giovedì 29 luglio 2010
La Notte dei Due Castelli
È sotto il segno di San Ciriaco, o piuttosto dell'agontano, la Notte che si insegue fra due castelli, di qua e di là dall'Era, il castello che fu del Vescovo e sulla perduta prima via Romea, la via di Pertuald, e l'ampio dominio fra Era e Roglio: Capannoli che ritrova le sue origini, fra cocci infiniti, cippi, monete, fantastici colori che accendono una notte sotto il segno di Dioniso; Peccioli, con le Ninfe dell'Antro ospitali, e i colori di un libro, «coronamento di due anni di impegno collettivo».
Della Notte dei Due Castelli, fra sindaci assenti sulle vie di Marco Polo, sindaci e assessori presenti a far festa con il popolo presente, sul prato della villa riconquistata, popolata di tigri e di relitti di una storia cercata con passione infinita e pochi soldi, rimane l'immagine di un cielo stellato fra l'Era e il Recinaio, quando le Ninfe dei Fiumi per un attimo riaffiorano per unire il loro sogno di passato a quello delle Muse.
lunedì 19 luglio 2010
Castelfranco di Sotto nel Medioevo: la notte
Sono colori e ghirigori i segni del castello perduto nelle carte dei Signori della Dominante, i Capitani di Parte, colori filiformi che si allargano in incomprensibili segni di porte turrite e torri, mattoni riusati in cento altri modi, dopo che il Granduca ne decretò la fine, inutili segni di un passato di castello.
Son macchie di colore di verde di rosso di nero i segni del paesone del Settecento, terra di contadini e di preti, di mezzadri e di fattori di signorotti di città.
In una fervorosa sera d'estate in cui l'antico castello che fu dei Castelfranchesi e dei Lucchesi, dei Castelfranchesi e dei Fiorentini, è paesone inanimato raramente popolato di Castelfranchesi e di Figli dell'Africa, del Senegal e del Marocco, e di qualche vagante dai Balcani, i colori si son popolati di suoni, di tamburi e di bandiere dei giovani discendenti dei castellani del Trecento e degli emigranti del Sannio di cinquant'anni fa. Il Medioevo-Rinascimento fantastico, figlio dei filmoni degli anni Sessanta, con memorie degli affreschi di Benozzo, che rimbomba nelle terre di Toscana nelle Feste di Paesi e di castelli, sirena artefatta e suadente di un passato che si tocca con mano ma è tremendamente ignoto.
Brava l'Assessora, a mescolarlo con le lampade devastanti di un museuccio nutrito dalla fantasia giovanile di chi quasi vecchio ora lo vede compiuto, opulento nella povertà dei suoi elusivi frammenti, malamente lavati ad uno ad uno, studiati infinite volte, per trarre dai colori delle severe tavolozze medievali le immagini e la vita del castello perduto.
I pifferi e i tamburi, in una ardente sera d'estate, seducono i curiosi alla festa dei pochi intimi, divenuta per qualche minuto se non festa di tutti almeno festa di tanti.
giovedì 15 luglio 2010
Le cicogne e il ponte del decumanus (venti anni dopo)
Sono un evento, le cicogne colte in un attimo infinito, sul verde e sul cielo del quasi tramonto d'estate, all'estinguersi di giorni che propongono entusiasmi e si chiudono nel silenzio.
E venti e più anni dopo, si torna a parlare del ponte di legno del decumanus del Botronchio, e del fiume placido e incerto del Colmo dei Bicchi, la Terra dell'Auser sempre più esangue, fra fiumi e boschi, trafficata strada di legnaioli cacciatori mercanti avventurieri banditi. Entusiasmi svaporati ma sempre vivi nei venti e nondipiù amici che venti anni dopo si ritrovano, gli stessi, più o meno, per vedere un libriccino nato per sbaglio, per gli amici, più che per una scienza che fa volentieri a meno di chi non ha timbri di accademia.
Ci si consola con la fretta, nell'ardente sera d'estate a Orentano, consumando ancora il rito della Notte dell'Archeologia, sabba per vecchie streghe, decrepite, che riescono appena ad aver la forza di ricordare i giovanili furori. Oggi la quiete, appena qualche verde occhio stupito in mezzo a stanchi captatori di un sapere per pochi intimi ...
Ma le cicogne sono apparse, per un attimo, nel verde prato dell'Auser, asciugato per divenir smeraldo e poi ombra di terra. Ritornano, forse non da terre remote, le cicogne, bianche e nere, intrepide, vicino alla strada polverosa che ogni mattina prepara alle meravigliose attese della Terra dell'Auser, ogni sera ne culla la fine.
venerdì 9 luglio 2010
I segni della storia ripuliti e i primi Etruschi (o quasi) sull'Auser. Ovverosia: nostalgie villanoviane dell'archeologo limitaneo
Non sono meno ardenti i laboratori dove si dà luce all'incisione sepolta dalla terra, delle savane dove la terra l'ha conservata; fini archeologhe l'hanno sottratta alla terra, una fine archeologa ha ritrovato il filo dei segni, nel responsorio di punti e linee di un Villanoviano chissaquale. E si ringrazia con sincera passione la fine architetta generosa di quei pochi soldi che arrivano all'esangue periferia dell'impero (si fa per dire, impero).
S'arrangia, l'archeologo limitaneo, vagando nel nuovo fronte del deserto, nel ricordo del mitico Akritas, dove la frescura dell'acqua che libera sgorga dalla terra e s'adagia in una vasta piscina, fresca, luminosa, scrosciante, sembra il miraggio dell'oasi, nel frastuono di polvere e gru in cui non affronta le bande di predoni arabi dell'Eufrate le amazzoni gli amici infidi e la sottile doppiezza dell'imperatore di Bisanzio, ma l'incrocio di follia e miseria dell'alba del terzo millennio.
Ma sono perfette sono le geometrie dell'Età del Ferro, che ricuciono secoli perduti nelle pianure umide e secche (da un giorno all'altro) della Terra dell'Auser, dove la conca ritrovata tanti tanti tanti anni fa, cercata con strenuo entusiasmo con la perduta compagnia di Paolo e Pallino e Bruno, nei languidi colori di una diapositiva al tramonto di un giorno degli anni Ottanta fa rivivere i cocci incisi e dipinti del secolo VIII, quando Roma nasceva, gloriosamente sepolti in una vetrina del museo di Lucca e in qualche pagina letta solo (o quasi) da chi l'ha scritta.
mercoledì 7 luglio 2010
Colorar disegni rischiando la tendinite, fra Nottolini e Bra: l'anfiteatro di Lucca disegnato in rosso e celeste
Era bollente come questa, l'estate del 2003, quando Elena saltava nelle fosse senza tema di escavatori, a ritrovare pavimenti recenti e antichi, perduti e ritrovati, fiera del fango e della polvere che non ne velava l'appassionata intelligenza, e guidava a salvare le tracce dell'anfiteatro; e ora è in Irlanda, forse, chissà, perduta per una scienza che perde troppe forze per strada. Ma forse è meglio così, almeno per chi prova nuove strade, con bei ricordi e senza nostalgie (se ci riesce).
E poi Alessandro a recuperar le tracce di una sezione fantastica, calcinaccio su calcinaccio, e a disegnarle, ritrovando il filo d'Arianna del mitico Nottolini, della sue ellisse magica, inventata ex novo sulla traccia dell'antico, Segno dell'Auser anche questo. E la sezione disegnata da archeologo, forse un po' rustica, di certo non con il tocco vellutato di architette divine, ma precisa, puntigliosa, laterizio su laterizio, pietra su pietra.
E ora che l'archeologo vecchio, sempre più stanco, sempre più convinto dell'infinità inutilità del tutto (anche di queste pagine, ma la vanagloria persiste), ha ceduto alle lusinghe delle Langhe, e ha detto di sì a Bra, almeno affronti la fatica del colore, e il rischio della tendinite, e passi un giorno intero, caldo come quei giorni del 2003, perduti nella memoria e ritrovati nei disegni di Alessandro, per dar color di pietra alla pietra, di laterizio al laterizio. Ordinata geometria nata per non essere vista dell'anfiteatro della città di campagna (ossimoro voluto), generata dal sudore dei Lucchesi e dalle moderate elargizioni di Q. Vibius eppoinonsisacosa, gli anni in cui a Roma l'imperatore tirava su il Colosseo, e a Lucca si offriva alla gioia del sangue della stanca colonia di Augusto il rustico anfiteatro disegnato da Alessandro, colorato con la tendinite in agguato.
venerdì 2 luglio 2010
I leoni (alati) della savana di Lucca
È rinfrescante il nero su nero del bucchero con sequenza di stampigliature, dopo il bianco su giallo del cantiere, in cui l'ombra quasi si fonde con il sole, e i colori squillanti degli elmi e delle corazze degli archeologi ne esaltano appena la visibilità.
Il leone alato, sfinito nella superficie esausta del bucchero, ritrovato dal cesello della lavatrice (femina, non machina) dopo essere stato al freddo e all'acqua, misto ai segni di una storia che nelle esangui ombre di una spiaggia che si fa savana trova inauditi spessori, dagli albori dell'Età del Ferro alle fatiche dei contadini del Novecento.
Non sono da meno le fatiche degli archeologi, o di chi nella sauna del laboratorio trova i colori e i segni sepolti in una pelle devastata dagli anni. E il Leone del Tardo Orientalizzante o del primo Arcaismo, con le sue ali sottili, può tornare a ruggire nella savana della Terra dell'Auser, dove conobbe la sua gioventù, la sua prima vita.