venerdì 9 luglio 2010

I segni della storia ripuliti e i primi Etruschi (o quasi) sull'Auser. Ovverosia: nostalgie villanoviane dell'archeologo limitaneo




Non sono meno ardenti i laboratori dove si dà luce all'incisione sepolta dalla terra, delle savane dove la terra l'ha conservata; fini archeologhe l'hanno sottratta alla terra, una fine archeologa ha ritrovato il filo dei segni, nel responsorio di punti e linee di un Villanoviano chissaquale. E si ringrazia con sincera passione la fine architetta generosa di quei pochi soldi che arrivano all'esangue periferia dell'impero (si fa per dire, impero).
S'arrangia, l'archeologo limitaneo, vagando nel nuovo fronte del deserto, nel ricordo del mitico Akritas, dove la frescura dell'acqua che libera sgorga dalla terra e s'adagia in una vasta piscina, fresca, luminosa, scrosciante, sembra il miraggio dell'oasi, nel frastuono di polvere e gru in cui non affronta le bande di predoni arabi dell'Eufrate le amazzoni gli amici infidi e la sottile doppiezza dell'imperatore di Bisanzio, ma l'incrocio di follia e miseria dell'alba del terzo millennio.
Ma sono perfette sono le geometrie dell'Età del Ferro, che ricuciono secoli perduti nelle pianure umide e secche (da un giorno all'altro) della Terra dell'Auser, dove la conca ritrovata tanti tanti tanti anni fa, cercata con strenuo entusiasmo con la perduta compagnia di Paolo e Pallino e Bruno, nei languidi colori di una diapositiva al tramonto di un giorno degli anni Ottanta fa rivivere i cocci incisi e dipinti del secolo VIII, quando Roma nasceva, gloriosamente sepolti in una vetrina del museo di Lucca e in qualche pagina letta solo (o quasi) da chi l'ha scritta.

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