domenica 17 luglio 2011

Tramonti d'estate, pomeriggi di birre etrusche



Si rinnovano i riti d'estate, nella Terra dell'Auser e nelle Terre d'Etruria, le Notti dell'Archeologia.
All'interminabile tramonto che carica il granturco ormai pieno e le Apuane, la Terra della Fanciulla di Vagli, segue la notte delle F e delle H, con l'Amico Professore e l'Amica Assessore a celebrare congiunte fatiche nella terra di Orentano, dove il lago specchiava castelli perduti sul filo di porti fatti di tettoie di legno e d'ardesia, per far asciugare il ferro dell'Elba, prima che salisse alle fucine di montagna. E i neri denari di Pisa e di Lucca a scivolare sul fondo del lago, dopo aver visto gli scambi di vino e di ferro, di vasi e di navi registrati dai gabellieri di Bientina, con i misteriosi segni che il Professore di Udine e di Padova svela nel bollore di una sera d'estate in un museo bagnato di luci. Il Duecento di Montaperti e dei Guelfi e dei Ghibellini, trascritto in tondelli opachi carichi di luce in un attimo, e di nuovo poi bui.
E poi, ancora amici, ancora di meno, nel pomeriggio di Montopoli, a rammentare l'Amico che vedeva dal cielo i segni dei fiumi, i Quattro Fiumi che l'Archeologo Zio riconosce come suoi, memore della lezione del Poeta di Lucca e di Alessandria, l'Era e l'Arno, l'Auser e l'Arme, fiumi vitali e di più, come è nell'archeologo, fiumi perduti.
E celebra la birra etrusca, sognata come solo gli archeologi sanno sognare la storia, l'alica degli Etruschi di Pisa, dolciastra e imbevibile (forse) come le birre analcoliche di qua e di là delle Alpi, sapide di orzo, povero fratello del dono di Dioniso. Il poculo forma qualcosa riconosciuto dall'Archeologo Giovane nella massa di buccherastri informi, trovato intero una volta o due in trent'anni di carriera, gli si svela turgido di spuma d'orzo, intrecciando la sapienza dei maestri del bryton e i rituali incomprensibili dell'alica, l'alica di Pisa e i flussi di penetrazione delle anfore nei contesti valdarnesi del VI secolo a.C.
Gambrinus in Etruria, la bevanda dei contadini che nelle capanne sui fiumi della Terra dei Quattro Fiumi attendevano un'alba faticosa come quella del giorno appena trascorso, e fra farro e frumento e spelta ricavavan di che dimenticare, sul far della sera, le fatiche del giorno d'estate.

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