a San Francesco’ (fig. 1) – gli archeologi e chi scrive non potero non essere
attirati da un’iscrizione ormai perduta nell’originale, ma ben leggibile nella
trascrizione d’età contemporanea (fig. 2): «Hoc est sepulcxrum domine Vanne
uxoris quondam domini Ceci Morle militis et domini Sigxerii Morle militis eius
filii et Octoboni Morle item eius filii et domine Mantuccie uxoris et
descendentium ex eis An. D. 1348». L’iscrizione, dunque, era stata collocata
nella parete esterna, orientale, del ‘San Franceschetto’ per segnalare la presenza
della tomba fatta costruire da donna Vanna, moglie del ‘cavaliere’ (miles) Cecio Morla, per sé, per i figli
Sigherio e Ottobono, per donna Mantuccia – moglie di Ottobono[2] – e i loro discendenti; l’anno della costruzione
della tomba è quello della grande pestilenza, il 1348, quando la sensazione
della fine incombente imponeva la realizzazione di una tomba adeguata alla
drammatica urgenza del momento. Probabilmente chi curò la replica dell’iscrzione
Morla attinse a trascrizioni settecentesche – come quelle di Bartolomeo Baroni,
che conserva anche l’arme losangata della famiglia, oggi illeggibile (fig. 3)[3] – piuttosto che all’originale.
L’iscrizione della tomba
Morla si sarebbe confusa con le altre riemerse dai lavori di restauro – quasi
tutte reimpiegate nell’Ottocento per le strutture funerarie della breve
stagione che vide il chiostro del San Francesco ritornare luogo sepolcrale per
eccellenza di Lucca, intorno al 1860 – se subito non si fosse imposta la
memoria dantesca: Gentucca, l’enigmatica figura femminile che incontrerà Dante
e gli «farà piacere» la città di Bonagiunta, è legata ai Morla, sia che – come
vuole una delle ipotesi elaborate già dalla filologia dantesca dell’Ottocento,
sulla scorta di una minuziosa recensione dei documenti lucchesi dei primi del
Trecento – debba essere identificata con una Gentucca Fatinelli andata sposa a
Bernardo Morla, o che sia la figlia di Ciucchino Morla, consorte di Bonaccorso
figlio di Lazzaro Fondora[4]. L’intreccio di interessi fra Morla e Fondora
intorno al ‘San Franceschetto’, fra la chiesa gentilizia dei Fondora e il
chiostro cimiteriale disposto fra questa e la parete settentrionale del San
Francesco che lo scavo del 2012-2013 ha permesso di ricomporre[5], è un ulteriore elemento a favore della seconda
ipotesi, che d’altronde era data per scontata già nel Trecento, se due chiose
anonime a manoscritti fiorentini, recuperate dal Minutoli, dichiarano che
Gentucca «fue moglie di Coluccio Giari di quegli da Fondora». Solo un
contemporaneo poteva sapere che Lazzaro Fondora, il suocero di Gentucca, si
presentava – ad esempio in un atto del 22 dicembre 1306[6] – come «Laçario vocato Giario quondam item Laçarii
de Fondora civi Lucano», ‘Lazzaro detto Giario figlio del fu ugualmente Lazzaro
da Fondora, cittadino lucchese’.
Se dunque Gentucca fu
persona reale, il San Francesco dei primi decenni del Trecento dovette essere
luogo ‘per eccellenza’ della sue frequentazioni spirituali; probabilmente vi fu
sepolta, con Lazzaro/Giaro Fondora e i suoi discendenti, fra le righe di deposizioni
nel San Franceschetto che sono state rispettate nei lavori di restauro del
2013, mentre la cassa funeraria dei Morla – o quella che si apriva ai piedi
dell’iscrizione – fu ampiamente riusata fino al Rinascimento.
Lazzaro Fondora è
personaggio di rilievo nella Lucca degli anni intorno al 1300, a dispetto di un
interesse apparentemente marginale negli studi contemporanei[7]. È sufficiente una rapida rassegna delle carte che
lo riguardano nel Diplomatico dell’Archivio
di Stato di Lucca per rendersi conto dei suoi vastissimi interessi, dal
commercio internazionale che è sullo sfondo di un atto del 1292[8], sino alle eterogenee attività di gestione di
proprietà terriere e di rendite fondiarie che si svolgevano nelle sue case,
site nell’odierna Via Fillungo – allora ‘contrada di San Cristoforo’ – fra la
Loggia dei Mercanti e la Torre delle Ore (fig. 4). Qui, come argomenta Minutoli[9], dovette vivere da sposata Gentucca, nata invece –
probabilmente – nelle non lontane torri dei Morla, oggi in Via Santa Croce,
come rammenta l’iscrizione appostavi (fig. 5), giacché i Morla sono parte della
consorteria degli Allucinghi, e loro chiesa di riferimento era San Benedetto in
Gottella, in cui fu eretta una cappellania in suffragio del defunto Ottobono,
nel 1350[10].
Era però il San Francesco
ad avere un potente ruolo di attrazione su Lazzaro, di famiglia da non molto
inurbata dalla località del contado di Sorbano del Giudice da cui la famiglia
trarrà cognome, Fondora[11]. La costruzione del ‘San Franceschetto’ consacrava
il suo ruolo nella società cittadina e nel rapporto con l’istituzione
conventuale. Nel 1307 Lazzaro, «civis et mercator Lucensis» è associato a fra’
Guiduccio, dei Frati Predicatori, come arbitro in una controversia[12], ma i comuni interessi con i Domenicani non gli impedivano
di completare due anni dopo la chiesa eretta nel ‘braccio della Fratta’ – dove
la famiglia aveva proprietà in cui andranno a vivere i figli intorno agli anni
Venti[13] – apponendo sull’architrave della porta un’iscrizione
che incorniciava con i colori dell’arme di famiglia, ancora leggibili nel
Settecento (fig. 3)[14], il Tau,
simbolo francescano per eccellenza (fig. 6). Pratica delle mercanzia, attività
di ‘intermediazione’ nelle quali talora si intravvedono, in filigrana, prestiti
su pegno mascherati da compravendite o speculazioni, non sono in distonia,
nella prassi del tempo, con la devozione al Santo poverello, punto di
riferimento capace di accomunare i Morla, una famiglia ‘nobile’, come dichiara
il titolo di miles, e il Fondora di
fresco successo. Forse non è casuale che Lazzaro ometta il nome del padre, nell’iscrizione
di dedica, quasi a dichiarare la sua figura di homo novus.
Non occorre dunque una
sfrenata fantasia – appena quella che deve alimentare il romanzo storico – per
immaginare Gentucca nel suo andare per la città fra la casa della famiglia e
San Bendetto in Gottella, passando per San Cristoforo, superare la postierla
della Fratta e le mura erette da meno di un secolo per giungere al San
Francesco mentre si sta completando il grande cantiere della chiesa e del
convento, cui il suocero Lazzaro Fondora aggiunge quello della ‘sua’ chiesa,
primo vero esempio di chiesa ‘gentilizia’ in Lucca, dopo le remote fondazioni
altomedievali[15]. Gli affreschi del lucchese Deodato Orlandi in San
Piero a Grado, di quegli stessi anni, nella scena del cantiere del San Pietro
di Roma (fig. 7) ci fanno apprezzare nello sguardo del contemporaneo i lavori
di costruzione di una chiesa, con lo scalpellino all’opera, gli inservienti
agli argani, il manovale che s’arrampica per dar da bere al mastro muratore con
un bicchiere di vetro e un boccale di maiolica arcaica[16].
Poco resta all’occhio dell’archeologo
delle immagini che si presentavano a Gentucca o che riescono a rivivere nelle
iconografie contemporanee: i muri, le schegge di lavorazione della pietra, i
segni delle attività di cantiere, i boccali di maiolica arcaica andati in
frantumi. Molto ha da integrare, per ricomporre le storie di muri raccontate
dagli strati che li hanno sepolti o ne hanno segnato la costruzione e dalle
ceramiche che vi finirono, o le storie di persone narrate da sepolture e ancora
dalle ceramiche: storie che fra Due- e Trecento sono ‘in verde e nero’, i
colori della maiolica arcaica.
Ma seguendo il ‘passo di
Gentucca’ per le vie della città che ella «fece amare» a Dante, può riapparire,
da trent’anni di attività di tutela e da un cantiere vissuto per cinque, anche
qualche nota della vita di Lucca fra Due- e Trecento, nelle metamorfosi e nelle
anamorfosi urbane, o nei ‘segni’ lasciati nella terra da chi di quegli eventi
fu protagonista, artefice, o vittima. È questo il percorso in cui si vuole
accompagnare chi sfoglierà le pagine che seguono, leggendo astruse sequenze di
strutture o di unità stratigrafiche, o almeno sfogliando i colori degli scavi.
[1] Questo
viaggio archeologico nella genesi e nelle successive vicende del complesso di
San Francesco è stato reso possibile dalla illimitata disponibilità della
Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ad assicurare un livello di eccellenza
per le indagini di scavo, affidate sino al 2011 al gruppo di lavoro condotto da
Elisabetta Abela, composto da Serena Cenni, Maila Franceschini, Silvia Nutini,
Kizzy Rovella, e dal 2012 alla conclusione dei lavori ad Alessandro Giannoni
con la collaborazione di Elena Genovesi. L’impegno della Fondazione non si è
limitato – per l’interesse manifestato dai Presidenti che si sono succeduti,
fino all’attuale Arturo Lattanzi – a garantire la documentazione stratigrafica
delle opere diagnostiche correlate alle esigenze del restauro o dell’adeguamento
funzionale; spesso lo scavo ha assunto dimensioni e sviluppo peculiari dell’indagine
di carattere meramente scientifico, ed è stato costantemente integrato dal
rilievo degli elevati – affidato agli stessi gruppi di archeologi – quando la
correlazione con le sequenze stratigrafiche lo richiedeva. Franco Mungai e il
personale dell’Ufficio Tecnico della Fondazione sono stati sicuri interlocutori
di queste richieste, assecondandole anche in momenti particolarmente
impegnativi per il rispetto del cronoprogramma dei lavori, e hanno trovato
nelle maestranze dell’impresa Giunta Sauro di Capezzano Pianore appassionati
interpreti delle tecniche dello scavo archeologico.
[2] ASL, Diplomatico. Serviti, 1346 ottobre 12.
[3]
Biblioteca Statale di Lucca, Manoscritti,
1015, c. 51 r.
[4] minutoli 1865, passim, in particolare pp. 33 ss.; si veda la sintesi nell’Enciclopedia Dantesca, dovuta a Giorgio
Varanini (1970), facilmente accessibile all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/gentucca_%28Enciclopedia-Dantesca%29/.
[5] Infra, Parte III.
[6] ASL, Diplomatico. San Nicolao, 1306 dicembre
22.
[7] Si veda paoli 1986, pp. 216 s.; donati 2009, pp. 39 s.
[8] ASL, Diplomatico. San Romano, 1292 gennaio
31.
[9] minutoli 1865, p. 50, nota 67.
[10] savigni 2010, p. 173; per l’appartenenza di Ottobono Morla alla ‘contrada di
San Benedetto’, si veda ad esempio anche ASL, Diplomatico. Acquisto Bigazzi, 1322 giugno 22. Probabilmente
Ottobono scomparve nella pestilenza; Sighieri invece sopravvive: ASL, Diplomatico. Serviti, 1358 gennaio 12.
[11] minutoli, l.c. a nota 9.
[12] ASL, Diplomatico. Disperse, 1307 agosto 11.
[13] minutoli, l.c. a nota 9.
[14] L’arme
Fondora è «d’azzurro alla fascia d’oro»: Archivio di Stato di Firenze, Fondo Ceramelli Papiani, fasc. 5613; http://www.archiviodistato.firenze.it/ceramellipapiani2/index.php?page=Famiglia&id=3240.
[15] Si
vedano le annotazioni di paoli
1986, pp. 215 ss.
[16] Per
questo berti 1997, p. 173, con
riferimenti bibliografici; si vedano tuttavia anche le annotazioni infra, Parte III, nota 105.
domenica 19 luglio 2015
Il ritorno di Gentucca al San Francesco, un giorno rovente di luglio
Ritorna nel San Francesco Gentucca, a rivedere i luoghi della sua famiglia, i Morla, e quelli del marito, la chiesa sepolcrale dei Fondora, San Franceschetto. Giorno rovente, forse come le estati dei primi del Trecento, prima della crisi ecologica e della peste, che fece fare ai Morla la tomba della loro disperata speranza, 1348, 1349. Pochi amici a salutarla, mentre apre la porta che apre a storie narrate dalla terra e dai documenti, affidate ad un libro, al verde e nero della maiolica arcaica, alle immagini rigenerate ritrovate scandite e commentate da Consuelo.
E per il resto, il comunicato ufficiale ...
Gentucca e il complesso del San
Francesco. Due eventi per riscoprire storie lucchesi del Medioevo
Nel luglio del 2013 venivano
conclusi il restauro e il recupero funzionale del complesso di San Francesco di
Lucca, voluti e finanziati dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.
Assieme a questi, erano stati condotti scavi che hanno consentito di
ricostruire l’impianto medievale del convento – fondato intorno al 1230 – e le
sue trasformazioni fino ai giorni nostri, oltre a molti aspetti della vita che
vi si svolgeva.
A partire dal 2010, infatti, lo
scavo aveva messo in luce la sequenza degli ambienti conventuali – il
dormitorio, il refettorio, la sacrestia, la ‘cantina’, la cosiddetta Cappella
Guinigi – disposti intorno al primo chiostro e aveva fatto luce sull’assetto
originale della chiesa stessa. Inoltre erano riemersi gli edifici legati alla
confraternita dei Disciplinati di San Francesco, ben conosciuta dai documenti,
e il chiostro cimiteriale aderente alla parete settentrionale della chiesa.
Fu proprio qui che riapparve agli
archeologi l’iscrizione funeraria della famiglia lucchese dei Morla, a cui
apparteneva Gentucca, la ‘dama’ lucchese celebrata da Dante nel Purgatorio. Al suocero di Gentucca,
Lazzaro Fondora, si deve invece la costruzione della chiesa detta oggi di San
Franceschetto – che egli dedicò ‘alla Vergine e a San Francesco’ – completata
nel 1309, come dichiara l’iscrizione splendidamente restaurata sull’architrave
della chiesa. Con questa si concludeva quasi un secolo di imprese architettoniche
che aveva conferito al complesso conventuale l’estensione che ancora conserva.
Leggere i nomi dei Morla,
rileggere la dedica di Lazzaro Fondora, correre a ritrovare le pagine con cui
il Minutoli, nell’Ottocento, aveva ricostruito il profilo ‘familiare’ di
Gentucca, riconoscere nella terra le ombre di una storia degli anni di Dante,
fu immediato ed emozionante, per chi vede l’archeologia non solo come sequenza
di strati o di forme di vasi.
Le emozioni, tuttavia, devono
essere disciplinate con la ricerca, prima di essere condivise. Sono stati
necessari due anni di indagini sui materiali, di analisi incrociate delle
evidenze degli strati e delle strutture – documentate in modo minuzioso grazie
alla disponibilità della Fondazione – perché l’emozione provata nella primavera
2013 davanti all’iscrizione dei Morla venisse fatta decantare.
Con due eventi, in programma nella
Cappella Guinigi del San Francesco venerdì 17 luglio alle ore 17, si presentano
i risultati di questo impegno, sintetizzati in un volume e in una mostra.
Il libro Il passo di Gentucca. Il San Francesco di Lucca nel Medioevo: un
itinerario archeologico, curato da Giulio Ciampoltrini e Consuelo Spataro,
con contributi di Alessandro Giannoni e di Andrea Saccocci, edito dalla PubliEd
e provvisto di un ricco apparato di immagini, inquadra la ‘storia archeologica’
della costruzione del convento francescano nella cornice della Lucca medievale,
così come risalta da trent’anni di ricerche archeologiche. Sono le cosiddette
‘maioliche arcaiche’ a raccontare la trasformazione della città nel lungo
‘secolo in verde e nero’ – i colori della ‘maiolica arcaica’ – che va dal
completamento delle mura comunali (1220 circa) alla ritrovata libertà del 1370,
seguendo idealmente ‘il passo di Gentucca’, dalle case dei Fondora (in Via
Fillungo) e dei Morla (in Via Santa Croce) fino al San Francesco.
La mostra Gentucca e il complesso conventuale di San Francesco tra testimonianze
letterarie e realtà sepolte, presenta, con un apparato rivolto al grande
pubblico, i materiali restituiti dallo scavo e gli aspetti della vita lucchese
negli anni di Gentucca che possono essere ricostruiti integrando i documenti
archeologici con le fonti letterarie ed iconografiche. Viene ospitata negli
ambienti espositivi realizzati nell’area absidale del San Francesco e rimarrà
aperta il sabato e la domenica e nei giorni festivi negli orari di apertura del
Complesso (dalle ore 10,00 alle ore 19,00) fino al 31 ottobre 2015 (salvo
proroghe successive).
Per informazioni:
www.fondazionecarilucca.it
venerdì 19 giugno 2015
Il Barbie boy neoclassico
Nuda massa di terracotta, un velo forse d'ingobbio, nel pupazzo finito con masse immani di tegamini e pentole, un po' di tâches noires (che poi son nere onde su mare marrone), e si ritrovano le pagine d'antico maestro allora giovane, statuine da presepe e nude terrecotte della Crypta Balbi, pagine vagheggiate di magisterio assoluto, Johan Cruijf (gli anni eran più o meno quelli) dell'archeologia, dai Sesti alle medaglie devozionali, sempre supremo. Passano gli anni, si sa, ma i classici restano con le memorie di gioventù.
Ma ci sarebbero voluti gli Aqua, un po' di anni dopo, per scoprire che la Barbie esisteva già nel Settecento, nuda figurina (di maschietto invero) da vestire a piacimento, soldatino o santo o devoto o pastorello. E al Barbie boy di Lucca, liscio di superficie e quasi asessuato (ma non del tutto), il compito di aprire un interno degli anni della Conservazione, della Rivoluzione, della Restaurazione.
Un pupazzo nudo e liscio, quasi asessuato, buono per le vesti di contadino signorotto sanculotto seguace di Elisa prete soldato di Napoleone e cortigiano. Buono questo per tutte le stagioni, con panni appena alla moda.
Ma ci sarebbero voluti gli Aqua, un po' di anni dopo, per scoprire che la Barbie esisteva già nel Settecento, nuda figurina (di maschietto invero) da vestire a piacimento, soldatino o santo o devoto o pastorello. E al Barbie boy di Lucca, liscio di superficie e quasi asessuato (ma non del tutto), il compito di aprire un interno degli anni della Conservazione, della Rivoluzione, della Restaurazione.
Un pupazzo nudo e liscio, quasi asessuato, buono per le vesti di contadino signorotto sanculotto seguace di Elisa prete soldato di Napoleone e cortigiano. Buono questo per tutte le stagioni, con panni appena alla moda.
mercoledì 3 giugno 2015
La pentola di Viareggio (ovvero: la pentola della nonna da Vallauris alla Versilia)
Ventitré anni, perché il lavoro dell'archeologa fiorente delle sue prime passioni trovi un lettore, venti minuti per leggere un bollo, strato 0 a contatto con US 5, ultime discariche in cantina su masse riversate ai primi dell'Ottocento (si direbbe), tâches noires innumeri con un fiorellino del Levantino lo dichiarano (-erebbero).
E poi si vola sulle onde della rete, lo stupore di VIAREGGIO, certo da leggere, con un M MAUREL, e non ci vuol molto per scoprire il signor Marius Maurel, forse figlio di François – anno 1873 a Viareggio e al Golfe-Juan – industriale potente in lavori di terra a Viareggio, ai primi del Novecento, dice quel che lo snippet di Google Libri regala.
Pentole di Provenza fatte a Viareggio, ritrovate a Lucca, ventitré anni fa, e questa volta si può indulgere a Gaetano Chierici e ai suoi fanciulli scalzi e lieti – l'età l'epoca la miseria, forse meno allegra, dei nonni dell'archeologo – per far rivivere la pentola di Provenza fatta a Viareggio. La pentola della nonna.