domenica 30 settembre 2012

Gli ambigui segni dei pastori erranti dell'Appennino


Si inseguono nei secoli, come sulle vie dei fiumi che vedono le Apuane, segni etruschi di lingue etrusche, di qua o di là dell'Appennino, o leponzie, o misteriose, popoli che tutti bevevan birra, e amavano il vino.
I colori dell'Inghirami, rigenerati da Google, e l'Etrusca Erudizione dell'Ottocento, per la stele figlia del fiume e delle acque della Lunigiana, con nitidi caratteri dal senso oscuro, affannosi per l'Inghirami e il Micali e non meno per l'attuale etrusca erudizione; e akiu visto da Migliorini e Galli sulla lastra rivista in una fotocopia di cartolina, quasi un secolo fa, il Pianellone di San Romano di Garfagnana, la donna ligure-apuana (chissà come parente della Fanciulla di Vagli e della Zia di Levigliani) che se ne fece lastra per la sacra teca delle sue ceneri, che di akiu più non aveva contezza, mentre chi scrisse mezunemusius o che altro aveva contezza delle sacre stele dell'età remota.
Segni sacri, segni di morte, segni di possesso, sulle vie dei pastori che poi portavan la lana alla Murella e arrotondavano distillando pece nelle selve oscure.
Limpidi segni dell'Ottocento neoclassico, preziose tavole a colori per principi aristocratici borghesi colti qualche bibliotecario, il rapido volar di matita sulla lastra perduta in anni di guerra futurista, nell'attesa di nuovi segni.

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