martedì 21 luglio 2015

Gentucca e il San Francesco di Lucca. L'inizio di una storia








Premessa


Il passo di Gentucca.
Un itinerario archeologico
tra il San Francesco e Lucca intorno all’anno 1300

El mormorava; e non so che «Gentucca»
sentiv’io là, ov’el sentia la piaga
de la giustizia che sì li pilucca.

«O anima», diss’io, «che par sì vaga
di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,
e te e me col tuo parlare appaga».

«Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
cominciò el, «che ti farà piacere
la mia città, come ch’om la riprenda. ...»

(dante, Commedia, Purgatorio, XXIV, vv. 37 ss.)

Nella primavera del 2013 i lavori di restauro e recupero funzionale del complesso di San Francesco erano ormai alla conclusione, con l’obiettivo – agevolmente rispettato – di giungere all’inaugurazione e alla restituzione alla città del monumento il 6 luglio. Anche lo scavo, con una straordinaria sequenza di campagne iniziata fra 2004 e 2005 negli Orti, proseguita nella Stecca, estesa infine dal 2010 pressoché all’intera area conventuale, si stava avviando a conclusione, con le indagini nel ‘San Franceschetto’ e negli ambienti attigui, da poco resi disponibili[1].
Appena entrati nell’ambiente attiguo al ‘San Franceschetto’ – la chiesa eretta da Lazzaro Fondora per la sepoltura sua e della sua famiglia, nel 1309, e dedicata alla ‘Beata Vergine e a San Francesco’ (fig. 1) – gli archeologi e chi scrive non potero non essere attirati da un’iscrizione ormai perduta nell’originale, ma ben leggibile nella trascrizione d’età contemporanea (fig. 2): «Hoc est sepulcxrum domine Vanne uxoris quondam domini Ceci Morle militis et domini Sigxerii Morle militis eius filii et Octoboni Morle item eius filii et domine Mantuccie uxoris et descendentium ex eis An. D. 1348». L’iscrizione, dunque, era stata collocata nella parete esterna, orientale, del ‘San Franceschetto’ per segnalare la presenza della tomba fatta costruire da donna Vanna, moglie del ‘cavaliere’ (miles) Cecio Morla, per sé, per i figli Sigherio e Ottobono, per donna Mantuccia – moglie di Ottobono[2] – e i loro discendenti; l’anno della costruzione della tomba è quello della grande pestilenza, il 1348, quando la sensazione della fine incombente imponeva la realizzazione di una tomba adeguata alla drammatica urgenza del momento. Probabilmente chi curò la replica dell’iscrzione Morla attinse a trascrizioni settecentesche – come quelle di Bartolomeo Baroni, che conserva anche l’arme losangata della famiglia, oggi illeggibile (fig. 3)[3] – piuttosto che all’originale.
L’iscrizione della tomba Morla si sarebbe confusa con le altre riemerse dai lavori di restauro – quasi tutte reimpiegate nell’Ottocento per le strutture funerarie della breve stagione che vide il chiostro del San Francesco ritornare luogo sepolcrale per eccellenza di Lucca, intorno al 1860 – se subito non si fosse imposta la memoria dantesca: Gentucca, l’enigmatica figura femminile che incontrerà Dante e gli «farà piacere» la città di Bonagiunta, è legata ai Morla, sia che – come vuole una delle ipotesi elaborate già dalla filologia dantesca dell’Ottocento, sulla scorta di una minuziosa recensione dei documenti lucchesi dei primi del Trecento – debba essere identificata con una Gentucca Fatinelli andata sposa a Bernardo Morla, o che sia la figlia di Ciucchino Morla, consorte di Bonaccorso figlio di Lazzaro Fondora[4]. L’intreccio di interessi fra Morla e Fondora intorno al ‘San Franceschetto’, fra la chiesa gentilizia dei Fondora e il chiostro cimiteriale disposto fra questa e la parete settentrionale del San Francesco che lo scavo del 2012-2013 ha permesso di ricomporre[5], è un ulteriore elemento a favore della seconda ipotesi, che d’altronde era data per scontata già nel Trecento, se due chiose anonime a manoscritti fiorentini, recuperate dal Minutoli, dichiarano che Gentucca «fue moglie di Coluccio Giari di quegli da Fondora». Solo un contemporaneo poteva sapere che Lazzaro Fondora, il suocero di Gentucca, si presentava – ad esempio in un atto del 22 dicembre 1306[6] – come «Laçario vocato Giario quondam item Laçarii de Fondora civi Lucano», ‘Lazzaro detto Giario figlio del fu ugualmente Lazzaro da Fondora, cittadino lucchese’.
Se dunque Gentucca fu persona reale, il San Francesco dei primi decenni del Trecento dovette essere luogo ‘per eccellenza’ della sue frequentazioni spirituali; probabilmente vi fu sepolta, con Lazzaro/Giaro Fondora e i suoi discendenti, fra le righe di deposizioni nel San Franceschetto che sono state rispettate nei lavori di restauro del 2013, mentre la cassa funeraria dei Morla – o quella che si apriva ai piedi dell’iscrizione – fu ampiamente riusata fino al Rinascimento.
Lazzaro Fondora è personaggio di rilievo nella Lucca degli anni intorno al 1300, a dispetto di un interesse apparentemente marginale negli studi contemporanei[7]. È sufficiente una rapida rassegna delle carte che lo riguardano nel Diplomatico dell’Archivio di Stato di Lucca per rendersi conto dei suoi vastissimi interessi, dal commercio internazionale che è sullo sfondo di un atto del 1292[8], sino alle eterogenee attività di gestione di proprietà terriere e di rendite fondiarie che si svolgevano nelle sue case, site nell’odierna Via Fillungo – allora ‘contrada di San Cristoforo’ – fra la Loggia dei Mercanti e la Torre delle Ore (fig. 4). Qui, come argomenta Minutoli[9], dovette vivere da sposata Gentucca, nata invece – probabilmente – nelle non lontane torri dei Morla, oggi in Via Santa Croce, come rammenta l’iscrizione appostavi (fig. 5), giacché i Morla sono parte della consorteria degli Allucinghi, e loro chiesa di riferimento era San Benedetto in Gottella, in cui fu eretta una cappellania in suffragio del defunto Ottobono, nel 1350[10].
Era però il San Francesco ad avere un potente ruolo di attrazione su Lazzaro, di famiglia da non molto inurbata dalla località del contado di Sorbano del Giudice da cui la famiglia trarrà cognome, Fondora[11]. La costruzione del ‘San Franceschetto’ consacrava il suo ruolo nella società cittadina e nel rapporto con l’istituzione conventuale. Nel 1307 Lazzaro, «civis et mercator Lucensis» è associato a fra’ Guiduccio, dei Frati Predicatori, come arbitro in una controversia[12], ma i comuni interessi con i Domenicani non gli impedivano di completare due anni dopo la chiesa eretta nel ‘braccio della Fratta’ – dove la famiglia aveva proprietà in cui andranno a vivere i figli intorno agli anni Venti[13] – apponendo sull’architrave della porta un’iscrizione che incorniciava con i colori dell’arme di famiglia, ancora leggibili nel Settecento (fig. 3)[14], il Tau, simbolo francescano per eccellenza (fig. 6). Pratica delle mercanzia, attività di ‘intermediazione’ nelle quali talora si intravvedono, in filigrana, prestiti su pegno mascherati da compravendite o speculazioni, non sono in distonia, nella prassi del tempo, con la devozione al Santo poverello, punto di riferimento capace di accomunare i Morla, una famiglia ‘nobile’, come dichiara il titolo di miles, e il Fondora di fresco successo. Forse non è casuale che Lazzaro ometta il nome del padre, nell’iscrizione di dedica, quasi a dichiarare la sua figura di homo novus.
Non occorre dunque una sfrenata fantasia – appena quella che deve alimentare il romanzo storico – per immaginare Gentucca nel suo andare per la città fra la casa della famiglia e San Bendetto in Gottella, passando per San Cristoforo, superare la postierla della Fratta e le mura erette da meno di un secolo per giungere al San Francesco mentre si sta completando il grande cantiere della chiesa e del convento, cui il suocero Lazzaro Fondora aggiunge quello della ‘sua’ chiesa, primo vero esempio di chiesa ‘gentilizia’ in Lucca, dopo le remote fondazioni altomedievali[15]. Gli affreschi del lucchese Deodato Orlandi in San Piero a Grado, di quegli stessi anni, nella scena del cantiere del San Pietro di Roma (fig. 7) ci fanno apprezzare nello sguardo del contemporaneo i lavori di costruzione di una chiesa, con lo scalpellino all’opera, gli inservienti agli argani, il manovale che s’arrampica per dar da bere al mastro muratore con un bicchiere di vetro e un boccale di maiolica arcaica[16].
Poco resta all’occhio dell’archeologo delle immagini che si presentavano a Gentucca o che riescono a rivivere nelle iconografie contemporanee: i muri, le schegge di lavorazione della pietra, i segni delle attività di cantiere, i boccali di maiolica arcaica andati in frantumi. Molto ha da integrare, per ricomporre le storie di muri raccontate dagli strati che li hanno sepolti o ne hanno segnato la costruzione e dalle ceramiche che vi finirono, o le storie di persone narrate da sepolture e ancora dalle ceramiche: storie che fra Due- e Trecento sono ‘in verde e nero’, i colori della maiolica arcaica.
Ma seguendo il ‘passo di Gentucca’ per le vie della città che ella «fece amare» a Dante, può riapparire, da trent’anni di attività di tutela e da un cantiere vissuto per cinque, anche qualche nota della vita di Lucca fra Due- e Trecento, nelle metamorfosi e nelle anamorfosi urbane, o nei ‘segni’ lasciati nella terra da chi di quegli eventi fu protagonista, artefice, o vittima. È questo il percorso in cui si vuole accompagnare chi sfoglierà le pagine che seguono, leggendo astruse sequenze di strutture o di unità stratigrafiche, o almeno sfogliando i colori degli scavi.

Giulio Ciampoltrini


[1] Questo viaggio archeologico nella genesi e nelle successive vicende del complesso di San Francesco è stato reso possibile dalla illimitata disponibilità della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ad assicurare un livello di eccellenza per le indagini di scavo, affidate sino al 2011 al gruppo di lavoro condotto da Elisabetta Abela, composto da Serena Cenni, Maila Franceschini, Silvia Nutini, Kizzy Rovella, e dal 2012 alla conclusione dei lavori ad Alessandro Giannoni con la collaborazione di Elena Genovesi. L’impegno della Fondazione non si è limitato – per l’interesse manifestato dai Presidenti che si sono succeduti, fino all’attuale Arturo Lattanzi – a garantire la documentazione stratigrafica delle opere diagnostiche correlate alle esigenze del restauro o dell’adeguamento funzionale; spesso lo scavo ha assunto dimensioni e sviluppo peculiari dell’indagine di carattere meramente scientifico, ed è stato costantemente integrato dal rilievo degli elevati – affidato agli stessi gruppi di archeologi – quando la correlazione con le sequenze stratigrafiche lo richiedeva. Franco Mungai e il personale dell’Ufficio Tecnico della Fondazione sono stati sicuri interlocutori di queste richieste, assecondandole anche in momenti particolarmente impegnativi per il rispetto del cronoprogramma dei lavori, e hanno trovato nelle maestranze dell’impresa Giunta Sauro di Capezzano Pianore appassionati interpreti delle tecniche dello scavo archeologico.
[2] ASL, Diplomatico. Serviti, 1346 ottobre 12.
[3] Biblioteca Statale di Lucca, Manoscritti, 1015, c. 51 r.
[4] minutoli 1865, passim, in particolare pp. 33 ss.; si veda la sintesi nell’Enciclopedia Dantesca, dovuta a Giorgio Varanini (1970), facilmente accessibile all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/gentucca_%28Enciclopedia-Dantesca%29/.
[5] Infra, Parte III.
[6] ASL, Diplomatico. San Nicolao, 1306 dicembre 22.
[7] Si veda paoli 1986, pp. 216 s.; donati 2009, pp. 39 s.
[8] ASL, Diplomatico. San Romano, 1292 gennaio 31.
[9] minutoli 1865, p. 50, nota 67.
[10] savigni 2010, p. 173; per l’appartenenza di Ottobono Morla alla ‘contrada di San Benedetto’, si veda ad esempio anche ASL, Diplomatico. Acquisto Bigazzi, 1322 giugno 22. Probabilmente Ottobono scomparve nella pestilenza; Sighieri invece sopravvive: ASL, Diplomatico. Serviti, 1358 gennaio 12.
[11] minutoli, l.c. a nota 9.
[12] ASL, Diplomatico. Disperse, 1307 agosto 11.
[13] minutoli, l.c. a nota 9.
[14] L’arme Fondora è «d’azzurro alla fascia d’oro»: Archivio di Stato di Firenze, Fondo Ceramelli Papiani, fasc. 5613; http://www.archiviodistato.firenze.it/ceramellipapiani2/index.php?page=Famiglia&id=3240.
[15] Si vedano le annotazioni di paoli 1986, pp. 215 ss.
[16] Per questo berti 1997, p. 173, con riferimenti bibliografici; si vedano tuttavia anche le annotazioni infra, Parte III, nota 105.

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