sabato 14 maggio 2011
La Valdera da Pietra Cassa, in un mattino di quasi estate
Non è scomodo arrivare in Panda, a Pietra Cassa, per mirare le operose fatiche di chi tenta di sottrarre la Rocca Signora di Sterza ed Era all'ineludibile morso del tempo. Rifar cortine, spolpate dalla fame di pietra, recuperar cisterne, saldare sfatte masse cementizie, sfinite dal verde e dal cielo: nobile e garbato impegno dell'architetto maestro di rocche rinnovellate, di muratori capaci di affrontar salite fra cinghiali e forre, pantani d'inverno e saldati dalle acque trattenute al primo sole d'estate.
Veder Valdera e il correre delle sempre più misere acque dello Sterza, braided river dei poveri, dall'alto, con gli occhi di Pisani e Gaetani, dopo quelli dei Cadolingi, sullo sfondo della torre angolare che cita il castello di Bientina, all'altro spigolo della terra della repubblica ghibellina, mentre la torre eptagona, che dichiara gli anni di Biduino e delle imprese di Oltremare, le mode dei signori di Versilia e dei Lucchesi, e di altri infiniti pronti ad affrontar trabucchi, ingabbiata nell'attesa della rinascita sfugge all'occhio che cerca piuttosto, fra fiori baciati dall'alto sole che illumina Volterra, i meandri dell'Arno, persi nel torpore quasi estivo della nebbia del mattino.
Attende l'archeologo innamorato, Pietra Cassa, che fu rocca per qualche anno, adattata a qualche spingarda, ma era nata per il sibilo della balestra e per le guaite dei contadini di Lajatico e Orciatico, che ora ne sono signori, e dominano la loro terra. Purché si marci per quattro chilometri in forre selvagge di cinghiali, perché non sempre c'è la Panda pronta a navigare nel verde.
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