venerdì 9 novembre 2012
Tiziano nel piatto, in tre colori
Tre colori, nel piatto di Lucca, pennellate veloci e graffiti plebei (avrebbe detto Ranuccio Bianchi Bandinelli degli anni che l'archeologo non era azzannato dal GIS e divorato dall'open archaeology e dai suoi layers, figli di trowel, e piuttosto soffriva con Fidia di Schweitzer – anche lui cervellotico, diciamolo pure, quasi come l'insormontabile Exekias di Technau – o con i sarcofagi del più terrestre Rodenwaldt).
Riappare da cassette infinitamente rivisitate il piatto del Cinquecento, figlio di secoli remoti e del giorno che Elena trascinò l'archeologo (non ancora vecchiozio) alla sacra ellisse dell'anfiteatro, sottratta per un attimo al giovanil furore che la esaltava fra cavi dell'ENEL e pavimenti pubblici della Lucca del Cinquecento, veli di terra rossa lucidati dalla sua trowel e più assai dalla sua passione.
Dieci anni, il giovanil furore ha fatto giungere Elena in Irlanda (ultimo domicilio conosciuto), per l'arte di Alessandro l'anfiteatro svelò il mistero del progetto di Nottolini e per devozione all'open archaeology – divinità suprema nel larario dell'archeologo di questi giorni, appena uscito dal Salone delle Feste della Firenze granducale – se ne dovrà pur dar contezza, e infine con le facili virtù della rete, due tocchi su Google, il profilo smunto dal gran mento con la barba giallastra del corazzato figuro sul fondo del piatto si sovrappone, invertito dal gioco delle incisioni, al Carlo V di Tiziano, genitore del d'après di Rubens, e di prodotti innumeri delle stamperie veneziane (forse).
Lezioni antiche, arte di corte e arte di popolo, immagini per la celebrazione e immagini da scoprire sotto l'insalata e il panino nel tratto del graffitista di Toscana.
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