lunedì 9 maggio 2011

Dalla Croce del Vescovo alla Croce del Guerriero. La Città di San Frediano



Ottanta pagine, cento figure, colori e colori, partendo dalla Croce del Vescovo e finendo con la Croce del Guerriero, passando per le infinite Croci dei mancipia di Ranilo, sublimis femina del 553. Da leggere sul web.

La Premessa di Giulio Ciampoltrini

Da quasi trent’anni l’archeologia di tutela ha concesso occasioni di viaggiare nella storia sepolta di Lucca. Dai rilevamenti stratigrafici nelle trincee per la posa di condutture di servizi, nei primi anni Ottanta del Novecento, fino agli scavi estensivi e preliminari alla realizzazione di opere pubbliche, nel decennio successivo, lungo, lunghissimo è stato il percorso iniziato con il salvataggio concitato di materiali quasi sul punto di partire per la discarica, per giungere ai cantieri in cui una generazione di archeologi nata quasi negli stessi anni in cui venivano disposti i primi provvedimenti di tutela, offre prove esemplari di un metodo di scavo progressivamente affinato per combinare qualità scientifica ed efficienza.
La città – come anche il territorio – non ha esaurito la capacità di raccontare storie, svelare aspetti talora inattesi. L’età romana, il Medioevo, il Rinascimento si sono progressivamente manifestati anche con le tracce lasciate nel suolo, a commentare intrecci e stratificazioni di strutture sulle quali si è modulato un paesaggio urbano in continua trasformazione; ma ancora dopo più di venti anni di ricerche sistematiche rimaneva in ombra il cruciale momento di passaggio fra mondo antico e Alto Medioevo, gli ‘anni di San Frediano’, per Lucca che dalla protezione del santo vescovo celebrato da Gregorio Magno, con le reliquie venerate nella chiesa extraurbana che da lui prenderà nome, e dal suo ruolo strategico su un asse viario divenuto fondamentale, trasse per tutto l’Alto Medioevo occasioni di affermazione non solo nell’ambito regionale.
Finalmente si è offerta l’occasione per cogliere i punti di riferimento essenziali per assicurare la concretezza del dato cronologico alle evanescenti testimonianze del VI e VII secolo che più volte si erano proposte, con lo scavo di Via San Giorgio condotto agli inizi del 2010. Non certo la ‘luce sui secoli bui’ che verrebbe da evocare, ma una coerente testimonianza dei tipi ceramici circolanti a Lucca in questi decenni, prezioso punto di riferimento per contesti di regola assai poveri, dai contorni ancor più sfuggenti per la consistenza dei residui della città romana, da un lato, dall’altro per la consunzione cui raramente erano sfuggiti nell’Alto Medioevo – a partire dal vitale secolo VIII e poi nella impetuosa ripresa della città marchionale, pre- e protocomunale, intorno al Mille.
La ‘città di San Frediano’ può dunque essere apprezzata non solo nelle poche testimonianze sulla Lucca del VI secolo proposte da papiri ravennati, da Gregorio Magno con la narrazione del miracolo di San Frediano, da Agathias con la minuziosa narrazione dell’assedio del 553. I segni dei vivi, con le ceramiche che finiscono in fosse e discariche, dichiarando che anche Lucca, con la sua classe dirigente integrata dalla aristocrazia longobarda, partecipava alla vitalità dei traffici mediterranei ampiamente documentata dalle fonti, ma oscura nel dato archeologico sino a non molti anni fa; i segni dei morti, con le necropoli che iniziano a disporsi anche entro le mura, in un paesaggio frammentato che comunque, proprio per la presenza di cimiteri intramuranei, spesso riferibili a chiese, anticipa uno degli aspetti qualificanti della città medievale.
Alle testimonianze dei traffici si aggiungono quelle degli artigiani, attivi come nella Lucca del secolo VIII, quando la massa dei documenti conservati nell’Archivio Arcivescovile consente di apprezzare società e paesaggi urbani che non sembrano dissimili da quelli proposti dalla documentazione archeologica per il secolo precedente. L’aristocratico longobardo sepolto davanti alla chiesa di Santa Giulia, carico di oggetti di prestigio prodotti da manifatture di matrice ‘bizantina’ – Romana, come si sarebbe detto allora – prefigura l’aristocrazia di viri magnifici da cui esce, in qualche caso, il dux cittadino – vir gloriosus, per Longobardi e per Romani – così come l’exercitalis sepolto in Via Fillungo, forse sotto la protezione delle reliquie di San Frediano, e i membri della stessa classe i cui resti sono affiorati nella campagna lucchese, dall’Ottocento sino ai giorni nostri, possono essere considerati figure esemplari della ‘classe media’ longobarda che popola e rende vivace la Lucca degli anni di Liutprando e di Astolfo, assieme al clero, ai mercanti, agli artigiani della componente Romana della società cittadina, assimilati nei rituali funebri e nella devozione cattolica già nella seconda metà del VII secolo, come testimonia ancora una volta l’evidenza dello scavo.

Il percorso di ricerca che si conclude con queste pagine iniziava, per chi scrive, quando nel deposito dei materiali di scavo di Santa Reparata gli apparve un frammento di marmo – poco più di una scheggia – con una crux gemmata impressionantemente simile a quella che il Baroni, nel Settecento, aveva disegnato dalla lastra d’altare eretta da Valerianus presbyter, per disposizione dell’episcopus Frygianus. Almeno un’ombra, o un’eco, del ‘segno di San Frediano’, che lo entusiasmò nelle ricerche sulle produzioni scultoree della Toscana del VI secolo, avviate proprio dalla scoperta di quel frammento. In quei giorni stava per lasciare l’amata terra di Castelfranco suo padre; a cento anni dalla nascita, a venti dalla morte, gli piace dedicare questo libretto a lui, che forse lo avrebbe sfogliato volentieri, e a chi ne ha condiviso gli anni più belli.

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